NOTIZIARIO del 29 giugno 2004

 
     

Corte Costituzionale su Condono edilizio 9
Sentenza della Corte costituzionale N. 196, anno 2004

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21. - L'insieme delle considerazioni fin qui sviluppate induce a ritenere alcune parti della nuova disciplina del condono edilizio contenuta nell'art. 32 impugnato contrastanti con gli artt. 117 e 118 Cost., per ciò che riguarda le Regioni ad autonomia ordinaria, nonché con gli artt. 4, numero 12, e 8 della legge costituzionale n. 1 del 1963, per ciò che riguarda la Regione Friuli-Venezia Giulia: ciò perché questa norma, in particolare, comprime l'autonomia legislativa delle Regioni, impedendo loro di fare scelte diverse da quelle del legislatore nazionale, ancorché nell'ambito dei principi legislativi da questo determinati.

L'individuazione di profili di sicura competenza statale nella disciplina in esame, sia per la parte relativa agli aspetti penalistici sia per la parte relativa alla determinazione dei principi fondamentali sul governo del territorio, inducono questa Corte ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale solo parziale, limitandola a quelle disposizioni del testo legislativo che, in contraddizione con gli stessi enunciati dell'art. 32 (il comma 3 afferma che "le condizioni, i limiti e le modalità del rilascio del predetto titolo abilitativo sono stabilite dal presente articolo e dalle normative regionali", mentre il comma 4 stabilisce che "sono in ogni caso fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano"), escludono il legislatore regionale da ambiti materiali che invece ad esso spettano, sulla base delle disposizioni costituzionali e statutarie. Il riconoscimento in capo alle regioni di adeguati poteri legislativi, da esercitare entro termini congrui, rafforza indirettamente anche il ruolo dei Comuni, dal momento che indubbiamente questi possono influire sul procedimento legislativo regionale in materia, sia informalmente sia, in particolare, usufruendo dei vari strumenti di partecipazione previsti dagli statuti e dalla legislazione delle Regioni (in anticipazione o in attuazione di quanto ora previsto dal nuovo quarto comma dell'art. 123 Cost.).

Alla stregua di quanto sopra detto, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo anzitutto il comma 26 dell'art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all'Allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003. Analoga dichiarazione di illegittimità costituzionale va pronunziata per il comma 25 dell'art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nella medesima disposizione. In terzo luogo, i possibili diversi limiti opponibili dalla legge regionale non possono non riguardare anche quelle opere situate nel territorio regionale cui i commi 14 e seguenti dell'art. 32 rendono applicabile il condono, malgrado si tratti di beni che insistono su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale: da ciò la dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 14, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 si applichi anche a questa categoria particolare di opere.

In quarto luogo, appare del tutto incongrua, rispetto alla complessità delle scelte spettanti alle autonomie regionali, la determinazione nel comma 33 di un termine perentorio di sessanta giorni - connesso alla previsione di cui alla lettera b) del comma 26 - entro il quale le Regioni dovrebbero esercitare il loro potere normativo; da ciò la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'inciso "entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto" e la necessità che esso sia sostituito con il rinvio esplicito alla legge regionale di cui al comma 26. In quinto luogo, va altresì dichiarata la incostituzionalità del comma 37, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 possa disciplinare diversamente gli effetti del silenzio, protratto oltre il termine ivi previsto, del Comune cui gli interessati abbiano presentato la documentazione richiesta.

In sesto luogo, va dichiarata l'illegittimità costituzionale del comma 38, nella parte in cui prevede che sia l'Allegato 1 dello stesso d.l. n. 269 del 2003, anziché la legge regionale di cui al comma 26, a determinare la misura dell'anticipazione degli oneri concessori, nonché le relative modalità di versamento; conseguentemente, è da dichiarare costituzionalmente illegittimo lo stesso Allegato 1, nelle parti in cui determina la misura dell'anticipazione degli oneri concessori e le relative modalità di versamento. In settimo luogo, deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 32 impugnato, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 debba essere emanata entro un congruo termine da stabilirsi ad opera del legislatore statale. Infatti, il necessario riconoscimento del ruolo legislativo delle regioni nella attuazione della legislazione sul condono edilizio straordinario esige, ai fini dell'operatività della normativa in esame, che il legislatore nazionale provveda alla rapida fissazione di un termine, che dovrà essere congruo perché le regioni e le province autonome possano determinare tutte le specificazioni cui sono chiamate dall'art. 32 - quale risultante dalla presente sentenza - sulla base del dettato costituzionale e dei rispettivi statuti speciali.

