NOTIZIARIO del 29 marzo 2004

 
     

La vera novita' della protesta globale
Rita Guma intervista Paola Cesarini

Qualche giorno fa l'Osservatorio sulla legalita' Onlus ha segnalato l'uscita del libro Authoritarian Legacies and Democracy in Latin America and Southern Europe curato da Paola Cesarini, membro del nostro comitato scientifico.

Paola, che e' specialista di politica europea, latinoamericana ed internazionale, vive negli Stati Uniti, ma ha viaggiato in quest'ultimo anno in diverse realta' socioculturali, fra cui la nostra, per una ricerca sulla politica della memoria.
Si e' trovata immersa nelle realta' dei girotondi, dei movimenti, delle marce pacifiste, e le abbiamo chiesto di raccontarcele dal suo punto di vista privilegiato di studiosa e di "Italiana nel mondo".

Paola, il nostro mondo sta vivendo una straordinaria vitalitá in termini di partecipazione civile, movimentismo e manifestazioni di piazza. Quali differenze e analogie hai riscontrato nel modo di vivere questa situazione tra i Paesi che hai visitato per le tue ricerche negli ultimi anni?

In Argentina, ho presenziato ai cacelorazos contro la crisi economica e la corruzione governativa, alle marce contro la violenza delle forze dell'ordine, e alla commemorazione dell'attentato (tuttora impunito) all'associazione ebraica AMIA con sede a Buenos Aires.
In Italia, ho partecipato alla fiaccolata romana di solidarietá con le vittime dell'11 Settembre, alla grande manifestazione dell'Ulivo, ed a vari girotondi contro la politica del governo Berlusconi.
In America, ho assistito alle marce pacifiste contro la guerra in Iraq, alle proteste di alcuni gruppi di disoccupati, ed ai rallies di un paio di candidati democratici alla presidenza. Piú delle ovvie differenze tra questi episodi di partecipazione civile, mi hanno colpito le similitudini.

In particolare, ho riscontrato tre fili conduttori comuni. Primo: la gran voglia di partecipazione popolare e di cambiamento. Dopo anni in cui le democrazie (soprattutto occidentali) hanno registrato una progressiva astensione politica, la gente sembra di nuovo interessarsi alla politica. Tuttavia, non si riconosce piú nei modi tradizionali di partecipazione, e cerca forme alternative, e spesso creative, di protesta.

Secondo: la frustrazione nei confronti di governi arroganti, incapaci e menzogneri, che si illudono di poter impunemente ignorare l'opinione pubblica. La Spagna, per fortuna, ha dimostrato di recente come ció porti a conseguenze spiacevoli. Rimane ora da vedere se il messaggio spagnolo é stato ricevuto da chi di dovere anche altrove.

Terzo: la protesta odierna é multi-classe, inter-religiosa, inter-generazionale, pacifica, dignitosa e persino gioiosa. Negli episodi cui ho assistito, operai marciavano accanto ad intellettuali, cristiani insieme a musulmani ed ebrei, giovani a fianco di anziani, e figli a braccetto con i loro genitori.

L'anno di ricerche che hai condotto in Italia per il tuo libro in preparazione, ha coinciso con il particolare fermento conseguente al Palavobis. Quali sensazioni hai provato, immersa in questi fermenti, da studiosa di scienza politica, ma anche da persona attenta ai temi civili ed al futuro della societá? E quali eventi e atteggiamenti ti hanno colpita di piú?

La prima sensazione che ho provato é stata di orgoglio. La societá civile italiana si era svegliata, spontaneamente ed in grande stile. La sensazione immediatamente seguente é stata, peró, di grande frustrazione, sia nei confronti dei partiti della sinistra ufficiale, che dei movimenti. Ed é una sensazione che permane.

La frustrazione nei confronti dei partiti deriva dalla loro incapacitá di dialogare con la societá civile - senza arroganza o strumentalizzazione.
La frustrazione nei confronti dei movimenti deriva invece dalla loro mancata evoluzione da protesta di piazza, in progetto politico concreto e costruttivo.
In altre parole, in Italia siamo di fronte ad una situazione paradossale, in cui i politici si illudono di poter vincere le elezioni senza la collaborazione della societá civile. E la societá civile si illude di poter cambiare il paese senza preoccuparsi di come vincere in concreto le elezioni.

