NOTIZIARIO del 29 giugno 2004

 
     

Corte Costituzionale su Condono edilizio 5
Sentenza della Corte costituzionale N. 196, anno 2004

< precedente

232. - L'Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria nei giudizi instaurati dalla Regione Campania, evidenziando come in essi siano intervenuti alcuni Comuni esponendo punti di vista differenti. Ciò proverebbe, secondo l'Avvocatura, la difficoltà degli enti locali minori, che non sarebbero in grado di fronteggiare le situazioni in cui si trovano. Nel merito, si osserva come "una manovra di finanza statale che ricolleghi introiti all'esercizio (eventuale) da parte dei proprietari di edifici in tutto o in parte abusivi della facoltà di definire gli illeciti commessi, rimane pur sempre una manovra di finanza statale autonomamente giustificata dalle esigenze di questa, e radicata nella competenza legislativa dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), e dell'art. 119, comma secondo, Cost.". Da ultimo, la difesa erariale precisa che il richiamo all'art. 120 Cost. deve essere inteso nel senso che da tale disposizione sarebbe desumibile un principio generale, consistente nella possibilità (anzi, necessità) di interventi di carattere straordinario e aggiuntivo per evitare la compromissione di interessi superiori. Con la memoria depositata nel giudizio instaurato dalla Regione Lazio, l'Avvocatura dello Stato ribadisce che il ricorso deve considerarsi inammissibile, in quanto rivolto nei confronti della legge di conversione, anche in relazione alle parti del decreto non modificate, pur non essendo stato quest'ultimo oggetto di impugnazione. Anche nei giudizi instaurati dalla Regione Toscana, l'ulteriore memoria difensiva dell'Avvocatura ribadisce l'eccezione di inammissibilità del ricorso avverso il testo del decreto-legge convertito, in quanto avrebbe ad oggetto anche disposizioni vigenti fin dal 2 ottobre 2003, le quali dunque sarebbero state impugnate oltre il termine fissato dall'art. 127, secondo comma, Cost. Inoltre l'impugnazione dei commi 41, 42 e 43 dell'art. 32 non sarebbe sorretta da alcuna motivazione. Nel merito, l'Avvocatura sostiene l'infondatezza della censura concernente il comma 49-ter dell'art. 32, dal momento che la norma si limiterebbe ad assegnare alla prefettura compiti meramente esecutivi delle ordinanze di demolizione o di acquisizione gratuita delle opere abusive, disposte dagli enti locali, e pertanto nessun potere autonomo verrebbe riconosciuto alla prefettura. In ordine alle altre censure mosse dalla Regione, la difesa erariale richiama le argomentazioni già svolte nei precedenti scritti difensivi. Nella memoria concernente i giudizi promossi dalla Regione Marche, l'Avvocatura ribadisce l'eccezione di inammissibilità conseguente all'impossibilità per la Regione di far valere parametri costituzionali diversi da quelli che definiscono l'assetto delle competenze. Nel merito ritiene che il ricorso regionale sarebbe carente di attualità dell'interesse ove fosse vera la situazione di efficienza di tutela del territorio sotto il profilo urbanistico-edilizio che la ricorrente vorrebbe accreditare. Considerato in diritto 1. - Le Regioni Campania, Marche, Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Friuli-Venezia Giulia hanno impugnato l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), ed in particolare i commi: (omissis).