Il legislatore nazionale dovrà inoltre provvedere a ridefinire i termini previsti, per gli interessati, nei commi 15 e 32 dell'art. 32, nonché nell'Allegato 1 al d.l. n. 269 del 2003, convertito in legge ad opera della legge n. 326 del 2003, di recente già prorogati dal d.l. n. 82 del 2004, convertito dalla legge n. 141 del 2004 (ciò ovviamente facendo salve le domande già presentate). È peraltro evidente che la facoltà degli interessati di presentare la domanda di condono dovrà essere esercitabile in un termine ragionevole a partire dalla scadenza del termine ultimo posto alle Regioni per l'esercizio del loro potere legislativo. In considerazione della particolare struttura del condono edilizio straordinario qui esaminato, che presuppone un'accentuata integrazione fra il legislatore statale ed i legislatori regionali, l'adozione della legislazione da parte delle Regioni appare non solo opportuna, ma doverosa e da esercitare entro il termine determinato dal legislatore nazionale; nell'ipotesi limite che una Regione o Provincia autonoma non eserciti il proprio potere legislativo in materia nel termine massimo prescritto, a prescindere dalla considerazione se ciò costituisca, nel caso concreto, un'ipotesi di grave violazione della leale cooperazione che deve caratterizzare i rapporti fra Regioni e Stato, non potrà che trovare applicazione la disciplina dell'art. 32 e dell'Allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003, così come convertito in legge dalla legge n. 326 del 2003 (fatti salvi i nuovi termini per gli interessati).

Le suddette considerazioni assorbono i rilievi mossi contro i commi 1, 2, 3 e 4 dell'art. 32. 22. - Le conclusioni appena raggiunte circa la parziale illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate per violazione delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute alle autonomie regionali non possono non influire sulla valutazione delle ulteriori e più generali censure di ordine sostanziale proposte dalle Regioni ricorrenti. 23. - Alcune delle Regioni ricorrenti contestano la complessiva legittimità costituzionale della nuova legislazione sul condono edilizio poiché opererebbe un illegittimo bilanciamento fra valori costituzionali primari ed altri interessi pubblici: in particolare, si sacrificherebbe irrimediabilmente la tutela dei beni ambientali e paesaggistici di cui al secondo comma dell'art. 9 Cost., così violando anche l'art. 117, terzo comma, Cost., che affida alla competenza regionale la valorizzazione dei beni ambientali. La giurisprudenza costituzionale avrebbe elaborato un "principio costituzionale di indisponibilità dei valori costituzionalmente tutelati"; conseguentemente, il valore costituzionale di un ordinato assetto del territorio non potrebbe "essere scambiato con valori puramente finanziari", come invece avverrebbe nel caso della sanatoria edilizia.

