NOTIZIARIO del 29 giugno 2004

 
     

Corte Costituzionale su Condono edilizio 8
Sentenza della Corte costituzionale N. 196, anno 2004

< precedente

18. - La pluralità ed eterogeneità dei profili di costituzionalità sollevati dalle ricorrenti rende opportuno esaminare, in via prioritaria, le censure mosse nei confronti dell'intero istituto disciplinato dall'art. 32 oggetto del presente giudizio e delle sue caratteristiche complessive. A tale riguardo, è ovviamente preliminare l'analisi dei rilievi di costituzionalità relativi alla fonte utilizzata. Le Regioni ricorrenti hanno anzitutto impugnato l'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 per asserito contrasto con l'art. 77 Cost., sia per carenza dei presupposti di necessità e urgenza, sia per la disomogeneità del contenuto del decreto-legge, sia, infine, perché il decreto-legge sarebbe inidoneo a porre i principi fondamentali di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. Inoltre, le ricorrenti hanno negato la legittimità costituzionale della conversione in legge dell'art. 32 ad opera della legge n. 326 del 2003, in quanto i vizi del decreto-legge si ripercuoterebbero come vizi in procedendo sulla stessa legge di conversione.

Le questioni non sono fondate. Per ciò che riguarda in particolare l'art. 32 nel testo originario del decreto-legge n. 269 del 2003, non può negarsi che la delicata materia del condono edilizio potrebbe meritare una più meditata elaborazione tramite l'ordinario procedimento di formazione delle leggi; al tempo stesso, peraltro, potrebbero essere addotti per questo particolare istituto anche alcuni specifici motivi per un'immediata adozione ed entrata in vigore del testo normativo, destinato ad avere - come prima esposto - efficacia sulle procedure giurisdizionali ed amministrative in corso, ma soprattutto per evitare o ridurre spinte alla modifica del disegno di legge sotto la pressione di interessi favorevoli a nuove opere abusive. Se a ciò si aggiunge che in questo caso sembra aver pure pesato - seppur opinabilmente - la necessità di inserire questo provvedimento in un assai più ampio decreto-legge intitolato "Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici", non può negarsi che ci si trovi in un contesto nel quale la Corte costituzionale non può rilevare un caso di "evidente mancanza" dei presupposti di necessità e di urgenza prescritti dal secondo comma dell'art. 77 Cost., secondo la sua ormai consolidata giurisprudenza in materia (fra le molte, cfr. da ultimo la sentenza n. 341 del 2003 e la sentenza n. 6 del 2004). Quanto poi alla presunta carenza di omogeneità dell'oggetto del decreto-legge, è sufficiente rilevare che non si tratta di requisito costituzionalmente imposto (seppur opportunamente previsto dal comma 3 dell'art. 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante "Disciplina dell'attività di Governo ed ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri").

In ordine alla pretesa secondo la quale il decreto-legge sarebbe una fonte strutturalmente inidonea alla posizione di principi fondamentali, deve essere osservato che questa Corte ha già più volte chiarito che "un decreto-legge può di per sé costituire legittimo esercizio dei poteri legislativi che la Costituzione affida alla competenza statale, ivi compresa anche la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost." (sentenza n. 6 del 2004). Tali considerazioni, peraltro, valgono anche ad escludere la lamentata violazione dell'art. 77 Cost. da parte della legge di conversione, senza che occorra in questa sede prendere in esame la possibilità secondo la quale i vizi del decreto-legge relativi alla carenza dei presupposti costituzionali per la sua adozione si riverberino anche su quest'ultima quali vizi in procedendo (sul punto, cfr. comunque le sentenze n. 341 del 2003, n. 29 e n. 16 del 2002, n. 398 del 1998 e n. 330 del 1996).

19. - La Regione Marche, nel ricorso contro l'art. 32 convertito dalla legge n. 326 del 2003, ha sollevato anche la questione di legittimità costituzionale dell'intero istituto del condono in riferimento alla presunta lesione dell'art. 79 Cost., così riproponendo una tesi che già più volte in passato era stata sostenuta in atti introduttivi di giudizi di legittimità costituzionale. In base a tale ricostruzione, il condono costituirebbe in realtà un tipo di amnistia impropria, che quindi andrebbe prevista e disciplinata solo tramite una legge conforme alle rigide prescrizioni di cui all'art. 79 Cost.

