16 maggio 2007

 
     

Giappone : nuovi casi di assoluzione dopo confessioni estorte
di Rico Guillermo*

Il Giappone continua ad interrogarsi sulle confessioni estorte con minacce e per sfinimento dalla polizia e sul fatto di ritenere queste la prova principe nei processi penali, anche con pena capitale.

Dopo l'ammissione di un ex magistrato che ha messo in dubbio la fondatezza della condanna a morte di un uomo che ha gia' trascorso 16 anni nel braccio della morte, un altro caso e' adesso alla ribalta delle cronache. Si tratta di una ipotesi di compravendita di voti e traffico di liquori in cui i sospetti di una piccola citta' del Giappone occidentale, Shibusi, sono stati sottoposti ad interrogatori e, in parecchi casi, a mesi di detenzione cautelare.

In tutto, 13 uomini e donne, dai 50 ai 70 anni, sono stati arrestati ed incriminati, restando in cella da 180 a 400 giorni ciascuno. Sei hanno confessato uno schema elaborato di acquisto di voti e finanziamento ai partiti. Durante il processo un uomo e' morto - per lo stress, si e' detto - ed un altro ha provato ad uccidersi. Alla fine tutti sono stati prosciolti da una corte locale, che ha trovato che le loro confessioni erano completamente artefatte. Il presidente del tribunale ha detto che gli accusati hanno confessato "per la disperazione, mentre soggiacevano ad un interrogatorio lunghissimo".

Il mese scorso, nella prefettura di Saga, un'alta corte ha assolto un uomo che ha detto di essere stato costretto a confessare di aver ucciso tre donne verso la fine degli anni '80. I giudici hanno trovato che non c'erano prove contro l'uomo, tranne la confessione, estortagli dopo 17 giorni di interrogatori durati anche 10 ore al giorno. Nella prefettura di Toyama, la polizia ha riconosciuto quest'anno che un autista di taxi che ha scontato quasi tre anni di prigione per violenza e tentata violenza nel 2002 era in realta' non colpevole, ma cio' solo dopo aver trovato il vero colpevole.

Ma e' stato un documentario del regista Masayuki Suo, piuttosto noto in Giappone, che ha sollevato la consapevolezza popolare sulle confessioni estorte. Il film - basato sulla storia vera di un giovane accusato erroneamente di aver aggredito una adolescente nel sottopassaggio di Tokyo e per questo incarcerato per 14 mesi - mostra come le autorita' ottengono le confessioni, a prescindere dalla colpevolezza degli accusati, confessioni necessarie ai procuratori soprattutto se si tratta di un caso eclatante.

Le richieste per il cambiamento del sistema penale giapponese sono in aumento, proprio mentre il Giappone sta prevedendo per il 2009 l'adozione di un sistema che permette che le vittime ed i loro parenti interroghino gli imputati in tribunale. La legge giapponese permette che la polizia detenga i sospetti fino a 23 giorni senza un atto d'accusa e poi liberandoli possa nuovamente incarcerarli per altri 23 giorni e cosi' via. I malcapitati non hanno quasi contatto con il mondo esterno e sono sotto interrogatorio costante senza la presenza di un avvocato. La pratica ha suscitato anche la condanna del comitato dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite.

Dai racconti degli imputati di Shibushi, si evince quali sono gli argomenti dei poliziotti: minacce di prigione e minacce di conseguenze per i familiari, volume altissimo durate l'interrogatorio, celle piccolissime e senza finestre, l'ossessiva ripetizione della richiesta di confessare (per ore e ore al giorno)... Insomma, vere torture psicologiche.

A Tokyo, l'agenzia nazionale della polizia ha riconosciuto l'errore di Shibushi, ma ha difeso il sistema generale, affermando anche che gli inquirenti trovano i riscontri oggettivi alla confessione ottenuta.

Le autorità locali nei vari casi sono rimaste impunite.

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Giappone: condanne a morte basate su confessioni estorte