La questione non è fondata. Non v'è dubbio che gli interessi coinvolti nel condono edilizio, in particolare quelli relativi alla tutela del paesaggio come "forma del territorio e dell'ambiente", siano stati ripetutamente qualificati da questa Corte come "valori costituzionali primari" (cfr., tra le molte, le sentenze n. 151 del 1986, n. 359 e n. 94 del 1985); primarietà che la stessa giurisprudenza costituzionale ha esplicitamente definito come "insuscettibilità di subordinazione ad ogni altro valore costituzionalmente tutelato, ivi compresi quelli economici" (in questi termini, v. sentenza n. 151 del 1986). Tale affermazione rende evidente che questa "primarietà" non legittima un primato assoluto in una ipotetica scala gerarchica dei valori costituzionali, ma origina la necessità che essi debbano sempre essere presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni; in altri termini, la "primarietà" degli interessi che assurgono alla qualifica di "valori costituzionali" non può che implicare l'esigenza di una compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei processi decisionali all'interno dei quali si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o amministrative. Il bilanciamento che nel caso di specie verrebbe in considerazione, secondo le ricorrenti, è quello tra i valori tutelati in base all'art. 9 Cost. e le esigenze di finanza pubblica; a questo proposito, però, le Regioni ritengono che nella disciplina impugnata si opererebbe una totale e definitiva compromissione dell'interesse paesistico-ambientale: ciò in quanto uno dei due interessi (quello relativo alla tutela dell'ambiente, del paesaggio e del territorio) apparirebbe, a differenza dell'altro, sacrificato in via del tutto definitiva (e ciò a differenza di altri condoni, come quello fiscale, che pure comportano effetti di clemenza penale).

In realtà, questa Corte, nella sua copiosa giurisprudenza in tema di condono edilizio, ha più volte riconosciuto - in particolare nella sentenza n. 85 del 1998 - come in un settore del genere vengano in rilievo una pluralità di interessi pubblici, che devono necessariamente trovare un punto di equilibrio, poiché il fine di questa legislazione è quello di realizzare un contemperamento dei valori in gioco: quelli del paesaggio, della cultura, della salute, della conformità dell'iniziativa economica privata all'utilità sociale, della funzione sociale della proprietà da una parte, e quelli, pure di fondamentale rilevanza sul piano della dignità umana, dell'abitazione e del lavoro, dall'altra (sentenze n. 302 del 1996 e n. 427 del 1995). Alla luce di tali considerazioni, la disciplina del condono edilizio di cui all'art. 32 impugnato, come risultante dalle già argomentate dichiarazioni di illegittimità costituzionale parziale (che ne determinano, tra l'altro, la sostanziale discontinuità rispetto ai precedenti condoni del 1985 e del 1994), non appare, allo stato attuale, in contrasto con la primarietà dei valori sanciti nell'art. 9 Cost.

È infatti evidente che la tutela di un fondamentale valore costituzionale sarà tanto più effettiva quanto più risulti garantito che tutti i soggetti istituzionali cui la Costituzione affida poteri legislativi ed amministrativi siano chiamati a contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco. E il doveroso riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo specificativo - all'interno delle scelte riservate al legislatore nazionale - delle norme in tema di condono contribuisce senza dubbio a rafforzare la più attenta e specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio, che sono - per loro natura - i più esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi. 24. - Non pochi rilievi di costituzionalità sollevati dalle Regioni concernono la violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della pretesa irragionevolezza del nuovo condono edilizio, in relazione ad una serie di elementi convergenti, essenzialmente caratterizzati dalla mancata considerazione, da parte del legislatore statale, dei mutamenti che si sono prodotti nel periodo più recente nella legislazione e nella gestione urbanistica. In sostanza, la attuale disciplina in tema di condono edilizio si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza, poiché mancherebbero del tutto quelle circostanze eccezionali che, nelle precedenti situazioni, avevano portato la Corte costituzionale a ritenere giustificata la sanatoria; inoltre, l'irragionevolezza scaturirebbe dalla inidoneità intrinseca dello strumento rispetto agli scopi perseguiti in modo esplicito o implicito.

Le predette argomentazioni sono basate sulla circostanza secondo la quale, nelle precedenti occasioni, il condono era stato ritenuto strumento costituzionalmente accettabile in quanto inteso come "chiusura di una epoca di illegalità e punto di partenza di una nuova legalità"; e ciò in considerazione sia delle caratteristiche della normativa urbanistica allora in vigore, che appariva arcaica e farraginosa, sia della evidente incapacità dei Comuni di assicurare il rispetto della medesima normativa. Secondo le ricorrenti, invece, occorrerebbe prendere atto che - al momento attuale - da una parte la ripetizione nel tempo del condono vanificherebbe i suoi effetti positivi, rinviando di continuo il punto di "ripartenza" della nuova legalità, mentre, dall'altra, sarebbe venuta meno quella situazione di farraginosità normativa che aveva giustificato la sanatoria del 1985 e che già nel 1994 (sentenza n. 427 del 1995) non era più considerata elemento rilevante. Inoltre, nel periodo più recente si sarebbe potuto registrare non solo il consolidamento della nuova legislazione urbanistica, specie tramite l'adozione del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, ma anche un significativo incremento delle attività di repressione degli illeciti edilizi e dunque un aumento del tasso complessivo di legalità nel settore.