La questione non è fondata. L'assoluta mancanza di nuove argomentazioni a sostegno del rilievo di costituzionalità sollevato, rispetto a quelle già in passato affrontate da questa Corte, induce a confermare gli esiti della precedente giurisprudenza: se nella sentenza n. 369 del 1988 si era negata la natura di amnistia impropria al condono, a causa della "complessa fattispecie estintiva" del reato, che "viene ad essere [...] almeno di regola, costitutiva (di effetti amministrativi) ed estintiva (di effetti penali)", e nella quale la non punibilità si produce "soltanto a seguito delle manifestazioni di concrete volontà degli interessati e dell'autorità amministrativa", nella sentenza n. 427 del 1995 - adottata dopo la modificazione dell'art. 79 Cost. ad opera della legge costituzionale 6 marzo 1992 n. 1 (Revisione dell'articolo 79 della Costituzione in materia di concessione di amnistia e indulto) - questa tesi è stata esplicitamente confermata, sottolineandosi inoltre come esistano nell'ordinamento casi di altre leggi determinanti "lo stesso effetto estintivo del reato prodotto dal condono edilizio". D'altra parte - come in precedenza evidenziato - l'attuale testo dell'art. 45 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede un analogo effetto estintivo del reato a seguito del rilascio del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 36 del medesimo d.P.R.

20. - In relazione alle censure di ordine sostanziale che le ricorrenti muovono nei confronti dell'intero istituto disciplinato nelle disposizioni impugnate, nonostante alcune di esse si rivolgano a contestare la stessa ammissibilità di un condono edilizio, è opportuno prendere in esame anzitutto i rilievi fondati sulla lamentata violazione del sistema costituzionale delle competenze, dal momento che tutte le Regioni ricorrenti contestano primariamente la legittimità costituzionale dell'art. 32 sulle base delle proprie attribuzioni costituzionali in tema di edilizia, di urbanistica o di governo del territorio: se le Regioni ad autonomia ordinaria lo fanno in riferimento ai commi terzo o quarto dell'art. 117 e all'art. 118 Cost., la Regione Friuli-Venezia Giulia lo fa in riferimento all'art. 4, numero 12, e all'art. 8 della legge costituzionale n. 1 del 1963 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia). Solo la Regione Campania e la Regione Marche sostengono la tesi secondo la quale il condono edilizio inciderebbe in una materia di competenza residuale delle Regioni di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost. (l'edilizia o l'urbanistica), mentre tutte le Regioni ad autonomia ordinaria ritengono che, ove la disciplina oggetto del presente giudizio dovesse essere collocata nell'ambito di una materia affidata alla competenza concorrente di Stato e Regioni (nel caso di specie, "governo del territorio"), comunque contrasterebbe con l'art. 117, terzo comma, Cost., per violazione dei limiti posti da tale disposizione al legislatore statale. Ciò, innanzi tutto, in quanto l'art. 32 detterebbe una normativa di dettaglio, per di più intrinsecamente non cedevole; in secondo luogo, a causa della circostanza secondo la quale la stessa idea di condono edilizio, in quanto disciplina eccezionale, non sarebbe idonea ad essere qualificata quale principio fondamentale della materia. Inoltre, si sostiene che, anche non contestandosi il pieno ed esclusivo potere del legislatore statale in materia penale, che lo abilita ad escludere la punibilità di determinate condotte, sarebbe inammissibile che la legge statale incida contestualmente sulla sanzionabilità amministrativa degli illeciti edilizi, che invece spetta all'autonomia regionale in quanto relativa alla disciplina del "governo del territorio".

La Regione Friuli-Venezia Giulia sostiene che, disponendo essa di competenza legislativa primaria in materia di urbanistica, l'autonomia regionale in tale ambito potrebbe essere legittimamente vincolata esclusivamente dalla Costituzione, dai principi generali dell'ordinamento giuridico e dalle norme fondamentali delle leggi di grande riforma economico-sociale, tra le quali non potrebbe essere annoverata la previsione di un condono edilizio quale disciplinato dall'art. 32 anche sul versante della disciplina urbanistica. A loro volta, alcune Regioni ad autonomia ordinaria (la Regione Campania, la Regione Marche e la Regione Toscana) evidenziano che alcune parti significative della disciplina del condono di cui all'art. 32 contrasterebbero con il nuovo art. 118 Cost., specie in riferimento al radicale svuotamento del principio di sussidiarietà che deriverebbe dalla disciplina impugnata in un ambito caratterizzato sia da funzioni indubbiamente proprie delle regioni, che da un'area di tradizionale titolarità di funzioni di gestione amministrativa da parte dei Comuni. Né, certo, la natura delle funzioni amministrative di gestione in materia urbanistica potrebbe legittimare la loro attribuzione al livello centrale in nome del principio di adeguatezza, come dimostrato dalla stessa legislazione sul condono, che le mantiene ai Comuni pur vincolandone radicalmente l'esercizio.

