NEW del 27 settembre 2005

 
     

Quell'isola e' un paradiso... e Berlusconi vuole aiutarla
di Giulia Alliani

Da un resoconto ufficiale del governo delle isole caraibiche di Antigua e Barbuda ( 1 ) si apprende che "il primo ministro italiano Silvio Berlusconi si e' offerto di aiutare Antigua e Barbuda a ridurre ulteriormente il loro debito nei confronti di altri Paesi del mondo".

Infatti "durante un incontro bilaterale con il primo ministro Spencer, nella sede delle Nazioni Unite, a New York, il primo ministro Berlusconi ha dichiarato che parlera' personalmente con altri capi di governo, compresi quelli di Paesi come Francia e altri stati europei, con i quali Antigua e Barbuda hanno impegni debitori, per convincerli a condonare il dovuto.

Ma come mai Antigua e Barbuda, sebbene un tempo elencate nelle liste nere dei paradisi fiscali, si trovano, economicamente, in cattive acque? Perche' hanno avuto bisogno di prestiti? Perche' ora questi prestiti dovrebbero essere condonati?

Secondo l'Economist del 2 dicembre 2004, "quando in marzo, ad Antigua, Baldwin Spencer vinse le elezioni con il suo UPP (United Progressive Party), trovo' le casse vuote non solo di denaro ma anche di tutti i documenti utili per rintracciarlo. Solo pochi giorni prima della consultazione elettorale l'ufficio del primo ministro fu spogliato dei files contenenti gli accordi sul debito e i contratti di spesa. Un 'calcio d'addio' da parte di Lester Bird, dell'Antigua Labour Party (partito 'familiare'), al governo dal 1951 salvo una breve parentesi".

Eppure un "paradiso fiscale" non dovrebbe avere particolari problemi economici se gli introiti, ottenuti grazie alla fuga dei contribuenti da paesi dotati di un fisco piu' esoso, servissero effettivamente a sostenere l'economia del paese e non prendessero altre strade. Tanta sollecitudine nei confronti di Antigua e Barbuda risulta un po' curiosa se si tiene conto che "al Summit del G8 a Gleneagles, il Governo italiano ha confermato che non e' in grado di assicurare le risorse per la lotta alla poverta' più volte promesse per tenere fede agli impegni internazionali" e che "oggi l'Italia investe meno di 10 centesimi al giorno per ogni cittadino nella lotta alla poverta' nel mondo.

Secondo i dati dell'Ocse-Dac, siamo l'ultimo tra i Paesi donatori, con lo 0,15% del PIL per il 2005, contro lo 0,33% che, secondo il DPEF 2003-2006, dovremmo raggiungere entro il 2006" (2). Ancora piu' curiosa risulta la generosita' italiana nei confronti delle isole dei Caraibi quando si legge che "il contributo per il 2004 di 100 milioni di euro al Fondo Globale per la lotta all'AIDS tubercolosi e Malaria é stato versato con oltre un anno di ritardo e per il 2005 risulta ridotto a 80 milioni, mentre non sono stati ancora quantificati i nuovi contributi per il 2006-2007"(2).

Sembra proprio strano dover correre in aiuto di un paradiso fiscale con prestiti e condoni, anche perche' non pare che finora Antigua e Barbuda abbiano perso del tutto le caratteristiche di un paradiso, nonostante gli sforzi dell'OCSE. A partire dal 1998 l'OCSE (OECD: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha individuato i "Key factors", cioe' dei fattori chiave, oggettivi, che definiscono un vero e proprio paradiso fiscale, stabilendo che la concorrenza fiscale dannosa si verifica quando uno Stato deliberatamente emana norme fiscali speciali la cui conseguenza e' quella di erodere la base imponibile di altri Stati.

Si tratta di giurisdizioni in cui:
1) c'è una tassazione nulla o puramente nominale, ma non effettiva
2) non c'è uno scambio effettivo di informazioni con altri Paesi
3) c'è mancanza di trasparenza nelle disposizioni legislative ed amministrative
4) per la concessione dei benefici fiscali non si richiede che l'attività svolta nel Paese abbia carattere sostanziale.

Negli anni successivi l'OCSE ha pubblicato una serie di rapporti allo scopo di contrastare gli effetti della concorrenza fiscale dannosa, e le sue conseguenze sulle basi imponibili nazionali, elencando in una "black list" i paesi identificati come "paradisi fiscali", che ufficialmente si chiamano "Centri finanziari internazionali offshore" (Offshore Financial Centres: OFCs). Siccome non tutti i regimi fiscali preferenziali sono dannosi, l'OCSE ha formato anche un altro elenco di Paesi con regimi fiscali considerati "potenzialmente" dannosi, in base a un criterio che combina un regime fiscale di esenzione, o particolarmente agevolato, con uno o più altri fattori chiave.