La Regione Marche ha impugnato anche l'art. 32 citato nel suo complesso. Le prospettazioni contenute nei ricorsi introduttivi dei giudizi sollevano rilievi di costituzionalità sostanzialmente analoghi e sintetizzabili nella pretesa violazione dei seguenti parametri costituzionali: a) l'art. 117, quarto comma, della Costituzione (nonché, secondo i ricorsi della Regione Campania, l'art. 114 Cost.), in quanto la normativa impugnata interverrebbe nella materia dell'edilizia, affidata alla competenza residuale delle Regioni; ovvero, in subordine, l'art. 117, quarto comma, Cost., in quanto interverrebbe nella materia dell'urbanistica, affidata alla competenza residuale delle Regioni (così, in particolare, i ricorsi della Regione Campania e della Regione Marche); ovvero, in via ulteriormente subordinata, l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto interverrebbe con una disciplina di dettaglio in una materia, quale quella del "governo del territorio", affidata alla competenza concorrente di Stato e Regioni, e non essendo, più in generale, la stessa idea di condono edilizio idonea ad essere qualificata quale principio fondamentale della materia; b) l'art. 118 Cost., in quanto la disciplina del condono edilizio determinerebbe la vanificazione degli interventi di pianificazione e controllo locale, nonché la necessità di apprestare appositi strumenti urbanistici e soluzioni di governo del territorio che tengano conto delle conseguenze della disciplina statale impugnata, cosicché le Regioni e gli enti locali sarebbero costretti a subire, anziché governare, le destinazioni urbanistiche del territorio (così, in particolare, i ricorsi della Regione Campania, della Regione Marche e della Regione Toscana); c) l'art. 77 Cost., dal momento che difetterebbero i presupposti costituzionali per l'esercizio della decretazione d'urgenza (così i ricorsi della Regione Campania e della Regione Marche); difetterebbe inoltre il requisito, costituzionalmente necessario, della omogeneità del contenuto del decreto-legge (così i ricorsi della Regione Campania); infine, il decreto-legge sarebbe inidoneo a porre i principi fondamentali di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.; d) l'art. 119 Cost., e l'autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali in esso contemplata, in quanto il condono edilizio, disposto in vista di esigenze finanziarie del bilancio statale, comporterebbe spese particolarmente ingenti e di vario genere a carico delle finanze delle autonomie territoriali, a fronte di una compartecipazione al gettito delle operazioni di condono che sarebbe decisamente esigua; e) l'art. 25 Cost., in quanto la reiterazione con cadenza novennale della sanatoria edilizia, implicando "non solo la lesione del principio di legalità", ma ledendo "soprattutto la fiducia dei cittadini sulla effettiva capacità degli organi pubblici di garantire il rispetto dei valori costituzionali coinvolti nella disciplina urbanistica ed edilizia", determinerebbe la violazione del principio di tassatività e certezza delle norme penali (così i ricorsi della Regione Marche); f) l'art. 3 Cost., in quanto la disciplina in esame, riaprendo ed estendendo i termini del condono, introdurrebbe un sistema discriminatorio a svantaggio di coloro che, rispettando la normativa, non hanno costruito perché privi del titolo abilitativo, dovendo subire però le conseguenze in termini di degrado urbanistico del condono, trattando in modo uguale situazioni diverse, ossia quella di chi ha costruito in base ad un titolo legittimo e quella di chi ha costruito abusivamente, e non consentendo "di riportare ad uguaglianza, attraverso la sanzione, chi si è astenuto da comportamenti illeciti e chi illecitamente li ha compiuti"; g) l'art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto la reiterazione del condono edilizio farebbe venir meno i caratteri di assoluta straordinarietà, eccezionalità ed irripetibilità che soli, secondo la giurisprudenza costituzionale, possono giustificare la sanatoria; nel caso in questione mancherebbero del tutto quelle circostanze eccezionali che, nelle precedenti situazioni, hanno portato la Corte costituzionale a ritenere giustificata la sanatoria; sarebbero incisi numerosi principi costituzionali, senza però che sia perseguito adeguatamente l'obiettivo della stessa disciplina impugnata; h) l'art. 97 Cost., ed in particolare i principi di imparzialità dei pubblici poteri e di buon andamento dell'amministrazione, che sarebbero frustrati dalla inanità degli sforzi compiuti dalle amministrazioni locali al fine di reprimere l'abusivismo; i) l'art. 9 e l'art. 117, terzo comma, Cost. (che sancisce la competenza regionale in tema di valorizzazione dei beni ambientali), nonché il "principio costituzionale di indisponibilità dei valori costituzionalmente tutelati", in quanto il valore costituzionale dell'ordinato assetto del territorio non potrebbe "essere scambiato con valori puramente finanziari", come invece avviene nel caso del condono edilizio; j) gli artt. 9, 32, 41 e 42 Cost., dal momento che la sanatoria prevista dalla disciplina impugnata inciderebbe negativamente nei confronti di valori costituzionali che tutti i livelli di governo e in particolare le regioni hanno il diritto-dovere di tutelare nella loro effettività, quali: i valori paesistico-ambientali, il valore della salute, il valore del corretto e ordinato svolgimento dell'attività imprenditoriale in materia edilizia, la tutela del diritto di proprietà (così i ricorsi della Regione Marche); k) il principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo, nonché l'art. 2 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione e ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), che tale principio recepisce, e il principio costituzionale che prescrive "la partecipazione regionale al procedimento legislativo