5 marzo 2007

 
     

Pubblicita' e violenze alle donne : non solo Dolce e Gabbana
di Rita Guma

Sono anni che la pubblicita' propone modelli e stereotipi negativi sulle donne, ma solo ora il mondo politico-sindacale insorge, e lo fa solo nello specifico caso di Dolce e Gabbana, gia' sollevato in Spagna.

Donne oggetto, donne sopraffatte, donne mercificate ed in quanto tali spogliabili, comprabili e usabili come oggetti, campeggiano in TV e sui cartelloni pubblicitari da decenni. Donne fatte a pezzi (seno, cosce, didietro in primo piano), e quindi private di personalita' e identita', rafforzano il messaggio che le donne sono oggetti.

Laurie Abraham, direttore esecutivo di Elle, ritiene che il problema maggiore con le riviste femminili sono le "bugie" sul sesso, che continuano a perpetuare l'idea che la sessualita' femminile sia subordinata al piacere degli uomini, cosi' come accade nelle riviste maschili. Secondo altri studiosi, molti media presentano una immagine infantile delle donne, che molti associano ad una vittima potenziale di violenza. Viceversa in altre immagini la donna appare come disponibile alla promiscuita'. Ed e' questo il messaggio che passa ai giovani, se e' vero, come indicato nel 2003 da David Buckingham e Sara Bragg, che due terzi dei giovani si rivolge ai media per 'farsi una cultura' sul sesso.

Ed il problema e' che la pubblicita' e' istantanea: racchiude in una immagine, uno slogan e - se animata - in pochi secondi, tutto il messaggio. Quindi non puo' spiegare, far riflettere, ma parla agli istinti. Cosi' e' vero quanto osservava la senatrice Anna Maria Carloni - una delle fimatarie della lettera al Giurì per l'autodisciplina pubblicitaria che chiede che Dolce e Gabbana siano richiamati al rispetto delle regole che bandiscono l’istigazione alla violenza dalla pubblicita'.

Replicando all'affermazione dei due stilisti, che richiamavano il concetto di liberta' dell'espressione artistica, Carloni sottolineava che la pubblicita' e forse arte, ma, diversamente dalle opere esposte al Louvre, "è pensata e costruita per invogliare acquisti, evocando atmosfere e relazioni che a quel tipo di acquisti sottendono. La pubblicità, per sua stessa natura ed efficacia, arriva a tutti, indiscriminatamente. A chi sa interpretare e archiviare quell’immagine come sottile – e probabilmente condiviso - gioco porno soft, ma anche a chi da un tale massiccio bombardamento ricava unicamente modelli comportamentali di sopraffazione. Il rischio che tali comportamenti vengano assunti come 'naturali' e agiti senza consenso nella vita quotidiana è molto forte".

L'osservazione e' giusta, ma andrebbe estesa anche ad altre pubblicita', ad altre case produttrici di profumi, cosmetici, abiti, gioielli, accessori, e persino - a volte - a quelle di prodotti per la casa. Il problema e' infatti tanto piu' ampio di D&G, che nel maggio 2006 il comitato pari opportunita' dell'assemblea parlamentare del Consiglio di Europa, in una apposita udienza parlamentare, si riuniva a parlare di "Immagine delle donne nella pubblicita'", rilevando appunto l'uso della donna-oggetto per vendere.

Una ricerca mondiale sulle donne nei media organizzata dalla World Association for Christian Communication ed effettuata anche in Italia dall’Osservatorio di Pavia e da professori e studenti di varie università italiane un anno fa, evidenziava quanto l’immagine e la presenza delle donne nei media sia ancora fortemente segnata da stereotipi e quanto anche la loro posizione nella piramide dei media sia ben lontana da una reale parita', il che incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana dei fruitori.

Ma esistono decine di studi - e libri da essi derivanti - che mostrano come i media che non evidenziano l'orrore della violenza e la sofferenza di chi subisce una violenza fisica o morale (e il messaggio pubblicitario stampato o in video e' fra questi, per la sua natura di estrema sintesi e superficialita') stiano ampliando l'idea che la donna accetti di buon grado o quasi desideri il sesso imposto.

Percio' meraviglia che ci si sia sollevati solo ora e solo per Dolce e Gabbana. Tuttavia anche la politica oggi parla solo per immagini e slogan. Le immagini e gli slogan infatti sono piu' facili e immediati: si ricordano, si fissano nel subconscio e sono immediatamente associabili a una sigla politica o un concetto.

Cosi' la campagna spagnola - nata in modo spontaneo - e collegata per di piu' ad una famosa griffe, quindi sicuramente d'impatto, era ideale per chi desiderasse un po' di visibilita' e un accreditamento etico o elettorale, come un sindacato sfiorato da una storia di terrorismo o un ministro che voglia evidenziare quanto fatto dal governo contro la violenza alle donne o un esponente politico dell'opposizione che volesse rimarcare la sua veste di paladino della morale. Ecco che questo caso ha suscitato scalpore e condanne morali, mentre tutti i precedenti no.

Facciamo si', invece, che questa ribellione alla pubblicita' che mercifica e svende la donna non sia anch'essa uno spot, ma poniamo piu' attenzione a quello che passa sui media, e quindi nelle nostre case e sulle nostre tavole e negli occhi dei nostri figli, ogni giorno da anni.

Speciale diritti

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