Scrive Marco Leofrigio, su Nigrizia del 29 giugno, che "se i paradisi fiscali sono nati per aiutare le societa' a eludere le tasse, negli ultimi venti anni il loro utilizzo ha avuto altri scopi e obiettivi: 'ripulire' e poi reinvestire in business assolutamente legali tutti gli enormi profitti derivanti dalle attività criminali e illecite". "La tecnica e' semplice" spiega Leofrigio "Si parte dal 'prelavaggio', fase nella quale il denaro entra, con i piu' svariati sistemi, nel circuito legale. Tra i metodi adottati, il piu' diffuso e' quello di frazionare i capitali in tante piccole somme - che destano meno sospetti - da versare in diversi conti bancari. Da essi, e questo e' il passaggio successivo, nasceranno altri conti bancari, aperti nei centri offshore. La tappa successiva e' il riciclaggio vero e proprio, con societa' di comodo, sempre costituite nei paradisi fiscali. Da quest'ultimi il denaro viene investito in attivita' legali: immobili, catene di ristorazione, shopping center, catene alberghiere, partecipazioni azionarie".

Oltre alla lotta al traffico di droga, e al riciclaggio di denaro sporco, si e' aggiunta, dopo l'11 settembre 2001, la necessita' di combattere il terrorismo, che ha imposto un atteggiamento piu' rigido nei confronti dei paradisi fiscali, bancari, e societari. I paesi delle isole dei Caraibi, che raccoglievano il 12% dei depositi "da paradiso", molto meno di Svizzera e Lussemburgo, sono stati sottoposti a pressioni, sia da parte di singoli paesi sia da parte dell'OCSE, perche' collaborino e siano piu' trasparenti. Molti di questi stati sostenevano di subire una censura ingiusta e di essere in grado di prevenire autonomamente eventuali abusi, grazie alla loro legislazione interna, ritenuta gia' adeguata. Ma continuare a sostenerlo era probabilmente difficile, dal momento che, tanto per fare un esempio, solo le Isole Cayman erano il quinto centro bancario del mondo, ospitando le sedi di circa 600 banche.

I paradisi fiscali, identificati sulla base dei criteri OCSE, nel Rapporto ("Progress in identifying and eliminating harmful tax pratices") del 2000 erano 35. Fra questi comparivano anche Antigua e Barbuda (3). Negli anni successivi l'OCSE ha continuato ad invitare i Paesi elencati a dimostrare la volonta' di collaborare per essere esclusi dalle future liste nere dei "paesi non cooperativi", ed evitare misure sanzionatorie coordinate, volte alla difesa dalla concorrenza fiscale dannosa.

Risale al 6 dicembre 2001 l'accordo firmato tra Stati Uniti e i governi delle Cayman e di Antigua e Barbuda per lo scambio di informazioni a fini fiscali. NEL 2002 il governo di Antigua e Barbuda si e' impegnato ( 4 ) a stabilire entro il dicembre 2005 forme di cooperazione con i paesi OCSE per quanto riguarda la trasparenza e l'effettivo scambio di informazioni in materia fiscale. Altri 11 Paesi hanno aderito all'impegno e tutti dovrebbero contribuire a determinare, in accordo con l'OCSE, alcuni standard di comportamento da rispettare. In seguito a questi impegni, sempre nel 2002, l'OCSE con un comunicato riduceva i paradisi fiscali da 35 a 7: (La lista nera del 2002 comprendeva: Andorra, Liberia, Liechtenstein, isole Marshall, Monaco, Nauru e Vanuatu). Nel 2003 anche Vanuatu ( 5 ) ha firmato un impegno a darsi delle regole entro il 31 dicembre 2005.

Tutto e' bene quel che finisce bene, sembrerebbe di poter dire, ma non e' proprio cosi'. Non e' raro in questi ultimi tempi leggere opinioni pessimistiche sul fatto che le manifestazioni di buona volonta' dei paesi-paradiso si traducano nei provvedimenti concreti promessi e previsti per la fine del 2005. Ed effettivamente una rapida visita ai siti internet che reclamizzano le operazioni possibili nei paradisi non induce a rosee previsioni: se, per esempio, cercate di sapere come regolarvi per i vostri investimenti esentasse ad Antigua e Barbuda, leggerete che le condizioni per ottenere la residenza sono "very relaxed", che il segreto bancario e' impenetrabile, e che i requisiti per istituire una IBC (International Business Company) sono davvero minimi. Degli impegni con l'OCSE, nessuna traccia.