delle leggi statali ordinarie, quando queste intervengano in materia di competenza concorrente", desumibile dall'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), dal momento che, in sede di adozione del decreto-legge, le autonomie regionali non sono state consultate attraverso la Conferenza Stato-Regioni; l) il giudicato costituzionale, ed in particolare le sentenze di questa Corte n. 427 del 1995, n. 416 del 1995, n. 231 del 1993, n. 369 del 1988 e n. 302 del 1988, con cui sarebbe stato "attribuito al regime di sanatoria [...] carattere episodico e delimitato temporalmente", pena la illegittimità costituzionale (così i ricorsi della Regione Campania); m) l'art. 4, numero 12, e l'art. 8 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), in riferimento all'autonomia legislativa e amministrativa della Regione nella materia urbanistica, in quanto le competenze regionali in detta materia potrebbero essere legittimamente vincolate solo dalla Costituzione, dai principi generali dell'ordinamento giuridico e dalle norme fondamentali di grande riforma economico-sociale, tra le quali non potrebbe certo essere annoverata la previsione di un condono edilizio. 2. - Le ricorrenti hanno altresì proposto, in via subordinata, le seguenti specifiche censure: n) il comma 26, lettera a), dell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, nella parte in cui subordina la sanabilità alla legge regionale nel caso degli abusi minori in zone non vincolate, sottraendo viceversa alla decisione regionale gli abusi maggiori e gli abusi minori in zone vincolate, violerebbe i principi di eguaglianza e ragionevolezza, nonché gli artt. 117 e 118 Cost.; o) il comma 25, "in quanto non eccettua dal condono gli abusi per i quali il procedimento sanzionatorio sia già iniziato", violerebbe il principio di ragionevolezza, poiché - una volta iniziato il procedimento sanzionatorio - il condono edilizio non porterebbe alcun vantaggio al pubblico interesse, né in termini di "uscita allo scoperto" di situazioni di illegalità, né in termini economici, poiché le sanzioni urbanistiche sono essenzialmente di carattere pecuniario; p) i commi 3, 25, 26, lettera a), 28, 32, 35, lettere b) e c), 37, 38, 40 e l'Allegato 1, in quanto con disciplina dettagliata ed autoapplicativa stabiliscono le modalità, i termini e le procedure relative al condono edilizio, violerebbero l'art. 117 Cost., perché la competenza dello Stato a dettare norme non cedevoli non sarebbe giustificata, nel caso di specie, né da materie indicate dall'art. 117, secondo comma, né dall'attrazione di funzioni amministrative allo Stato in base all'art. 118; q) i commi 25 e 35 violerebbero il principio di ragionevolezza, in quanto la disciplina del comma 25 estende il condono agli abusi compiuti sino a sei mesi prima dell'entrata in vigore del decreto-legge impugnato (mentre nel caso dei due precedenti condoni il termine era rispettivamente di un anno e di diciassette mesi) e ciò renderebbe particolarmente difficile distinguere le opere ultimate da quelle non ultimate, complicando notevolmente l'attività di vigilanza amministrativa; la disciplina risulterebbe collegata al disposto del comma 35, in forza del quale è sufficiente, ove l'opera abusiva non superi i 450 metri cubi, una autocertificazione per la prova dello "stato dei lavori", consentendo così di far passare per già costruite opere in corso di costruzione o ancora da costruire; r) il comma 25 violerebbe gli artt. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost., nella parte in cui prevede un limite di volume (750 metri cubi) per ogni singola richiesta di sanatoria, senza però precisare che non sono ammesse più richieste riferite alla medesima area; s) il comma 37 violerebbe il principio di ragionevolezza, dal momento che sarebbe "palese" il contrasto con tale principio di una norma che sana gli abusi in virtù del solo decorso del tempo con un meccanismo di "silenzio-assenso", nonché gli artt. 9, 97, 117 e 118 Cost. (e gli artt. 4 e 8 dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), perché renderebbe eventuale il controllo dei Comuni sull'ammissibilità delle domande di condono, ledendo altresì le competenze regionali in materia di governo del territorio; t) i commi da 14 a 20 ed il comma 24, che disciplinano la sanatoria degli abusi commessi sulle aree di proprietà statale, facendola dipendere unicamente dalla volontà e dalla decisione dello Stato proprietario, senza dare alcuna rilevanza a quanto in merito stabilito dal legislatore regionale, violerebbero l'art. 117 Cost., che affida alle Regioni la competenza a disciplinare l'ammissibilità urbanistica degli interventi anche sulle aree di proprietà dello Stato, nonché gli artt. 118 e 119, perché la decisione sulla ammissibilità della sanatoria viene riservata al soggetto proprietario dell'area, senza possibilità di contraddittorio con gli enti locali interessati e in assenza di una previa intesa con le Regioni; u) il comma 5, il quale affida al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti un ruolo di coordinamento per l'applicazione della normativa sul condono, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., perché non vi sarebbe alcuna esigenza unitaria in grado di giustificare l'attribuzione ad un organo statale di tale funzione, in una materia, come il "governo del territorio", attribuita alla competenza regionale; v) il comma 6 violerebbe l'art. 118 Cost., perché in una materia regionale determinerebbe la avocazione di funzioni amministrative al centro senza prevedere, come richiesto dalla sentenza n. 303 del 2003, l'intesa con la Regione interessata, nonché l'art. 119 Cost., il quale non ammette finanziamenti vincolati alla realizzazione di interventi scelti dal Ministro; w) i commi 9 e 10 violerebbero gli artt. 118 e 119 Cost. per ragioni analoghe a quelle appena richiamate.

