NOTIZIARIO del 25 gennaio 2005

 
     

Servire (e morire per) lo Stato : Ambrosoli , per scelta , non per dovere
di red

La legalita' e' una scelta di liberta'. Lo ha detto il PM Gherardo Colombo nel suo intenso e commosso intervento ad un incontro in ricordo dell'avvocato Giorgio Ambrosoli, organizzato una settimana fa a Ravenna, dall'Osservatorio sulla legalita' e sui diritti onlus, dal Comitato emergenza legalita' di Ravenna e da altre associazioni e componenti della societa' civile.

La giornata si e' articolata in due momenti: intitolazione di una sala del tribunale di Ravenna a Giorgio Ambrosoli - un eroe ne' di destra ne' di sinistra - alla presenza del figlio, avv. Umberto Ambrosoli, dei magistrati Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo e delle autorita' cittadine, ed, in serata, una conferenza pubblica dal titolo "servire lo Stato".

I lavori del convegno, che ha visto una straordinaria partecipazione di pubblico, sono stati introdotti dal sindaco di Ravenna, Vidmer Mercatali, in rappresentanza dell'amministrazione patrocinante l'evento. Il sindaco ha tenuto a sottolineare il rispetto che la cittadinanza e le amministrazioni ravennati hanno sempre ritenuto fosse dovuto ai servitori dello Stato, magistrati e forze dell'ordine.

Egidio Conti, che ha parlato a nome delle associazioni organizzatrici, ha ripercorso il periodo storico nel quale maturo' l'assassinio dell'avvocato - commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Sindona - mentre il preside della locale facolta' di giurisprudenza, prof. Canestrari, ha reso omaggio alla figura di Ambrosoli, ringraziando per l'esempio dato a tutti i giovani futuri avvocati che oggi frequentano le aule delle universita'.

Il dottor Davigo ha posto l'accento sul significato di Stato come comunita' organizzata di cittadini. Quindi lo Stato siamo noi e servire lo Stato significa servire la collettivita'. L'aspetto strano, rilevava il magistrato milanese, e' che i cittadini coinvolti in vicende giudiziarie si dividono in parte vincente e parte perdente. Chi ottiene giustizia difficilmente sara' grato ad inquirenti e magistrati che hanno fatto bene il loro dovere e sono stati onesti, poiche' riterra' di aver solo ottenuto cio' che gli spettava. Chi invece viene condannato o sanzionato se la prendera' con il giudice, e non con se stesso.

Il dottor Davigo ha poi parlato di un altro strano aspetto della societa' odierna, che sempre attiene al servizio dello Stato: quello della fiducia nei membri delle Istituzioni. Il magistrato ha sottolineato come nella quotidianita' i cittadini perdano la fiducia - senza per far queattendere la sentenza di un tribunale - nel conoscente che commetta palesemente un illecito. Diversamente si comportano diversi enti locali e il parlamento, accogliendo al proprio interno membri scoperti in flagrante reato o addirittura condannati.

Davigo, ricordando l'assassinio di Ambrosoli, ha ricordato i 24 magistrati uccisi nell'adempimento del proprio dovere, alcuni dei quali affrontarono cosapevolmente la morte: un numero che non ha confronti in tutto il mondo occcidentale. Il magistrato ha ricordato il commento di un collega francese, il quale aveva chiesto quale fosse il motivo di tale carneficina. Alla risposta che era l'unico modo per fermare quei magistrati, il Francese aveva commentato: "in Francia non ve n'e' bisogno".

Ecco, ha concluso il dott. Davigo, oggi non vi sono piu' magistrati uccisi, perche' per fermarli non occorre piu' ricorrere alle armi. Il riferimento era alle riforme della magistratura che, come ha denunciato il Capo dello Stato, qualora approvate minerebbero l'indipendenza dei magistrati rendendoli soggetti all'esecutivo.

Il dottor Colombo ha voluto soffermarsi sulle parole "dovere" e "servitore" (dello Stato). Tali vocaboli, ha evidenziato il magistrato, hanno sostanzialmente una connotazione negativa, essendo associati ad una immagine di peso, fatica, scarsa convinzione, disparita' fra chi agisce e l'entita' per la quale agisce. Colombo ha detto che invece l'avv. Giorgio Ambrosoli "ha rivendicato la sua liberta' di essere coerente con se stesso", anche andando consapevolmente incontro alla morte, come rivelato da un suo scritto alla moglie in cui anni prima dell'omicidio paventava gia' questa conclusione della sua vita.

Nel caso di Ambrosoli, quindi, si e' trattato di una scelta di liberta', non dell'accettazione di una costrizione o di un gravame. Piu' che un "dovere" e' stato un "volere". Tale scelta, agli occhi di Colombo - che ha seguito come magistrato inquirente l'inchiesta sulla vicenda Ambrosoli, venendo a contatto con tutta la famiglia dell'"eroe borghese" - ha portato ai figli l'enorme ricchezza dell'esempio, dato che restare in vita sarebbe stata invece una scelta di compromesso, come vendersi.

Colombo ha parlato della legge, ricordando che nella notte dei tempi per essa si trovava origine e giustificazione in Dio. Successivamente essa era un'esclusiva dei Re, il cui potere, non a caso, derivava direttamente da Dio. Si e' poi parlato nei secoli di "diritto naturale " e infine di diritto che giustifica se stesso. Oggi la legge e' legittimata dal processo attraverso il quale viene generata. Si tratta comunque di definizioni che danno alla legge una legittimazione che viene dall'alto, o dall'esterno. La legge - ha sottolineato Colombo - e' invece liberta'.

L'avvocato Umberto Ambrosoli, con riferimento al tema dell'incontro, "servire lo Stato", ha ricordato che il padre non era un uomo dello Stato, essendo in realta' un libero professionista che, in giovane eta', ebbe il gravoso incarico di straordinaria rilevanza. Giorgio Ambrosoli - ha sottolineato il figlio - aveva comunque sempre voluto fare qualcosa per il Paese, ed in tal senso era da intendersi la sua visione politica come un impegno avulso dalle posizioni di parte, con un riferimento che rappresentasse tutti e con una volonta' comune di servire il bene di tutti.

In quest'ottica Giorgio Ambrosoli ha operato ed - a giudizio del figlio - non ha voluto porsi come esempio, ma semplicemente essere se stesso. Continuando ad essere invece un esempio ancora oggi.

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