Conseguentemente, la disciplina di sanatoria in esame, per le ricorrenti, da un lato sarebbe priva degli antichi presupposti che ne potevano sorreggere l'intrinseca adeguatezza rispetto agli obiettivi di riassetto del territorio, dall'altro assumerebbe inevitabilmente una potenzialità dannosa rispetto ai medesimi obiettivi, poiché si vanificherebbe quanto fino ad oggi è stato realizzato con il decisivo apporto delle autonomie territoriali. In relazione agli obiettivi impliciti (l'entrata finanziaria), le Regioni ricorrenti affermano che la quantificazione delle risorse acquisibili alle casse dello Stato risulterebbe fondata su elementi assolutamente incerti e aleatori; in secondo luogo, si afferma che alle entrate programmate dovrebbero corrispondere certamente ingenti oneri di spesa aggiuntiva a carico degli enti territoriali per la realizzazione delle opere di urbanizzazione e per la riqualificazione del territorio, oneri che non sarebbero stati stimati esattamente dal legislatore statale, così impedendo ogni corretto bilanciamento dei valori costituzionali in gioco. Le questioni, nei termini appena precisati, non sono fondate.

Questa Corte, nella già richiamata giurisprudenza in tema di condono edilizio, ha più volte messo in evidenza che fondamento giustificativo di questa legislazione è stata la necessità di "chiudere un passato illegale" in attesa di poter infine giungere ad una repressione efficace dell'abusivismo edilizio, pur se non sono state estranee a simili legislazioni anche "ragioni contingenti e straordinarie di natura finanziaria" (tra le altre, cfr. sentenze n. 256 del 1996, n. 427 del 1995 e n. 369 del 1988, nonché ordinanza n. 174 del 2002). Ciò a giustificazione di un provvedimento normativo senza dubbio eccezionale e straordinario, che deve trovare la propria ratio sia nella "persistenza del fenomeno dell'abusivismo, con conseguente esigenza di recupero della legalità", sia nella imputabilità di tale fenomeno di abusivismo "almeno in parte, proprio alla scarsa incisività e tempestività dell'azione di controllo del territorio da parte degli enti locali e delle Regioni" (cfr. sentenza n. 256 del 1996 e, analogamente, sentenze n. 302 del 1996 e n. 270 del 1996).

Su questo piano, non può negarsi che la legislazione statale negli ultimi anni sia profondamente mutata, prevedendo ormai strumenti preventivi e repressivi adeguati, e che abbia trovato anche una sua relativa stabilizzazione nel recente testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia adottato con d.P.R. n. 380 del 2001 (non a caso, il comma 2 dello stesso art. 32 impugnato si riferisce appunto - seppur con norma contestata dalle ricorrenti ed alla quale si farà riferimento oltre - a questo testo unico come ad una fonte idonea a creare discontinuità nella stessa legittimazione ad adottare un condono edilizio).

