24 settembre 2007

 
     

Banca dati del DNA : perche' no
di Rita Guma

Ho molte perplessita' sulla banca dati del DNA, e non solo qualora riguardasse i soggetti criminali, ma anche qualora fosse aperto a tutta la popolazione. In questo dissento da Carlo Federico Grosso, che ritiene questo strumento fondamentale contro il crimine ed ha tanta fiducia nell'uso che ne verrebbe fatto.

In primo luogo osservo che il paragone con le impronte digitali fatto da Grosso in un recente articolo non ha ragion d'essere: esse non sono raccolte per tutta la popolazione, ma solo per chi sia stato ospite delle patrie galere e poche altre categorie selezionate in base alla delicatezza del compito. Inoltre, tramite le impronte digitali non e' possibile venire a conoscenza di tutta una serie di dati sensibili della persona e del suo gruppo failiare, come patologie potenziali o in atto o magari rivelazioni di paternita' diverse da quelle ufficiali o infine ascendenze etniche. Ne' con le impronte digitali e' possibile effettuare clonazioni.

Faccio ancora notare che solo alcuni tipi di reati, per la loro gravita', potrebbero giustificare il prelievo di dati personali di questa fatta, ma che proprio per questo - e per quanto sopra - un prelievo a tappeto e' ingiustificato. In Italia infatti ci sono quasi 60 milioni di abitanti e solo poche centinaia di omicidi e altrettante rapine in villa. Certo gli stupri sono di piu', ma poche migliaia. Dunque per tentare di ottenere la risposta ad un migliaio di reati gravi si rischierebbe di mettere a repentaglio tutta una serie di diritti di decine di milioni di persone...

E dico 'tentare' perche' non e' detto che una banca del DNA darebbe la garanzia che il colpevole sia scoperto (in caso non ci siano tracce sul luogo del delitto). Cosi' pure non e' detto che l'autore di un crimine resterebbe impunito senza banca del DNA, perche' potrebbero esservi altre prove.

Grosso fa l'esempio del delitto risolto grazie al prelievo volontario della saliva di diversi abitanti di un paesello, ma faccio rilevare che in quel caso non si conservo' il DNA di tutti in una banca dati, di fece solo un confronto istantaneo fra le tracce seminali ritrovate sul luogo del delitto e tutti i campioni donati dai compesani. Insomma, si fa confusione fra il prelevare il DNA in una occasione e il conservarlo per sempre. Si fa confusione fra il confronto con il DNA di un sospettato e il confronto con il DNA di tutti gli Italiani.

Inoltre mi perdonerete se faccio notare come l'Italia sia il Paese del pressappochismo, dove le misure di sicurezza sono spesso un optional, dove le selezioni del personale nei 'carrozzoni' statali non sono rigorose ma soggette al clientelismo e dove anche in settori delicati non sempre c'e' adeguata formazione e informazione (e forse senso di responsabilita'). Come tecnico non rifuggo dalle tecnologie, ma ne conosco utilita' e limiti, tuttavia proprio per questo noto anche quale superficialita' vi sia spesso nel gestire i sistemi che gestiscono aspetti molto delicati, mentre come paladina dei diritti spesso mi sorprendo nel notare come anche misure elementari per la tutela della privacy vengano vanificate da comportamenti non conseguenti.

Per quanto riguarda il DNA e il sistema informativo che gestirebbe i dati, quindi, non arrivo a pensare che qualche investigatore scorretto possa usare per scopi dolosi i campioni prelevati, ad esempio lasciandone un po' sul luogo di un delitto per risolvere prontamente il caso o eliminare un soggetto scomodo, dato che questo rischio sarebbe eliminato adottando l'accorgimento suggerito dal Garante per la privacy di conservare solo sequenze alfanumeriche e non capelli, saliva o pelle. Per la stessa ragione immagino che non vi sarebbero rischi di clonazione.

Ne', come paventa Grosso, mi appello alla schedatura dei cittadini su vasta scala, che comunque pure sarebbe un rischio in un Paese dove non vi sono adeguate misure preventive contro un rischio dittatura.

Quello su cui invito a riflettere e' che il nostro e' il Paese dove e' stato possibile che un centro trapianti ad alta specializzazione sbagliasse i controlli e permettesse quindi l'impianto di organi affetti da AIDS, il Paese dove ogni giorno accadono casi di malasanita' come organi sani asportati, dove faldoni giudiziari con informazioni personali sono abbandonati alla merce' di tutti nei corridoi di alcuni tribunali e dove cartelle cliniche con dati sensibili sono state trovate abbandonate nei corridoi di alcune strutture ospedaliere.

Percio' mi domando se sia giusto che in un Paese cosi' poco attento alla privacy ed alle norme di sicurezza (e dove nessuno paga mai per i gravi danni che tale superficialita' comporta), si possano affidare campioni umani e dati sensibili ad una banca dati, solo perche' altri Paesi ce l'hanno.

Percio' temo che - al contrario di quanto pensa Grosso - anche molti che perseguono la certezza della pena e la difesa delle vittime, non hanno commesso nessun reato, non avrebbero timori che il loro DNA rivelasse che l'assassino era un loro parente, temo che anche questa categoria di persone - alla quale appartengo - preferisca non essere vittima di un "furto d'identita'" sistematizzato e legalizzato quale sarebbe quello della banca dati del DNA.

Speciale diritti

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Banca dati DNA: il garante della privacy scrive a governo e parlamento