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NOTIZIARIO del 29
giugno 2004
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Corte
Costituzionale su Condono edilizio 5 26. - In prossimità della camera di consiglio del 24 marzo 2004, fissata per la trattazione delle istanze di sospensione degli atti impugnati, la Regione Marche, la Regione Campania e la Regione Toscana hanno depositato memorie nelle quali espongono le proprie argomentazioni in relazione alle istanze proposte, oltre che in relazione al merito dei ricorsi. La Regione Marche evidenzia come lo strumento predisposto dall'art. 35 della legge n. 87 del 1953, così come modificato dall'art. 9 della legge n. 131 del 2003, sarebbe utilizzabile non solo nel caso di giudizi promossi dallo Stato nei confronti di leggi regionali, ma anche ove siano state le Regioni ad impugnare un atto normativo primario dello Stato. Quanto alle motivazioni poste a fondamento dell'istanza, la Regione osserva come la disciplina impugnata esponga l'ordinamento giuridico al rischio di numerosi pregiudizi irreparabili. Tra questi, innanzi tutto, vi sarebbe quello della ineffettività, con particolare riguardo alla "funzione preventiva delle norme penali, [...] all'efficacia delle funzioni di polizia amministrativa e locale [...], alla coerenza e alla certezza nell'attuazione delle funzioni di programmazione in materia di gestione del territorio". Viceversa, la tempestiva sospensione delle disposizioni oggetto del giudizio sarebbe in grado di restituire, almeno in parte, effettività ai valori costituzionali conculcati. Peraltro, si nota, l'utilità della sospensione sarebbe ancor maggiore ove risultasse fondata la notizia di un provvedimento normativo del Governo di proroga del termine per la presentazione delle istanze di sanatoria. Secondo la Regione Marche sarebbero pregiudicati dalla mancata sospensione della normativa statale anche i diritti dei cittadini. Infatti, se la legge di conversione impugnata fosse dichiarata incostituzionale, le norme penali di favore in essa previste non potrebbero essere applicate a quei soggetti che nel frattempo avessero già presentato l'istanza di sanatoria, denunciando spontaneamente gli illeciti commessi, e ciò in virtù del principio secondo il quale le norme penali che prevedono un trattamento più favorevole non possono trovare applicazione, se dichiarate incostituzionali, ai fatti anteriori rispetto alla loro entrata in vigore. Di qui la menzionata lesione dei diritti dei cittadini, ed in particolare di quelli tutelati dall'art. 24 Cost. La Regione Toscana ribadisce le motivazioni già esposte in sede di ricorso, evidenziando come il rigetto dell'istanza di sospensione comporterebbe la necessaria attivazione delle procedure di condono da parte dei Comuni, con conseguenti spese a carico degli stessi. In relazione a tale profilo, peraltro, la Regione Marche sottolinea come la irreparabilità del suddetto danno risulterebbe chiaramente dalla circostanza che, ove la disciplina del condono fosse dichiarata incostituzionale, verrebbero meno i pur esigui finanziamenti, da quest'ultimo derivanti, previsti in favore delle autonomie territoriali. Ancora, si evidenzia come l'esecuzione della normativa statale determinerebbe la necessità di adeguare gli strumenti urbanistici di programmazione, "piegando così le esigenze pubbliche di corretta pianificazione territoriale alla volontà di alcuni che, pur avendo commesso illeciti, sono riusciti ad incidere sull'uso del territorio". La sospensione della normativa statale sarebbe inoltre necessaria al fine di preservare il ruolo della Regione "quale ente di governo del territorio". Rilevante sarebbe inoltre - sempre nel senso dell'accoglimento dell'istanza cautelare - "la situazione di incertezza che si crea, in attesa della definizione del [...] giudizio, per i cittadini destinatari della normativa". Ancora, si evidenzia come la mancata sospensione della normativa impugnata determinerebbe il blocco dell'attività di controllo che le amministrazioni stanno eseguendo sul territorio regionale, nonché dei procedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto l'irrogazione di sanzioni per abusi che potrebbero rientrare nel nuovo condono. La Regione Campania sostiene che la propria domanda cautelare andrebbe accolta in quanto vi sarebbe la "ragionevole possibilità di conformare rapporti in base ad una normativa la cui legittimità è contestata": ciò determinerebbe una situazione di