Al tempo stesso, non poche realtà comunali e regionali sembrano aver assunto linee di politica amministrativa e legislativa coerenti con un'azione di contrasto dell'abusivismo edilizio, anche se certo non in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale. In realtà, la giurisprudenza di questa Corte ha sempre considerato ogni condono edilizio, che incide - come si è ripetutamente sottolineato - sulla sanzionabilità penale e sulla stessa certezza del diritto, nonché sulla tutela di valori essenziali come il paesaggio e l'equilibrato sviluppo del territorio, solo come un istituto "a carattere contingente e del tutto eccezionale" (in tale senso, ad esempio, sentenze n. 427 del 1995 e n. 416 del 1995), ammissibile solo "negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale" (sentenza n. 369 del 1988), dovendo in altre parole "trovare giustificazione in un principio di ragionevolezza" (sentenza n. 427 del 1995). Pertanto questa Corte, specie dinanzi alla sostanziale reiterazione - tramite l'art. 39 della legge n. 724 del 1994 - del condono edilizio degli anni ottanta, più volte ha ammonito che non avrebbe superato il vaglio di costituzionalità una ulteriore reiterazione sostanziale della preesistente legislazione del condono (fra le molte, cfr. sentenze n. 427 del 1995 e n. 416 del 1995, nonché ordinanze n. 174 del 2002, n. 45 del 2001 e n. 395 del 1996).

Tali affermazioni, tuttavia, non implicano l'illegittimità costituzionale di ogni tipo di condono edilizio straordinario, mai affermata da questa Corte. Piuttosto, occorre uno stretto esame di costituzionalità del testo legislativo che preveda un nuovo condono edilizio, al fine di individuare un ragionevole fondamento, nonché elementi di discontinuità rispetto ai precedenti condoni edilizi, in modo da evitare l'obiezione secondo cui si sarebbe in realtà prodotto un vero e proprio ordinamento legislativo stabile, diverso e contrapposto a quello ordinario, della cui gestione per di più sono in larga parte titolari soggetti istituzionali diversi dallo Stato.

Sottoponendo l'art. 32 oggetto del presente giudizio all'esame se sussista una giustificazione del condono, rileva il comma 2 di questo articolo, il quale esprime - seppure con linguaggio in parte improprio - l'opportunità che si preveda ancora una volta un intervento straordinario di condono edilizio nelle contingenze particolari della recente entrata in vigore del testo unico delle disposizioni in materia edilizia (che - tra l'altro - disciplina analiticamente la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia e le relative responsabilità e sanzioni), nonché dell'entrata in vigore del nuovo Titolo V della seconda Parte della Costituzione, che consolida ulteriormente nelle regioni e negli enti locali la politica di gestione del territorio. In tale particolare contesto, pur trattandosi ovviamente di scelta nel merito opinabile, non sembrano rilevare elementi di irragionevolezza tali da condurre ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 32.

In realtà, il comma 2 dell'art. 32 è stato interpretato da alcune ricorrenti come finalizzato a sospendere l'esercizio dei poteri legislativi delle stesse Regioni "nelle more dell'adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel testo unico" e quindi a legittimare l'intervento legislativo statale, che supplirebbe al mancato intervento delle Regioni. Peraltro, un'interpretazione del genere urterebbe in modo palese sia con la nuova disciplina costituzionale, che non subordina l'esercizio dei poteri regionali al previo recepimento dei principi fondamentali, sia con l'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte sul principio di continuità legislativa (cfr. fra le altre, sentenze n. 383 e n. 376 del 2002, nonché ordinanza n. 270 del 2003). Da ciò la necessità che, invece, al comma 2 dell'art. 32 si dia l'interpretazione prima esposta, compatibile con l'attuale ordinamento costituzionale, tra l'altro così valorizzando il dato testuale dell'inciso in esso contenuto "in conformità al titolo V della Costituzione".

25. - Quanto agli altri rilievi di costituzionalità formulati dalle Regioni ricorrenti in relazione alla complessiva normativa di cui all'art. 32, va anzitutto fatto riferimento a quello fondato sulla pretesa violazione del giudicato costituzionale e cioè di quanto previsto dal terzo comma dell'art. 137 Cost.: a tal fine vengono citate, in particolare, le sentenze n. 427 e n. 416 e del 1995, n. 231 del 1993, n. 369 e n. 302 del 1988, con cui sarebbe stato "attribuito al regime di sanatoria [...] carattere episodico e delimitato temporalmente", pena la sua illegittimità costituzionale. La questione non è fondata. Anche volendosi prescindere dal fatto che, come affermato in precedenza, la giurisprudenza di questa Corte non può essere interpretata come assolutamente preclusiva rispetto alla ammissibilità di condoni edilizi straordinari, la censura è priva di fondamento, in quanto l'ultimo comma dell'art. 137 Cost. non può essere riferito ad un nuovo atto legislativo ritenuto contrastante con precedenti affermazioni di questa Corte relative ad altri atti legislativi.