I suddetti rilievi appaiono in parte fondati, secondo quanto meglio di seguito specificato. Il condono edilizio di tipo straordinario, quale finora configurato nella nostra legislazione, appare essenzialmente caratterizzato dalla volontà dello Stato di intervenire in via straordinaria sul piano della esenzione dalla sanzionabilità penale nei riguardi dei soggetti che, avendo posto in essere determinate tipologie di abusi edilizi, ne chiedano il condono tramite i Comuni direttamente interessati, assumendosi l'onere del versamento della relativa oblazione e dei costi connessi all'eventuale rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, appositamente previsto da questa legislazione. Non vi è dubbio sul fatto che solo il legislatore statale può incidere sulla sanzionabilità penale (per tutte, v. la sentenza n. 487 del 1989) e che esso, specie in occasione di sanatorie amministrative, dispone di assoluta discrezionalità in materia "di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità" (sentenze n. 327 del 2000, n. 149 del 1999 e n. 167 del 1989).

Peraltro, la circostanza che il comune sia titolare di fondamentali poteri di gestione e di controllo del territorio rende necessaria la sua piena collaborazione con gli organi giurisdizionali, poiché, come questa Corte ha affermato, "il giudice penale non ha competenza 'istituzionale' per compiere l'accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici" (sentenza n. 370 del 1988). Tale doverosa collaborazione per concretizzare la scelta del legislatore statale di porre in essere un condono penale si impone quindi su tutto il territorio nazionale, inerendo alla strumentazione indispensabile per dare effettività a tale scelta. Al tempo stesso rileva la parallela sanatoria amministrativa, anche attraverso la previsione da parte del legislatore statale di uno straordinario titolo abilitativo edilizio, a causa dell'evidente interesse di coloro che abbiano edificato illegalmente ad un condono su entrambi i versanti, quello penale e quello amministrativo; ma sul piano della sanatoria amministrativa i vincoli che legittimamente possono imporsi all'autonomia legislativa delle Regioni, ordinarie e speciali, non possono che essere quelli ammissibili sulla base rispettivamente delle disposizioni contenute nel nuovo art. 117 Cost. e degli statuti speciali.

Per ciò che riguarda l'art. 117 Cost., la giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito (cfr. le sentenze n. 303 e n. 362 del 2003) che nei settori dell'urbanistica e dell'edilizia i poteri legislativi regionali sono senz'altro ascrivibili alla nuova competenza di tipo concorrente in tema di "governo del territorio". E se è vero che la normativa sul condono edilizio di cui all'impugnato art. 32 certamente tocca profili tradizionalmente appartenenti all'urbanistica e all'edilizia, è altresì innegabile che essa non si esaurisce in tali ambiti specifici ma coinvolge l'intera e ben più ampia disciplina del "governo del territorio" - che già questa Corte ha ritenuto comprensiva, in linea di principio, di "tutto ciò che attiene all'uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività" (cfr. sentenza n. 307 del 2003) - ossia l'insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio. Se poi si considera anche l'indubbio collegamento della disciplina con la materia della "valorizzazione dei beni culturali ed ambientali", appare evidente che alle Regioni è oggi riconosciuta al riguardo una competenza legislativa più ampia, per oggetto, di quella contemplata nell'originario testo dell'art. 117 Cost.; ciò - è bene ricordarlo - mentre le potestà legislative dello Stato di tipo esclusivo, di cui al secondo comma dell'art. 117 Cost., sono state consapevolmente inserite entro un elenco conchiuso. Inoltre, nel nuovo art. 118 Cost. per la prima volta si è stabilito che, in virtù del principio di sussidiarietà garantito in una disposizione costituzionale, i Comuni sono normalmente titolari delle funzioni di gestione amministrativa, riconoscendosi inoltre che "i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie".

