NOTIZIARIO del 14 aprile 2004

 
     

Il terrorismo islamico in Italia e nel mondo
di Armando Spataro

Questa e' una relazione sul terrorismo islamico tenuta da Armando Spataro, procuratore aggiunto e capo del pool antiterrorismo di Milano, ad un Incontro di Studi del CSM, a Roma, il 29 marzo scorso della quale avevamo gia' pubblicato giorni fa la parte relativa alle priorita' nelle strategie di contrasto.

L'autore vuol sottolineare che la relazione non tratta argomenti giuridici e non ha pretese di esaustività. Per noi costituisce comunque un prezioso strumento per tentare di capire i problemi che attualmente ci si pongono di fronte.

C S M - Incontro di studio sul tema " Terrorismo e Legislazione Penale" Roma 29-31 marzo 2004 Relazione di Armando Spataro

Le nuove forme di manifestazione di terrorismo internazionale: in particolare il terrorismo islamico. Indici rivelatori della presenza; modalità operative sul territorio nazionale; canali di finanziamento delle attività; legami con la criminalità organizzata (29.3.04)

1. Premessa: l'oggetto della relazione

Come risulta dalla presentazione dell'Incontro di studi su "Terrorismo e Legislazione penale", questa relazione non affronterà temi squisitamente giuridici - affidati ad altri relatori - ma tenterà un'analisi del fenomeno del terrorismo di matrice islamica, in particolare nelle sue forme di manifestazione nel territorio italiano (pur se non mancheranno riferimenti al contesto europeo). Sarà dunque necessaria una sorta di catalogazione dei filoni e delle matrici politico-religiose in cui si collocano le associazioni operanti nel paese, prima di descrivere le condotte dei rispettivi militanti per come sin qui accertate.

A quest'ultimo proposito, non può non partirsi da una ovvia constatazione: fino all'11 marzo scorso, gli esperti e gli osservatori internazionali, pressocchè concordemente e nonostante le minacce e gli anatemi provenienti da numerosi esponenti di rilievo delle principali organizzazioni terroristiche di matrice islamica, consideravano l'Europa una sorta di retroterra logistico, utilizzato, cioè, per attività di proselitismo ad ampio raggio (specie tra le masse di immigrati clandestini), per organizzare l'invio nelle zone di guerra di militanti muniti di documenti falsi di identità e per raccogliere mezzi e denaro (anche attraverso attività illecite) da spedire ai combattenti per sostenerne e finanziarne le attività.

Ma la strage di Madrid obbliga tutti ad un brusco risveglio, dà ragione a chi aveva sempre temuto il peggio e spinge gli addetti ai lavori - tra i quali i magistrati - a dotarsi di nuovi strumenti di contrasto del fenomeno terroristico internazionale.

E' doveroso ricordare che la magistratura italiana, proprio negli anni più bui del terrorismo interno, cioè negli anni '70 e durante buona parte degli anni '80, è stata capace di esprimere un eccellente livello di professionalità: specializzazione, lavoro di gruppo, coordinamento spontaneo tra uffici giudiziari, raccordo effettivo e leale con la polizia giudiziaria, capacità di gestione di un fenomeno divenuto quasi di massa come quello dei cd. pentiti e rispetto delle garanzie degli imputati ne caratterizzarono l'azione.

E sono proprio quei parametri di comportamento professionale che devono essere recuperati in pieno, specie in un momento storico, come l'attuale, in cui la cd. "stagione delle riforme" rischia di appannare la capacità della magistratura di esercitare il suo ruolo di indirizzo nei confronti della polizia giudiziaria, trasferendo progressivamente su questa la responsabilità delle scelte investigative e finanche la direzione del coordinamento.

2. Cenni storici sul terrorismo di matrice islamica

E' impossibile in questa sede pensare di poter realizzare una storia del radicalismo islamico che ha condotto, nella sua massima espressione, al terrorismo : ed il magistrato, poi, anche se esperto, non è certo il più indicato per sostenere il ruolo dello storico, anche se le inchieste giudiziarie finiscono per documentare esse stesse un pezzo di storia. E' utile, però, un minimo sforzo di ricostruzione della storia più recente, di quelle vicende, cioè, che, sia pure sviluppatesi in altra parte del mondo, hanno determinato l'attuale scenario, che interessa e preoccupa ormai l'intero Occidente.

Premesso che il conflitto tra palestinesi ed israeliani, forse per la specificità delle questioni che ne sono all'origine, non sembra avere generato, almeno nel più recente passato, attività terroristiche al di fuori di quella regione, converrà partire dall'invasione sovietica dell'Afghanistan, nel '79, come fattore che ha indubbiamente catalizzato la risposta jihadista . Il dar al-islam (il territorio dell'islam), infatti, secondo la visione jihadista, veniva in quel momento minacciato dalle orde dell'ateocrazia moscovita al punto da sollecitare molte energie nella difesa della causa dei fratelli afghani. In particolare, quella lotta impegnò i pakistani che hanno sempre considerato l'Afghanistan parte integrante del proprio territori e che potevano contare sulla fucina di militanti usciti da scuole ed università coraniche.