26. - Le ricorrenti sostengono, inoltre, che l'art. 32 contrasterebbe con l'art. 119 Cost., in quanto il condono edilizio previsto dalla normativa impugnata sarebbe stato disposto in vista di esigenze finanziarie del bilancio statale, ma comporterebbe spese particolarmente ingenti, di vario genere, a carico delle finanze comunali, a fronte di una compartecipazione al gettito delle operazioni di condono che sarebbe decisamente esigua. La questione non è fondata. All'evidente interesse dello Stato agli introiti straordinari derivanti dall'oblazione (solo parzialmente ridotti dalla previsione, di cui al comma 41, secondo cui spetta ai Comuni la metà delle somme riscosse a conguaglio dell'oblazione), corrispondono, nell'art. 32 impugnato, quattro diverse forme di possibile incremento delle finanze locali, previste dai commi 33, 34, 40 e 41; tali entrate non solo sono di ardua quantificazione, ma sono difficilmente raffrontabili con gli impegni finanziari delle amministrazioni comunali conseguenti all'applicazione del condono edilizio (a loro volta di incerta entità). Inoltre, l'attribuzione al legislatore regionale del potere di specificare la disciplina del condono sul piano amministrativo, secondo quanto esposto al precedente punto 21, potrà far considerare in questa legislazione regionale i profili attinenti alle conseguenze del condono sulle finanze comunali.

27. - In relazione alla censura concernente la pretesa illegittimità costituzionale dell'art. 32, per violazione del principio di leale collaborazione nei procedimenti legislativi - che sarebbe affermato o deducibile dall'art. 2 del d.lgs. n. 281 del 1997 - e del principio costituzionale che prescriverebbe "la partecipazione regionale al procedimento legislativo delle leggi statali ordinarie, quando queste intervengono in materia di competenza concorrente", che sarebbe desumibile dall'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, secondo le ricorrenti tale violazione sarebbe resa palese dal fatto che le Regioni non sono state consultate attraverso la Conferenza Stato-Regioni né in sede di adozione del decreto-legge, né in sede di adozione del disegno di legge di conversione. La questione non è fondata. Ciò anzitutto perché non è individuabile un fondamento costituzionale dell'obbligo di procedure legislative ispirate alla leale collaborazione tra Stato e Regioni (né risulta sufficiente il sommario riferimento all'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001). Quanto alla disciplina contenuta nell'art. 2 del d.lgs. n. 281 del 1997 (atto normativo primario), essa prevede solo un parere non vincolante della Conferenza Stato-Regioni sugli "schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento", mentre non prevede ovviamente nulla di analogo per i decreti-legge, la cui adozione è consentita, ai sensi dell'art. 77, secondo comma, Cost., solo "in casi straordinari di necessità e di urgenza"; né è pensabile che il parere della Conferenza Stato-Regioni possa essere chiesto sul disegno di legge di conversione, che deve essere presentato immediatamente alle Camere e non può che avere il contenuto tipico di un testo di conversione. In relazione alla previsione, nel comma 5 dell'art. 2 del d.lgs. n. 281 del 1997, che il Governo debba sentire la Conferenza Stato-Regioni successivamente, nella fase della conversione dei decreti-legge, la procedura ivi prevista appare configurata come una mera eventualità.