A sua volta, il quarto comma del nuovo art. 119 Cost. per la prima volta afferma che le normali entrate dei Comuni devono consentire "di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite". Tutto ciò implica necessariamente che, in riferimento alla disciplina del condono edilizio (per la parte non inerente ai profili penalistici, integralmente sottratti al legislatore regionale, ivi compresa - come già affermato in precedenza - la collaborazione al procedimento delle amministrazioni comunali), solo alcuni limitati contenuti di principio di questa legislazione possono ritenersi sottratti alla disponibilità dei legislatori regionali, cui spetta il potere concorrente di cui al nuovo art. 117 Cost. (ad esempio certamente la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell'art. 32, il limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili).

Per tutti i restanti profili è invece necessario riconoscere al legislatore regionale un ruolo rilevante - più ampio che nel periodo precedente - di articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale in tema di condono sul versante amministrativo. Al tempo stesso, se i Comuni possono, nei limiti della legge, provvedere a sanare sul piano amministrativo gli illeciti edilizi, viene in evidente rilievo l'inammissibilità di una legislazione statale che determini anche la misura dell'anticipazione degli oneri concessori e le relative modalità di versamento ai Comuni; d'altronde, l'ordinaria disciplina vigente attribuisce il potere di determinare l'ammontare degli oneri concessori agli stessi Comuni, sulla base della legge regionale (art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001). Per ciò che riguarda le Regioni ad autonomia particolare, ove nei rispettivi statuti si prevedano competenze legislative di tipo primario, lo spazio di intervento affidato al legislatore regionale appare maggiore, perché in questo caso possono operare solo il limite della "materia penale" (comprensivo delle connesse fasi procedimentali) e quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento eccezionale di "grande riforma" (il titolo abilitativo edilizio in sanatoria, la determinazione massima dei fenomeni condonabili), mentre spetta al legislatore regionale la eventuale indicazione di ulteriori limiti al condono, derivanti dalla sua legislazione sulla gestione del territorio: d'altra parte, su questo piano esiste il precedente costituito dalla sentenza di questa Corte n. 418 del 1995, pronunciata appunto in relazione al rapporto tra le competenze statali relative al condono edilizio del 1994 e le competenze della Provincia autonoma di Trento, dotata in materia di potestà legislativa primaria.

È significativo che questa stessa sentenza prendesse positivamente atto dell'avvenuta adozione, nelle more del giudizio, della legge della Provincia autonoma di Trento 18 aprile 1995, n. 5 (Definizione agevolata delle violazioni edilizie - condono edilizio), che, determinando "disposizioni di coordinamento per l'applicazione nel territorio nella Provincia delle norme contenute nell'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724", subordinava la sanabilità amministrativa delle opere abusive anche al rispetto di tutta una serie di vincoli determinati dalla legislazione provinciale (cfr., in particolare, gli artt. 1 e 8), da accertare tramite speciali procedimenti dell'amministrazione provinciale, con esiti vincolanti per le amministrazioni comunali (cfr. gli artt. 5, 6 e 7).

Questa legislazione conferma, in una particolare realtà territoriale, quella che è una più generale caratteristica della legislazione sul condono, nella quale normalmente quest'ultimo ha effetti sia sul piano penale che sul piano delle sanzioni amministrative, ma che non esclude la possibilità che le procedure finalizzate al conseguimento dell'esenzione dalla punibilità penale si applichino ad un maggior numero di opere edilizie abusive rispetto a quelle per le quali operano gli effetti estintivi degli illeciti amministrativi; ciò è reso d'altra parte evidente nelle disposizioni dello stesso Capo IV della legge n. 47 del 1985, e successive modificazioni e integrazioni, che nell'art. 38 disciplina separatamente, al secondo ed al quarto comma, i presupposti del condono penale (il versamento dell'intera oblazione) ed amministrativo (il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria) e nell'art. 39 prevede che, ove si sia effettuata l'oblazione, si produca comunque l'estinzione dei reati anche ove "le opere non possano conseguire la sanatoria". D'altra parte, anche l'art. 32 impugnato prevede, al comma 36, i presupposti per il verificarsi dell'effetto estintivo penale, mentre i diversi presupposti per il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria sono regolati dal comma 37, così confermando che i due effetti possono essere indipendenti l'uno dall'altro, dal momento che l'effetto penale si produce a prescindere dall'intervenuta concessione della sanatoria amministrativa e anche se la sanatoria amministrativa non possa essere concessa. .

continua >

by www.osservatoriosullalegalita.org

___________

I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI CITANDO E LINKANDO LA FONTE