fatto tale da rendere "assai difficile e costoso" riportare lo status quo ante nel caso di esito positivo della decisione nel merito. Secondo le Regioni ricorrenti le istanze di sospensione andrebbero accolte anche perché, a fronte di danni di tale gravità in caso di perdurante efficacia della normativa statale impugnata, non deriverebbe nessun pregiudizio ad interessi costituzionalmente garantiti ove invece quest'ultima fosse sospesa. Le esigenze di tipo finanziario cui si intende far fronte con il condono edilizio, infatti, ben potrebbero essere soddisfatte con altri strumenti, e comunque lo Stato ben potrebbe incassare gli stessi introiti "da condono" successivamente alla decisione di merito della proposta questione di costituzionalità, ove tale decisione fosse orientata nel senso del rigetto dei ricorsi. 27. - L'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria per argomentare l'infondatezza delle istanze di sospensione formulate dalle Regioni. Preliminarmente, la difesa erariale afferma che dalle espressioni contenute nel novellato art. 35 della legge n. 87 del 1953 per indicare i presupposti in presenza dei quali la Corte è chiamata a sospendere l'efficacia degli atti normativi impugnati sarebbe desumibile la conseguenza che la sospensione può essere disposta solo su leggi regionali, e non anche in relazione a leggi statali. In particolare, la formula "ordinamento giuridico della Repubblica" sarebbe "sostanzialmente equivalente" a quella "ordinamento giuridico dello Stato", contenuta in diversi statuti speciali: tale conclusione sarebbe corroborata, oltre che dall'argomento letterale - ossia l'utilizzazione del termine "ordinamento" al singolare - anche dalla considerazione della "intrinseca unitarietà" dell'ordinamento italiano. Quanto all'espressione "interesse pubblico" (che l'Avvocatura qualifica ulteriormente "della Repubblica"), secondo la difesa erariale esso andrebbe assimilato - in virtù di argomentazioni analoghe a quelle appena esposte - all'interesse nazionale. La possibilità di sospendere solo le leggi regionali, e non anche quelle statali, inoltre, risponderebbe anche alla ratio politico-sistematica legata alla necessità di porre un "contrappeso" alla abolizione del rinvio governativo delle leggi regionali previsto dal previgente sistema di controllo di costituzionalità di cui all'art. 127 Cost. Ciò, peraltro, sarebbe confermato anche dal fatto che la competenza statale non sarebbe "circoscritta alle sole materie 'elencate' nei commi secondo e terzo dell'art. 117 Cost.", risultando semplicemente "compressa dall'esterno" nei casi - come quello de quo - "in cui la pluralità di 'materie' congiuntamente coinvolte impedisce di assegnare integralmente la competenza" alla sfera regionale. Lo Stato, non essendo titolare di una competenza "racchiusa in una sfera", potrebbe "esprimere quei parametri e quei valori [...] cui l'art. 35 citato rimanda". In relazione all'ultimo dei presupposti in presenza dei quali può essere sospesa l'efficacia della legge oggetto di impugnazione, l'Avvocatura evidenzia innanzi tutto che il "rischio di pregiudizio" debba ritenersi connesso, non tanto alla disposizione legislativa in sé, quanto piuttosto alla illegittimità costituzionale della stessa, dal momento che, "se tale illegittimità non fosse ravvisabile, mancherebbe la configurabilità dei diritti", e, conseguentemente, il rischio del pregiudizio agli stessi. In astratto, secondo la difesa erariale, anche una legge dello Stato è idonea a generare un simile pregiudizio; tuttavia, poiché la Regione può agire nel giudizio in via principale solo a tutela della propria sfera di competenza, la sospensione di cui all'art. 35 citato potrà disporsi nei confronti di una legge statale solo quando questa comporti prima facie il rischio di un pregiudizio sia alla sfera di competenza della Regione che ai diritti dei cittadini (che, comunque, andrebbero intesi come "diritti costituzionalmente garantiti"). In relazione alla sussistenza in concreto dei presupposti di cui all'art. 35 della legge n. 87 del 1953 per la sospensione della efficacia degli atti legislativi impugnati, l'Avvocatura osserva che gli argomenti proposti dalle Regioni dovrebbero ritenersi inammissibili, in quanto non concernenti i "diritti dei cittadini", salvo quello addotto dalla Regione Marche, secondo cui l'esecuzione della normativa oggetto del giudizio determinerebbe il pregiudizio irreparabile del diritto dei cittadini ad un