28. - Debbono a questo punto essere esaminati gli specifici profili di censura di singole disposizioni avanzati dalle ricorrenti nell'ipotesi in cui questa Corte non avesse dichiarato la complessiva illegittimità costituzionale dell'art. 32. Al riguardo sono da considerare assorbiti non soltanto i rilievi relativi alle disposizioni in precedenza dichiarate in parte costituzionalmente illegittime - commi 25, 26 e 37 - ma anche la specifica impugnazione del comma 35 (relativo alla documentazione da allegare alla domanda di condono), in quanto il particolare ruolo che viene ad essere riconosciuto ai legislatori regionali consente di ritenere soddisfatte le pretese delle ricorrenti. Analogamente è da dirsi in riferimento alla censura relativa ai commi da 14 a 20 dell'art. 32, dal momento che la dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale del comma 14 risponde pienamente alle ragioni di doglianza fatte valere nei ricorsi introduttivi del giudizio. Va invece dichiarata non fondata la particolare questione concernente il comma 5 in relazione agli artt. 117 e 118 Cost., là dove è affidato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con le Regioni interessate, un compito di supporto alle amministrazioni comunali ai fini dell'applicazione della disciplina oggetto del presente giudizio e per il coordinamento con la legge n. 47 del 1985 e con l'art. 39 della legge n. 724 del 1994. La previsione dell'intesa con ciascuna delle Regioni interessate, quale condizione affinché il Ministero possa esercitare questa attività di semplice "supporto" agli enti locali, rende evidente l'assenza di qualunque profilo di lesione delle competenze costituzionalmente riconosciute alle ricorrenti.

29. - Da ultimo, viene in considerazione la questione concernente il comma 49-ter, introdotto dalla legge di conversione, che viene impugnato in quanto, concentrando nell'autorità prefettizia la competenza a far effettuare le demolizioni conseguenti ad abusi edilizi, violerebbe il terzo comma dell'art. 117 Cost., in quanto norma di dettaglio e non principio fondamentale, e l'art. 118 Cost., in quanto sottrarrebbe ai Comuni una funzione amministrativa, concentrandola in un organo statale senza che ciò sia giustificabile in base ad esigenze unitarie. La questione è fondata. La norma in oggetto sostituisce l'art. 41 del d.P.R. n. 380 del 2001, che, nella sua formulazione originaria, prevedeva le diverse procedure che il Comune poteva seguire in tutti i casi in cui la demolizione dovesse avvenire a cura dello stesso Comune (anche con l'intervento a sostegno di organi statali), con la possibilità, qualora si rivelasse impossibile l'affidamento dei lavori di demolizione, di darne notizia all'ufficio territoriale del Governo, il quale provvedeva alla demolizione. Il comma 49-ter prevede invece che il Comune, così come le amministrazioni statali e regionali, debbano trasmettere ogni anno al prefetto l'elenco delle opere da demolire e che il prefetto provveda all'esecuzione delle demolizioni.

La disposizione in oggetto contrasta con il primo ed il secondo comma dell'art. 118 Cost., dal momento che non si limita ad agevolare ulteriormente l'esecuzione della demolizione delle opere abusive da parte del Comune o anche, in ipotesi, a sottoporre l'attività comunale a forme di controllo sostitutivo in caso di mancata attività, ma sottrae al Comune la stessa possibilità di procedere direttamente all'esecuzione della demolizione delle opere abusive, senza che vi siano ragioni che impongano l'allocazione di tali funzioni amministrative in capo ad un organo statale. 30. - Resta assorbito l'esame di ogni altra doglianza relativa ad ulteriori singoli commi dell'art. 32. 31. - Non vi è luogo a provvedere sulle istanze di sospensione dell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 e dell'art. 32 dello stesso d.l. come risultante dalla conversione in legge ad opera della legge n. 326 del 2003, presentate dalle Regioni Campania, Marche, Toscana ed Emilia-Romagna.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE riservata ogni decisione sulle questioni di legittimità costituzionale relative agli artt. 14, 21 e 32, commi 21, 22 e 23 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, sollevate dalle Regioni Campania, Toscana ed Emilia-Romagna con i ricorsi citati in epigrafe; riuniti i giudizi,

1) dichiara l'illegittimità costituzionale del comma 25 dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli ivi indicati;

2) dichiara l'illegittimità costituzionale del comma 26 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all'Allegato 1;

