NEW del 16 maggio 2006

 
     

Voce della Chiesa cattolica nello Stato laico
di don Nicola Cateni

Vorrei soffermarmi sulla questione "voce della Chiesa nel contesto sociale e politico italiano", che ciclicamente si ripresenta, e rispetto alla quale si sentono spesso pareri contrapposti che presentano ciascuno aspetti parzialmente convincenti, ma allo stesso tempo - appunto - non "pienamente" convincenti.

A mio modesto avviso la questione non è mai stata istruita a dovere. Personalmente penso che ci siano delle mezze verità (ma, appunto, mezze!) sia in chi è favorevole agli interventi della Chiesa (o meglio, afferma che è una voce come altre che ha la sua legittimità di esprimersi), sia in chi teme che si tratti di ingerenza, viste le personalità in campo e la tradizione del nostro paese che accorda molta credibilità (o audience) a tali personaggi.

Per tentare di istruire con serenità la questione direi così:

1) Che la Chiesa abbia legittimità di parola, come tanti altri enti, è normale: ad es. si pronunciano, senza creare scandalo, associazioni quali la Confidustria, i sindacati, i singoli partiti o coalizioni, il CDA della RAI, l'Arcigay, e chi più ne ha più ne metta; si pronunciano pure singole personalità molto disparate fra loro: singoli politici, singoli vescovi, singoli industriali, singoli attori, singoli calciatori, singoli indagati di tutti i tipi, ecc. Da un punto di vista teorico nessuno mette in dubbio che ciascuno abbia diritto di parola. Se qualcuno lo fa in riferimento alla Chiesa, semplicemente è ingenuo o in mala fede: non merita considerazione. Ma non è questo, io credo, il punto.

2) Che la Chiesa abbia un peso maggiore quanto a visibilità (se in TV o nel web) o ascoltabilità (se in radio), è altrettanto un dato di fatto: non credo ad es. che manchino dichiarazioni di associazioni minori su varie questioni, solo che non vengono rilanciate sui mass media con la stessa puntualità e frequenza con cui vengono rilanciate le dichiarazioni di Ruini e di Benedetto XVI.
Questo è un dato importante che dovrebbe essere tenuto presente da parte degli interessati (personalmente ad es. mi dà fastidio l'insistenza di Ruini: prima di essere vescovo è un uomo e quindi potrebbe capire la logica umana di questo discorso; e prima di essere vescovo è un credente e potrebbe capire la logica debole del Vangelo che richiede una giusta misura per non cadere nel rischio di approfittare troppo dei mezzi e delle logiche umane. Purtroppo Ruini sembra oggi non capire né l'una né l'altra). Ma è un dato che dovrebbe essere tenuto presente anche da parte dei cattolici, in specie i politici cattolici di entrambi gli schieramenti, che dovrebbero piantarla di appellarsi esclusivamente e semplicisticamente alla libertà di parola della Chiesa.
Chiediamoci invece: da dove viene questa maggior audience accordata alla Chiesa? Risposta: le viene da un'autorevolezza che si è conquistata sul campo. Ma come gestirla, visto che c'è e che in Italia vige da anni per ragioni storiche che non possono essere ignorate, nemmeno dai suoi critici od oppositori? Esiste, io penso, una questione di "responsabilità" più che di "diritto di parola" che nessuno può mettere in discussione.

3) Ecco dunque il punto fondamentale. Un conto è proclamare alcuni valori quali la famiglia (e dico: ci mancherebbe altro, con buona pace dei radicali e dell'estrema sinistra), un conto è voler tentare di imporre i propri modelli in democrazia, facendo anche leva su una AUTOREVOLEZZA che la Chiesa si è conquistata in tanti altri campi (come ad es. quando ha levato alta la voce contro la guerra e la prepotenza, oppure quando ha mostrato di ascoltare i giovani ed essere a propria volta ascoltata da loro, oppure quando ha denunciato le ingiustizie dei paesi ricchi verso i paesi poveri, ecc.).
Non è molto onesto servirsi di tale autorevolezza usandola al momento opportuno per puntellare valori sicuramente rispettabili (e personalmente, da prete cattolico, aggiungo: sacrosanti e autentici), ma che non possono essere imposti ad altri: possono invece essere solamente propsti con la forza della buona testimonianza (e questo lo dico con buona pace dei kattolici muscolosi della Margherita e soprattutto dei kattolici del centro destra, dove la "k" non è un refuso...).

4) Nessuno dunque può impedire alla Chiesa di parlare. Qualcuno invece si potrebbe (e dovrebbe) "scandalizzare" della sua invadenza: non tanto i non credenti o non cristiani o non cattolici (mi spiace per loro, ma non hanno titoli per scandalizzarsi di un comportamento che nel loro modo di vedere non può affatto considerarsi scorretto: piuttosto continuino a lavorare o lavorino ex novo - come ha fatto la Chiesa in tanti secoli di storia - per costruirsi una loro credibilità), quanto piuttosto i cattolici, che sanno che il Vangelo vive di una logica diversa da quella esclusivamente umana, e quindi rifuggono dall'imporsi sfruttando la credibilità che comunque la Chiesa ha: ancora per l'ennesima volta ribadisco il principio morale (per chi è cattolico) secondo il quale il fine non giustifica i mezzi.

5) Un esempio - per capirsi - sono i PACS, di estrema attualità nel dibattito ecclesiale-politico: un conto è fare una scelta culturale come società, dicendo che il fondamento è la famiglia e che in primo luogo si vuole favorire e tutelare questa istituzione. Altro conto è difendere quella minoranza che non crede nell'istituto del matrimonio, e ha il diritto di vivere tutelata in forme diverse dalla famiglia tradizionale, ma al tempo stesso non ha il diritto di imporre questa propria visuale della realtà alla maggioranza. La minoranza va tutelata, ma la minoranza è tale. Punto e stop.
Ricaduta pratica: le leggi dello Stato favoriscano la famiglia, sia "promuovendola" che "tutelandola" (es.: assegni familiari per i figli), e semplicemente "tutelino" (senza "promuovere") altri tipi di unioni, riconoscendo ad esse qualche forma di assicurazione (particolari forme di tutela sanitaria, giuridica, economica).

In conclusione: laicità dello Stato significa che lo Stato non rinuncia a perseguire suoi particolari fini in ordine alla struttura della società che ritiene migliore (ad es. fondata sulla famiglia, con tutta la legislazione a favore di essa), ma lo fa tutelando al contempo i diritti di chi non si riconosce in tutti quei principi che sono sottoscritti dalla maggioranza, e che quindi ha bisogno di una legislazione particolare che fissi un minimo di tutele. Chiamiamoli PACS o chiamiamoli in altro modo, questo deve fare lo Stato, con buona pace di estremisti che vedono come fumo negli occhi gli interventi a favore della famiglia da parte della Chiesa e con altrettanta buona pace dei vertici ecclesiastici che vedono come fumo negli occhi qualsiasi discussione (legittima) sulla tutela di altre forme di convivenza.

Speciale etica e politica

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I Cattolici in politica , fra laicita' e testimonianza