3. - (omissis) Le Regioni Marche e Campania hanno impugnato anche l'art. 32 citato nel suo complesso. Le ricorrenti ripropongono sostanzialmente le medesime censure già sollevate nei confronti dell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 nel testo originario, con le seguenti precisazioni e aggiunte. L'art. 77 Cost. sarebbe violato anche dalla legge n. 326 del 2003, dal momento che la carenza dei requisiti costituzionalmente previsti per la decretazione d'urgenza si ripercuoterebbe, quale vizio in procedendo, anche nei confronti della legge di conversione. La Regione Marche lamenta la violazione dell'art. 79 Cost., in quanto il provvedimento normativo impugnato costituirebbe, nella sostanza, una vera e propria amnistia, adottata senza percorrere le vie del procedimento aggravato previsto dalla citata disposizione costituzionale L'art. 3 Cost. è invocato, nel ricorso della Regione Lazio, anche in quanto la disciplina impugnata violerebbe il principio di eguaglianza a causa della perdita di valore degli immobili dei cittadini rispettosi della legge conseguente alla immissione sul mercato di immobili abusivi, nonché dell'aumento della pressione fiscale a carico dei medesimi cittadini al fine di reperire le risorse finanziarie volte alla realizzazione delle opere di urbanizzazione.

Sempre secondo la Regione Lazio, il principio di ragionevolezza, sancito dal medesimo art. 3 Cost., sarebbe violato anche perché dalla normativa risultante dalle modifiche operate in sede di conversione e derivante dalle abrogazioni disposte dalla legge finanziaria per il 2004, emergerebbe chiaramente che sarebbe rimasto soltanto il condono edilizio, mentre sarebbero stati abrogati i fondi per la riqualificazione urbanistica e ambientale, pur ritenuti evidentemente insufficienti dalle Regioni, ciò che renderebbe palese "la irragionevolezza e la scarsa attendibilità del meccanismo congegnato attraverso le varie disposizioni di cui all'art. 32, per realizzare finalità di reale e credibile intento di riqualificazione del territorio"; inoltre, la modifica dell'art. 32 della legge n. 47 del 1985 renderebbe applicabile il condono anche alla pratiche restate inevase sotto l'egida di precedenti condoni, con il risultato di realizzare l'effetto di un "condono 'open'". Per quel che concerne le singole disposizioni contenute nell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, così come risultante dalla conversione ad opera della legge n. 326 del 2003, le Regioni ricorrenti ribadiscono le censure già proposte nei confronti del testo originario del decreto-legge, evidenziando, tuttavia, alcuni profili nuovi di impugnazione connessi con le modifiche normative introdotte dalla legge di conversione. Il comma 25 dell'art. 32 viene censurato in quanto, prevedendo un limite massimo per la costruzione abusiva considerata nel suo complesso pari a 3000 metri cubi, violerebbe gli artt. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost., poiché non preciserebbe che non sono ammesse più richieste riferite alla medesima area; viene peraltro mantenuta ferma la censura rivolta al medesimo comma 25 nella versione originaria del d.l. n. 269 del 2003, in quanto gli emendamenti introdotti in sede di conversione opererebbero soltanto pro futuro. Dei commi 9 e 10 si ribadisce il contrasto con l'art. 118 Cost., nonostante che il comma 9, nel testo risultante a seguito della conversione, preveda l'intesa con la Conferenza unificata, in quanto risulterebbe comunque riconosciuta una priorità alle aree oggetto di programmi di riqualificazione approvati con decreto del Ministro dei lavori pubblici.