territorio rispettoso dei valori costituzionali. Tuttavia tale argomento, seppur ammissibile, sarebbe, secondo la difesa erariale, del tutto infondato. Ciò, innanzi tutto, in quanto "all'immagine [...] di un diritto [...] al 'territorio rispettoso' non corrisponde una situazione giuridica riconosciuta dall'ordinamento ed attribuita ai singoli individui"; in secondo luogo, in quanto la compromissione di tali "diritti" non deriverebbe da fatto del legislatore, ma di coloro che, in passato, hanno posto in essere i comportamenti abusivi; infine, in quanto, comunque, la normativa impugnata escluderebbe la possibilità di sanare abusi compiuti "in presenza di vincoli pre-urbanistici o di altre situazioni di particolare lesività dell'ambiente e/o di pericolo per l'incolumità". Una ulteriore ragione di inammissibilità, propria delle istanze aventi per oggetto il decreto-legge, sarebbe inoltre individuabile nella circostanza che quest'ultimo, in quanto tale, non sarebbe più esistente, in quanto convertito in legge. 28. - L'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria separata per difendersi nel giudizio instaurato dal ricorso della Regione Emilia-Romagna avverso il d.l. n. 269 del 2003, nella quale si osserva come l'argomento che fa perno sull'incertezza dei rapporti giuridici nelle more della decisione di merito non meriterebbe considerazione, in quanto tale circostanza caratterizzerebbe ogni controversia costituzionale. Peraltro - si evidenzia - il "dubbio circa l'operatività delle norme impugnate" è stato provocato dalla stessa Regione Emilia-Romagna, che non potrebbe dunque avvalersene in questa sede. A ciò la difesa erariale aggiunge la considerazione secondo la quale la circostanza che le autodenunce di abusi non ancora "scoperti" solitamente attendono la decisione nel merito della controversia da parte della Corte, "unitamente al probabile differimento del termine" per proporre istanza di condono "potrebbe indurre le parti a non chiedere un duplice esame della controversia". Infine, sarebbe ingiustificata la preoccupazione addotta dalla Regione secondo cui essa non potrebbe emanare una disciplina legislativa dell'attività urbanistico-edilizia finché permangano i vincoli posti dalle disposizioni impugnate; la Regione infatti non avrebbe ancora predisposto "quanto occorre per la produzione legislativa". Chiedendo il rigetto dell'istanza di sospensione, l'Avvocatura si richiama per ogni altra considerazione alle memorie relative alle controversie instaurate con i ricorsi delle Regioni Toscana, Marche e Campania. 29. - Successivamente, le Regioni Toscana, Marche e Campania hanno depositato ulteriori atti nei quali - in considerazione della rinuncia da parte dello Stato alla immediata pronunzia sulle istanze di sospensione da essa presentate in separati giudizi promossi nei confronti delle leggi regionali concernenti il condono edilizio - hanno aderito alla "richiesta di differimento" dell'esame delle istanze cautelari auspicata dall'Avvocatura contestualmente alla propria rinuncia. Preso atto di tale rinuncia, con ordinanza n. 116 del 2004 la Corte ha disposto il rinvio dell'esame di tali istanze unitamente al merito. 30. - In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione Campania ha depositato una memoria integrativa delle argomentazioni in precedenza svolte. La ricorrente, in particolare, contesta le affermazioni dell'Avvocatura secondo le quali gli "scopi di recupero erariale" determinerebbero la acquisizione della disciplina oggetto del giudizio all'ambito di una materia diversa dal "governo del territorio". Tale tesi avrebbe, infatti, effetti "devastanti" sul riparto di competenze tra Stato e Regioni e "sulla stessa effettiva rigidità della Costituzione" e contrasterebbe con la recente giurisprudenza di questa Corte, che avrebbe chiarito come i singoli ambiti di legislazione devono essere qualificati in base all'oggetto cui afferiscono e non in base a criteri finalistici. Anche la Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria, replicando alle osservazioni dell'Avvocatura. In particolare, la Regione sostiene che allo Stato sarebbe vietato "sovvertire qualsiasi norma costituzionale" invocando le "ragioni di bilancio". Infatti, il riconoscimento del rilievo costituzionale del valore dell'equilibrio di bilancio implicherebbe soltanto che "gli interessi costituzionali che porterebbero ad imporre spese allo Stato vanno [...] contemperati con le esigenze di bilancio, al