Ed è in Afghanistan e nel vicino Pakistan, infatti, che si trasferiscono in quel periodo numerosi personaggi di rilievo del fondamentalismo islamico provenienti anche dalla Palestina (ad es., Abdallh Jusuf Azzam) e dall'Arabia Saudita (tra cui lo stesso Osama bin Laden, attivo sin dall'inizio della guerra di liberazione dai sovietici). E' proprio Osama bin Laden, anzi, a dimostrare un'elevata capacità di gestione e sostentamento del crescente flusso di volontari e messi che arrivano da varie parti del Medio Oriente: si crea un circuito bellico completo, che va dal reclutamento al trasporto nella zona di guerra, dall'armamento all'addestramento ed alla logistica. Nascono così i campi di addestramento dei militanti jihadisti, caratterizzati dalle diverse etnie di coloro che li affollano.

Secondo gli storici e gli analisti, Abdallh Jusuf Azzam entra in conflitto strategico con un altro personaggio emergente, oggi considerato il braccio destro di Bin Laden: il pediatra egiziano Ayman al-Zawahiri. Mentre il primo teorizza la necessità di concentrarsi sulla creazione di un califfato afgano-pakistano, come polo di irradiamento verso la penisola arabica, per poi affrontare le grandi potenze esterne, il secondo predica una visione della guerra santa che non si limita a contrastare i nemici esterni al dar al-islam, ma intende contemporaneamente sovvertire i regimi corrotti ed apostati dello stesso mondo mussulmano. Si tratta di un confronto teologico-strategico a tutt'oggi centrale nel dibattito jihadista: il 24.11.89, comunque, Abdallh Jusuf Azzam salta in aria su un'automobile a Peshawar, mentre si salda il rapporto tra Osama bin Laden e Ayman al-Zawahiri.

Il ritiro sovietico dall'Afghanistan nel 1989 è celebrato da Osama e compagni come un trionfo: si può passare alla lotta a tutto campo contro i nemici dell'Islam, interni ed esterni. Il ritiro delle truppe sovietiche nel 1989, però, non risolve la crisi afghana, ma al contrario, dal febbraio 1989 all' aprile 1992, determina una guerra civile che oppone il regime del presidente Najibullah alle differenti fazioni della resistenza, successivamente ad una lotta tra questi gruppi.

Molti dei volontari arabi che erano suddivisi nelle differenti fazioni afghane cessano di combattere in questa occasione: alcuni tornano nei Paesi di origine (divenendo spesso avanguardie delle organizzazioni islamiche locali); altri si recano nei Paesi europei ove tradizionalmente è alto il flusso dell'immigrazione e qui sviluppano attivo proselitismo all'interno delle loro comunità (iniziano i viaggi di molti aspiranti mujahidin per seguire un periodo di formazione nei campi nella zona pakistano-afghana); altri, ancora, si rifugiano nelle zone tribali alla frontiera pakistano-aghana e di lì, frequentemente, si impegnano per guadagnare nuove terre alla jihad (Bosnia, Kosovo, Cecenia) apportando un sostegno costante ai differenti gruppi islamici in lotta.

Intanto, la guerra civile afgana porta nel 1996 alla vittoria dei Taliban. Il 26.10.97 nasce l'Emirato islamico di Afghanistan, guidato dal mullah Omar, con il cui regime è proprio Osama bin Laden a stabilire un rapporto privilegiato. L'Afghanistan assurge così ad un ruolo centrale nella strategia jihadista, divenendo il simbolo del successo che può determinare la solidarietà tra fratelli mussulmani in pericolo, fino alla vittoria ottenuta contro la seconda grande potenza del mondo (tale era l'impero sovietico al momento della ritirata). Non va dimenticato, però, che la guerra del Golfo, nel 1991, aveva portato alla presenza sul territorio saudita di basi e di truppe occidentali in vicinanza dei luoghi santi dell'Islam, con ciò favorendo la radicalizzazione di molti combattenti jihadisti : sembrano confermate, peraltro, le tesi di al-Zawahiri: i regimi arabi si mostrano collusi con gli infedeli, cui svendono le ricchezze petrolifere ed aprono la penisola arabica.

Il governo saudita, in questo periodo, "rompe" con Bin Laden che pure continua a mantenere rapporti con esponenti dell'elite religiosa, finanziaria e politica del regno saudita. Ma Bin Laden, prima di tornare in Afghanistan, aveva sperimentato la sua internazionale in Africa, forte del sostegno di al-Zawahiri, gestore della rete dei corrieri jihadisti: Bin Laden, infatti, si trasferisce in Sudan contribuendo a farne un pilastro del movimento jihadista, poi invia centinaia dei suoi accoliti in Somalia, entrata nel caos dopo la cacciata del dittatore Siad Barre (27.1.1991), per combattere contro le truppe dell'ONU.