Nei ricorsi suddetti si propone, infine, censura avverso il comma 49-ter, introdotto in sede di conversione, il quale, determinando l'accentramento della competenza concernente le demolizioni in capo al prefetto, violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.; ciò in quanto tale norma non esprimerebbe un principio fondamentale, né del resto sarebbe giustificabile in base ad esigenze unitarie, in quanto l'amministrazione statale non sarebbe adeguata allo svolgimento di tale funzione, non disponendo nemmeno dei dati per effettuare il controllo degli interventi edilizi. 5. - Le Regioni Campania, Marche, Toscana ed Emilia-Romagna chiedono inoltre, anche nei confronti dell'art. 32 come risultante dalle modifiche operate in sede di conversione, l'applicazione dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953, come sostituito dall'art. 9 della legge n. 131 del 2003, ritenendo sussistenti le condizioni ivi previste perché la Corte possa sospendere in via cautelare l'esecuzione della normativa impugnata. 6. - La Regione Basilicata ha impugnato, con un unico ricorso, l'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, sia nel testo originario che nel testo risultante dalla legge di conversione, esponendo censure rivolte in generale nei confronti dell'intero art. 32, e sostanzialmente corrispondenti, nel merito, a quelle più sopra richiamate.

7. - La Regione Toscana, con il ricorso n. 10 del 2004, ha impugnato anche l'art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito della legge di conversione n. 326 del 2003, mentre la Regione Emilia-Romagna, con il ricorso n. 13 del 2004, ha impugnato anche l'art. 21, nonché i commi 21 e 22 dell'art. 32. Tali ultime disposizioni, congiuntamente al comma 23, risultano impugnate altresì dalla Regione Campania, con entrambi i propri ricorsi (n. 76 del 2003 e n. 14 del 2004). Per ragioni di omogeneità di materia, tali questioni di costituzionalità verranno trattate separatamente da quelle concernenti la disciplina del condono edilizio di cui all'art. 32 sollevate con i medesimi ricorsi e appena illustrate, per essere definite con distinte decisioni di questa Corte. 8. - In considerazione dell'identità della materia, nonché dei profili di illegittimità costituzionale fatti valere, i ricorsi, per la parte relativa all'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, sia nel testo originario, che in quello risultante dalla conversione ad opera della legge n. 326 del 2003, possono essere riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia.

continua >

by www.osservatoriosullalegalita.org

___________

I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI CITANDO E LINKANDO LA FONTE