quale non si possono addossare indiscriminatamente ulteriori spese". Viceversa, nel reperimento delle risorse finanziarie lo Stato dovrebbe "rispettare i limiti posti dalla Costituzione": da tale assunto deriverebbe il carattere eccezionale riconosciuto da questa Corte al condono del 1994. Quanto alla pretesa dell'Avvocatura di giustificare il carattere dettagliato ed autoapplicativo della normativa impugnata in ragione della competenza penale riconosciuta allo Stato, la ricorrente nota come "la previsione del condono penale non giustifichi l'esenzione dalle sanzioni amministrative, e tanto meno una disciplina dettagliata della materia". Ancora, la Regione sostiene l'infondatezza del rilievo dell'Avvocatura secondo il quale mancherebbe nella doglianza regionale avverso il meccanismo del silenzio-assenso la proposta di "una soluzione alternativa", dal momento che, automaticamente, dall'accoglimento di detta doglianza risulterebbe "la necessità di un provvedimento esplicito di sanatoria". Anche la Regione Umbria ha depositato una memoria, relativa ad entrambi i ricorsi da essa presentati, replicando alle osservazioni contenute nelle memorie dell'Avvocatura dello Stato con argomentazioni del tutto analoghe a quelle svolte dalla Regione Emilia-Romagna nella memoria sopra richiamata. La Regione Toscana, nelle memorie depositate in entrambi i giudizi promossi, afferma innanzitutto l'infondatezza dell'eccezione, sollevata dall'Avvocatura nei propri scritti difensivi, di inammissibilità dell'impugnazione delle norme della legge di conversione del decreto-legge non impugnate nel ricorso presentato avverso il d.l. n. 269 del 2003. La giurisprudenza costituzionale avrebbe ormai pacificamente affermato che la mancata impugnazione di una norma di un decreto-legge convertito in legge senza modificazioni non preclude l'impugnazione delle norme della legge di conversione, perché questa stabilisce in via definitiva la disciplina normativa. Sarebbe quindi ammissibile l'impugnazione dei commi 41, 42 e 43 dell'art. 32 del decreto-legge così come convertito dalla legge di conversione. La Regione precisa, poi, di non aver riproposto, nel ricorso avente ad oggetto il testo del decreto-legge convertito, la censura sui commi 9 e 10, perché modificati in sede di conversione nel senso di prevedere l'intesa con la Conferenza unificata per la individuazione degli ambiti territoriali oggetto di riqualificazione e di messa in sicurezza; la ricorrente evidenzia inoltre che il comma 9 è stato successivamente abrogato dalla legge n. 350 del 2003. La ricorrente ribadisce che l'art. 32 censurato, relativamente agli effetti amministrativi del condono edilizio, non sarebbe applicabile nel proprio territorio in forza della previsione del secondo comma dello stesso art. 32. Infatti, la Regione Toscana si sarebbe già dotata di una compiuta normativa edilizia che disciplina anche le conseguenze degli illeciti, consentendo la regolarizzazione di quelli meramente formali e di quelli sostanzialmente non rilevanti, secondo quanto previsto dall'art. 34-ter della legge della Regione Toscana 5 agosto 2003, n. 43 [Modifiche e integrazioni alla legge regionale 14 ottobre 1999, n. 52 (Norme sulle concessioni, le autorizzazioni e le denunce d'inizio delle attività edilizie disciplina dei controlli nelle zone soggette al rischio sismico disciplina del contributo di concessione sanzioni e vigilanza sull'attività urbanistico/edilizia, modifiche ed integrazioni alla legge regionale 23 maggio 1994, n. 39 e modifica della legge regionale 17 ottobre 1983, n. 69)], nonché escludendo del tutto la sanatoria degli illeciti compiuti in difformità dalla disciplina urbanistica ed edilizia (art. 37 della medesima legge regionale). Conseguentemente, il ricorso della Regione contro l'art. 32 impugnato dovrebbe ritenersi inammissibile per carenza di interesse e parallelamente infondata sarebbe la questione sollevata dallo Stato avverso la legge regionale Toscana 4 dicembre 2003, n. 55 (Accertamento di conformità delle opere edilizie eseguite in assenza di titoli abilitativi, in totale o parziale difformità o con variazioni essenziali, nel territorio della Regione Toscana). In subordine, la Regione Toscana ribadisce le proprie censure avverso la norma impugnata che violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto l'art. 32 sarebbe in contrasto con la politica regionale in materia di abusi edilizi, volta a sanare solo quelli minori e non invece quelli più