3) dichiara l'illegittimità costituzionale del comma 14 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, nella parte in cui non prevede il rispetto della legge regionale di cui al comma 26;

4) dichiara l' illegittimità costituzionale del comma 33 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, nella parte in cui prevede le parole "entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto" anziché le parole "tramite la legge di cui al comma 26";

5) dichiara l' illegittimità costituzionale del comma 37 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 possa disciplinare diversamente gli effetti del prolungato silenzio del Comune;

6) dichiara l'illegittimità costituzionale del comma 38 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, nella parte in cui prevede che sia l'Allegato 1 dello stesso decreto-legge n. 269 del 2003, anziché la legge regionale di cui al comma 26, a determinare la misura dell'anticipazione degli oneri concessori, nonché le relative modalità di versamento;

7) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 debba essere emanata entro un congruo termine da stabilirsi dalla legge statale;

8) dichiara l'illegittimità costituzionale del comma 49-ter dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, introdotto dalla legge di conversione n. 326 del 2003;

9) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, nella parte in cui determina la misura dell'anticipazione degli oneri concessori e le relative modalità di versamento;

10) dichiara inammissibile il ricorso n. 6 del 2004, proposto dalla Regione Lazio;

11) dichiara inammissibili le questioni proposte dalla Regione Campania, (omissis) ;

12) dichiara inammissibile la questione proposta dalla Regione Marche (omissis);

13) dichiara inammissibili (omissis restanti ricorsi delle regioni);

18) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale del comma 10 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, per violazione degli artt. 118 e 119 Cost., proposte dalle Regioni Marche e Toscana con i ricorsi n. 81 e n. 82 del 2003;

19) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dei commi 6, 9 e 24 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, proposte dalle Regioni Marche e Toscana con i ricorsi indicati in epigrafe;

20) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, per violazione dell'art. 77 Cost., proposte con i ricorsi indicati in epigrafe;

21) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, come risultante dalla conversione in legge ad opera dalla legge n. 326 del 2003, per violazione dell'art. 79 Cost., proposta dalla Regione Marche con il ricorso n. 10 del 2004;

22) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, per violazione dell'art. 9 Cost., proposte con i ricorsi indicati in epigrafe;

23) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, per violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di ragionevolezza, proposte con i ricorsi indicati in epigrafe;

24) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, per violazione dell'art. 137, terzo comma, Cost., proposta dalla Regione Campania con i ricorsi indicati in epigrafe;

25) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, per violazione dell'art. 119 Cost., proposte con i ricorsi indicati in epigrafe;

26) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, per violazione del principio di leale collaborazione, proposte con i ricorsi indicati in epigrafe;

27) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma 5 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., proposta dalle Regioni Marche e Toscana con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 24 giugno 2004.

F.to: Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente, Ugo DE SIERVO, Redattore, Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 28 giugno 2004.

Allegato: Ordinanza emessa nell'udienza pubblica dell'11 maggio 2004 nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 e dell'art. 32 del medesimo d.l. come convertito dalla legge n. 326 del 2003, promossi dalle Regioni Campania, Toscana, Emilia-Romagna, Umbria, Lazio e Marche nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi iscritti al registro ricorsi nn. 76 del 2003, 82 del 2003, 83 del 2003, 87 del 2003, 6 del 2004, 8 del 2004 e 14 del 2004. Considerato che il giudizio di costituzionalità delle leggi, promosso in via di azione ai sensi dell'art. 127 Cost. e degli artt. 31 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), è configurato come svolgentesi esclusivamente fra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale; che pertanto, alla stregua della normativa in vigore e conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, cfr. sentenza n. 338 del 2003), non è ammesso l'intervento in tali giudizi di soggetti privi di potere legislativo.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibili gli interventi spiegati nei giudizi in via principale relativi all'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dell'andamento dei conti pubblici) nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, dai Comuni di Roma, Salerno, Ischia e Lacco Ameno, nonché dal CODACONS e dal World Wide Fund For Nature (WWF) ONLUS. F.to: Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente .

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