In certi siti internet, dedicati ai possibili investitori, le informazioni fornite su Antigua sono ferme al 2000, come se nel frattempo non fosse accaduto nulla. E, se qualcosa si muove, si viene a sapere che "torna il fisco sulle isole di Antigua e Barbuda" ma "i primi a essere tassati saranno i contribuenti individuali", e non le IBC (notizia del 12 aprile 2005, Fisco Oggi - Notiziario Fiscale dell'Agenzia delle Entrate - articolo di Stefano Latini): "Il Parlamento della giurisdizione caraibica di Antigua e Barbuda, due isole una sola nazione, ha approvato recentemente una nuova legge in materia fiscale che reintroduce, in forma ordinaria, l'imposta sul reddito delle persone fisiche a partire dalla fine del 2005".

Ma, nota bene, "si tratta di un cambiamento epocale che interesserà, almeno nella fase iniziale, soltanto gli stipendi e i salari percepiti dagli oltre 70mila residenti regolarmente registrati all'interno del confine amministrativo del Paese che, soprattutto nell'ultimo decennio, ha rappresentato una delle mete più ambite da parte del turismo collegato all'offshore. In particolare, le due isole sono state scelte da contribuenti facoltosi in fuga dal fisco nazionale e da proprietari di yacht altrettanto danarosi e ansiosi di far rotta, con le proprie imbarcazioni, all'interno di quelle acque seducenti e fiscalmente generose... L'imposta sui redditi delle persone fisiche era stata abolita e, quindi, non pesava più sulle tasche dei contribuenti di Antigua e Barbuda fin dal lontano 1976, in pratica trent'anni or sono.
Dunque, la decisione del Parlamento, sostenuta e sponsorizzata dall'attuale esecutivo, espressione dello United Progressive Party che è uscito vincitore dall'ultima tornata elettorale, costituisce una sorta di svolta storica nella gestione dell'economia e delle finanze della piccola giurisdizione caraibica. A questo punto, prevedendo il sì del Senato a fine aprile, la nuova imposta dovrebbe esordire a partire dalla fine dell'anno in corso.
Secondo quanto dichiarato dal Primo ministro, Baldwin Spencer, all'origine della decisione dell'esecutivo di reintrodurre l'imposta sul reddito delle persone fisiche vi è la grave situazione in cui versano le finanze del Paese. Dopo un decennio di 'vacche grasse', ora il governo deve fare i conti con un debito pubblico da primato che ha, oramai, oltrepassato il limite di guardia posto a quota 100 miliardi di dollari e raggiunto la soglia ben più preoccupante di 111 miliardi. Al peso del disavanzo si aggiunge, poi, il fardello del settore pubblico che, su entrambe le isole, costituisce l'uscita annuale principale delle risorse a disposizione dell'erario.
In questo scenario contabile, ha affermato Spencer, non c'è altra via che reintegrare all'interno della legislazione tributaria il prelievo ordinario, in forma d'imposta annuale, sui redditi delle persone fisiche. In alternativa, ha aggiunto il capo del Governo di Antigua e Barbuda, l'equilibrio dei conti può essere raggiunto tagliando le spese che garantiscono l'erogazione dei servizi sociali e congelando le risorse destinate ai programmi di ricerca e di sviluppo relativi, in particolare, al settore agricolo e a quello del turismo. Insomma, la scelta per riequilibrare i conti è tra: più fisco, oppure, meno welfare. In fondo è un dilemma affatto distante da quelli che interessano le maggiori economie del Pianeta".

Ecco: siccome il problema ce l'abbiamo anche in Italia, perche' facciamo prestiti e condoni ai paesi-paradiso?
Se, come ha scritto l'Economist, il signor Spencer ha trovato le casse vuote, perche' non si rivolge a chi le ha vuotate?
Che c'entriamo noi, che abbiamo gia' la nostra di corruzione, e un incredibile buco nei nostri conti pubblici?

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(2) vedi: RAPPORTO SULLA POLITICA ESTERA E DI DIFESA DELL'ITALIA Governo Berlusconi (2001 - 2005) consegnato dalla Tavola della Pace durante la sessione introduttiva (8 settembre 2005) della 6a assemblea dell'Onu dei popoli a Romani Prodi.

(3) I 35 Paesi individuati erano: Andorra, Anguilla, Antigua e Barbuda, Aruba, Bahamas, Bahrein, Barbados, Belize, isole Vergini britanniche, Guernesey, isole Cook, Dominica, Gibilterra, Grenada, l'isola di Man, Jersey, Liberia, Liechtenstein, Maldive, isole Marshall, Monaco, Montserrat, Nauru, Antille olandesi, Niue, Panama, Saint-Kitts e Nevis, Sainte-Lucie, Saint-Vincent e Grenadine, Samoa occidentali, Seychelles, Tonga, isole Turk e Caicos, isole Vergini americane, Vanuatu.

Speciale Mani Pulite

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