gravi; inoltre, sarebbe violata la potestà normativa regionale in conseguenza del carattere di dettaglio proprio della norma censurata e dell'impossibilità di configurare il condono edilizio come un principio fondamentale della materia del governo del territorio. La ricorrente, infine, riafferma che l'intervento statale non può ritenersi legittimo in quanto strumento di coordinamento della finanza pubblica, sia perché questo non potrebbe essere utilizzato per scardinare l'ordine delle competenze posto dalla Costituzione, sia perché tale coordinamento in realtà non si realizzerebbe, comportando per i Comuni spese aggiuntive ed impreviste per lo svolgimento delle procedure amministrative per evadere le domande di condono e per la realizzazione delle opere di urbanizzazione, nonché una riduzione delle entrate degli enti locali conseguente al venir meno degli introiti delle sanzioni amministrative per gli abusi edilizi. La Regione Friuli-Venezia Giulia, nella sua ulteriore memoria, si richiama esplicitamente alle argomentazioni esposte dalla Regione Emilia-Romagna. Inoltre, evidenzia come l'art. 119, secondo comma, - invocato dall'Avvocatura unitamente all'art. 118 per affermare la competenza statale in relazione alla "gestione complessiva della finanza pubblica" - e l'art. 117, terzo comma, Cost., non affiderebbero allo Stato una potestà esclusiva, ma solo il compito di dettare principi fondamentali. Anche la Regione Lazio ha depositato una memoria integrativa delle argomentazioni svolte nel proprio ricorso. Innanzi tutto, la Regione evidenzia come le censure proposte, pur se riferite specificamente nei confronti di alcuni commi, debbano essere intese - come già evidenziato nel ricorso - come relative all'intero art. 32. In secondo luogo - sempre sul versante processuale - nella memoria si richiama quella giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto ammissibili i ricorsi nei confronti della legge di conversione di un decreto-legge, anche se non contenente emendamenti allo stesso, pur quando non sia stato impugnato il decreto. Nel merito, la Regione Lazio ribadisce le argomentazioni già esposte, sottolineando ulteriormente come solo il carattere di straordinarietà, eccezionalità e non ulteriore ripetibilità avesse consentito alla Corte costituzionale di "salvare" i precedenti condoni edilizi. Ragionando in termini diversi, infatti, si giungerebbe a "teorizzare la legittimità costituzionale di un condono edilizio sine die, i cui effetti, com'è intuibile, paralizzerebbero ogni tentativo di dare una soluzione al problema attraverso lo strumento della legislazione ordinaria". Ancora, del tutto infondato sarebbe l'argomento dell'Avvocatura secondo il quale il fondamento della normativa oggetto di impugnazione andrebbe reperito nell'art. 120 Cost., dal momento che non vi sarebbero emergenze istituzionali di particolare gravità che sole possono consentire l'attivarsi del potere contemplato da tale disposizione, peraltro esclusivamente nei casi ivi tassativamente previsti. Da ultimo, si evidenzia come anche la Corte dei conti avrebbe avanzato dubbi sulla razionalità, da un punto di vista finanziario, dell'operazione realizzata con il d.l. n. 269 del 2003. La Regione Marche, nella propria memoria, contesta le eccezioni di inammissibilità dei ricorsi sollevate dalla difesa dello Stato. In particolare, sulle censure concernenti la violazione dell'art. 77 Cost., richiama la giurisprudenza costituzionale che ne ha riconosciuto l'ammissibilità quando "la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni o delle Province autonome ricorrenti". In ordine alla ammissibilità del ricorso regionale anche a tutela di posizioni costituzionalmente garantite agli enti locali, la ricorrente richiama l'attuale testo dell'art. 32 della legge n. 87 del 1953, che prevede la possibilità per la Regione di sollevare questione di legittimità costituzionale anche su proposta del Consiglio delle autonomie. Nel merito, insiste sulle censure già proposte. 31. - In prossimità dell'udienza pubblica, anche il Comune di Roma ha depositato una nuova memoria, svolgendo ulteriori rilievi in ordine alla ammissibilità dello stesso e richiamando, nel merito, le argomentazioni dell'atto di intervento e dei ricorsi delle Regioni Umbria e Lazio. by www.osservatoriosullalegalita.org ___________ I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI CITANDO E LINKANDO LA FONTE
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