28 marzo 2007

 
     

CEI , legalizzazione coppie di fatto : ma i Vescovi non citano i DiCo
di Mauro W. Giannini

"E' grave che i vescovi vietino ai fedeli di appellarsi al principio del pluralismo, perché sul pluralismo delle convinzioni e delle fedi si fonda qualsiasi società libera. Ed è ancor più grave che i vescovi vietino ai fedeli l’autonomia delle scelte politiche, ossia il principio fondamentale di laicità dello Stato. Dove è andata a finire la laicità dello Stato riconosciuta anche dal Vaticano?" Lo domanda il sen. Valerio Zanone, a nome del Gruppo Italiano dell’Internazionale Liberale dopo la diffusione della nota della CEI.

Non si tratta di legalizzazione delle unioni di fatto, ma di riconoscimento dei diritti individuali. E' questo invece il messaggio di Anna Finocchiaro, presidente del gruppo l'Ulivo al Senato. Sulla nota Pastorale della Cei, Finocchiaro ha dichiarato infatti: "vorrei precisare che quanti ritengono che vadano riconosciuti i diritti nascenti dalla convivenza non fanno certo riferimento all'articolo 29 della Costituzione, che tutela esclusivamente la famiglia fondata sul matrimonio, ma più precisamente agli articoli 2 e 3 della Costituzione che tutelano, rispettivamente, 'i diritti inviolabili' dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità..., e il principio di pari dignità sociale e di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, senza distinzioni di sesso e di condizioni personali e sociali. Non c'è, insomma, tra chi i sostiene una legge sulle unioni di fatto, nessuna volontà di attentare alla famiglia". Era il punto di vista gia' espresso dal ministro per la famiglia Rosy Bindi nel presentare il ddl in parlamento.

La nota della Conferenza Episcopale Italiana faceva riferimento alla "presentazione di alcuni disegni di legge che intendono legalizzare le unioni di fatto", affermando che "il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza". "Siamo consapevoli”, proseguono i vescovi, dell’esistenza di “situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive. A questa attenzione non siamo per principio contrari. Siamo però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare".

I Vescovi affermano che "sarebbe incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto" e ricordano l’affermazione della Congregazione per la Dottrina della Fede all'epoca in cui era presieduta proprio da Ratzinger, secondo cui "nel caso di un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro". "Queste riflessioni – si legge ancora nella nota del Consiglio permanente della CEI - non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale".

I Vescovi affermano anche che "Poter avere la sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio" tutelata dalla Costituzione. In conclusione, l'organismo presieduto da mons. Angelo Bagnasco si rivolge "alla coscienza di tutti e in particolare a quanti hanno la responsabilità di fare le leggi, affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro decisioni".

"Con grande rispetto per le opinioni della Cei non posso che esprimere il mio rammarico davanti alla ribadita opposizione dei Vescovi nei confronti di una proposta legislativa tanto equilibrata e saggia" aveva subito affermato il ministro per i Diritti e le Pari Opportunità, On. Barbara Pollastrini, ma secondo il costituzionalista Stefano Ceccanti, capo dell'ufficio legislativo dello stesso Ministero e a suo tempo dirigente della FUCI (giovani cattolici), la nota dei Vescovi non critica il ddl sui DiCo.

"La Nota della Conferenza Episcopale - spiega Ceccanti - non si riferisce in alcun punto a un preciso disegno di legge, né a quello sui Dico né ad altri di origine parlamentare. Pertanto si può ritenere che siano criticati i Dico solo se, al di là delle intenzioni, si dimostra che essi rientrino obiettivamente nelle tipologie criticate nella Nota". In una dettagliata precisazione, Ceccanti rileva che "la Nota riconosce positivamente che 'ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive' e invita a perseguire tale obiettivo 'nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia'".

Il prof. Ceccanti ricorda che il ddl sui Dico si intitola per l’appunto "Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi" e precisa che "diritti e doveri si riferiscono alle persone e non alle convivenze, ne' si può sostenere che un intervento legislativo di per sé configuri un riconoscimento diretto delle unioni (una 'legalizzazione') giacché il documento che indice il family day, oggetto di positivo apprezzamento da parte della Cei, apre ad 'eventuali interventi sul Codice Civile', che si possono realizzare solo con legge". E, continua il costituzionalista, "a tali fini di accertamento della 'persona che convive' il metodo che il Ddl sui Dico propone, il ricorso alla normativa vigente sull’anagrafe che già consente l’iscrizione delle persone conviventi, appare come il meno innovativo e il più oggettivo tra i vari che si possono legittimamente proporre".

Infine, nota Ceccanti, "il fatto che il Ddl sui Dico, così come la normativa anagrafica vigente, non discrimini i conviventi sulla base del sesso e consenta quindi di riconoscere diritti a persone conviventi dello stesso sesso non configura neanche una 'legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso' e ancor meno una legalizzazione delle 'unioni omosessuali'. Il Ddl non si occupa degli orientamenti sessuali, ma solo delle persone senza discriminazioni".

Speciale diritti

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