Ed è per questo che Bin Laden viene perseguito inizialmente dalle autorità americane che lo considerano indirettamente responsabile della morte di diciotto rangers americani caduti in una imboscata a Mogadiscio. Un "successo" che spinge i jihadisti a sfidare gli U.S.A. in modo impensabile, con l'attacco nel loro territorio: il primo attentato al World Trade Center, infatti, risale al 26.2.93. Altri due conflitti, uno in un territorio strategico per la geopolitica islamista, la Bosnia (tra il 1992 ed il 1995), e l'altro, la Cecenia, forniscono a migliaia di mujahidin altre occasioni di combattere.

La Bosnia non diventa un stato islamico, ma molti jihadisti vi metteranno le radici diffondendovi il loro verbo e promuovendolo in vari paesi europei, tra cui l'Italia e la Germania. La Cecenia, in lotta per l'indipendenza da Mosca, è ancora oggi scenario di guerra in cui i mujahidin si sono inseriti con l'obiettivo di dare vita ad un esteso califfato caucasico. Tornando a Bin Laden, imprenditore, egli mette a disposizione della "causa" la sua fortuna personale e le relazione con il mondo economico e finanziario della penisola arabica che gli derivano dalle attività del suo giro familiare: ne nasce una vera confraternita che, dunque, fa capo - si dice -a centinaia di finanzieri.

L'autofinanziamento della rete è, comunque, una realtà indiscutibile e vi contribuiscono anche, da un lato, le charities manovrate dalla sua confraternita e, dall'altro, il traffico di oppio afghano (almeno fino alla fine del regime del mullah Omar). Come ogni holding che si rispetti, anche quella jihadista cura l'immagine e l'informazione: dalle radio ai siti web, dai bollettini ai portavoce ed alle videocassette, i militanti fondamentalisti usano le libertà e gli strumenti occidentali per propagandare la guerra santa.

L'attacco dell'11.9.2001 alle Torri Gemelle di N.Y.C. ed al Pentagono a Washington segna naturalmente l'apice della strategia della holding di Bin Laden ed interviene in un momento in cui già è iniziata la "delega" alle strutture regionali e locali, sotto la spinta del dr. al-Zawahiri (apostolo tra Asia, Africa e Balcani), della messa a punto dei piani terroristici. La reazione statunitense, culminata nel bombardamento di Tora Bora e dei campi di addestramento jiahdisti, determina la fuga di Bin Laden e dei suoi, la caduta del regime del mullah Omar e la perdita dell'Afghanistan come retroterra logistico ed addestrativi.

Il Pakistan è costretto ad una nuova politica nei confronti del terrorismo, mentre nell'Africa settentrionale e perfino nel Corno d'Africa si creano alleanze, sia pure non tutte di pari efficacia, per contrastare i terroristi jiadhisti. Perfino i loro spostamenti via mare diventano oggetto di strategie mirate di contrasto. L'organizzazione e la strategia di Bin Laden, conseguentemente, si regionalizzano ulteriormente, anzi si frantumano in mille rivoli: una devolution del terrore, si potrebbe dire con termine oggi in voga in Italia. Ma senza che ne derivi un calo di pericolosità, come purtroppo i fatti di Madrid hanno dimostrato. Né è diminuita la pericolosità specifica di Bin Laden, nonostante le indubbie difficoltà logistiche in cui si trova: l'attacco angloamericano all'Iraq, anzi, è stato da lui e dagli jihadisti percepito come l'annuncio della imminente offensiva finale contro tutti i popoli islamici, in via di preparazione con l'appoggio di Israele.

Questa, comunque, è la base degli appelli alla mobilitazione che Osama bin Laden trasmette dai suoi rifugi. L'ultimo, trasmesso il 4.1.2004 da al-Jazira, mette in guardia i mussulmani dalla prossima occupazione degli Stati del Golfo: Bin Laden enfatizza la minaccia dello smembramento della penisola arabica proprio per suscitare dovunque la mobilitazione generale della rete jihadista, per ridarle slancio facendo leva sull'obbligo supremo di proteggere i Luoghi Santi, per conferirle dimensione globalizzante e per indirizzarla anche contro regimi oppressivi e corrotti.

Il livello di pericolosità di tale progetto per gli italiani e gli europei non è connesso solo al numero delle vittime ed alla quantità di distruzioni che gli atti terroristici possono determinare: esso dipende, infatti, anche dal grado di penetrazione del jihadismo in Europa. Esso tende a strutturare pezzi di territorio - soprattutto le periferie urbane dove più massiccia è la presenza dell'immigrazione mussulmana - in appendici del dar al-islam in versione fondamentalista. La minaccia, dunque, è inevitabilmente in casa nostra.

(continua con Il fenomeno
del terrorismo islamico in Italia >
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