Secondo me, invece, la sinistra - per riconquistare il potere - ha bisogno di unitá a tutti i livelli, ed in special modo tra partiti e societá civile.
Proprio l'altra sera negli Stati Uniti, c'é stata la cena di "unitá" del partito democratico. Da Carter a Clinton, da Gore a Lieberman, da Dean a Sharpton c'erano tutti - ma proprio tutti. Nonostante il partito democratico non sia proprio un modello di compattezza interna, nemici vecchi e nuovi si sono - per l'occasione - riappacificati.
Perché in America sia tra i politici democratici, che tra la societá civile progressista, si comprende bene che la posta in gioco é alta, e il nemico da battere formidabile.
In Italia, purtroppo, questa comprensione sembra esserer ancora lontana anni luce.

Paola, a differenza dell'Europa, che ha conosciuto le manifestazioni di piazza solo in particolari momenti storici della sua vita, gli USA - e in particolare alcune cittá - sono state spesso teatro di cortei per la difesa dei diritti civili. Ti sembra che sia cambiato qualcosa, con la globalizzazione della protesta?

Diciamo pure che mentre in America tutti - dall'anti-abortista al pacifista, dagli afro-americani ai latinos, dagli omosessuali ai cacciatori - marciano in piazza per difendere la propria causa, con orgoglio democratico e generale rispetto reciproco, in Italia chi protesta pubblicamente é ancora visto un po' come un sovversivo - soprattutto da chi simpatizza a destra.

La globalizzazione della protesta, quindi, aiuta ad erodere lo stigma che chi marcia in Italia si porta ancora appresso.
Quando in tutto il mondo si tengono proteste (pacifiche) in contemporanea - dagli USA alla Gran Bretagna, dall'Australia al Brasile, dal Sudafrica alla Norvegia - diventa piú difficile per gli aficionados dell'ordine pubblico sostenere che i manifestanti nostrani sono comunisti rivoluzionari. Perché se sono comunisti rivoluzionari i nostri, allora lo sono anche i manifestanti degli altri paesi (compresi gli USA).

Per quanto riguarda i contenuti, invece, la globalizzazione della protesta puó, a volte, contribuire alla confusione delle idee.
Prendiamo, per esempio, le marce pacifiste della settimana scorsa. Ebbene, a me non sembra che le manifestazioni nei diversi paesi avessero un messaggio effettivamente comune.
In Italia si marciava in nome di un pacifismo generale, senza se e senza ma.
In America, invece, si marciava specificamente contro la guerra in Iraq. Sono certa, infatti, che i manifestanti americani di Sabato scorso non hanno nulla in contrario all'uso della forza contro i terroristi -- a patto che siano terroristi veri, e non fabbricati dal governo per i propri fini politici.

Le nuove tecnologie e la rivoluzione mediatica hanno fatto la differenza nelle modalita' di azione della societá civile? E per la studiosa Paola Cesarini, la societá odierna presenta aspetti inediti o ripercorre solo vecchi schemi con nuovi strumenti?

Internet sta letteralmente rivoluzionando il modo di contestare. É infatti principalmente grazie ad essa che possiamo parlare di una societá civile globalizzata. Internet é uno strumento incredibile per accrescere il coordinamento e l'efficacia della protesta. E favorisce, senza dubbio, lo scambio di idee ed opinioni in modo immediato, democratico e veramente globale.

Internet, tuttavia, rimane solo uno strumento. E senza idee costruttive lo strumento é una scatola vuota.
Ora, di idee in giro ce ne sono tante. Ma di nuove ne vedo poche.
In fondo, la protesta civile - anche in USA - é ancora per lo piú formulata in termini di classe. Anche i no-global riecheggiano slogan legati alla teoria della dipendenza economica - una corrente di pensiero di stampo marxista. E i pacifisti radicali, poi, sono decisamente rimasti ad argomenti risalenti agli anni '60, che - a mio parere - sono assolutamente inadeguati al XXI secolo.

Solo il movimento per i diritti umani, negli ultimi anni, é riuscito a portare novitá rilevanti nel modo di teorizzare e praticare la protesta civile - penso qui soprattutto a quelle organizzazioni che lottano su scala mondiale per la liberazione dei detenuti politici, per la condanna dei responsabili di genocidio, o per il boicottaggio di prodotti fabbricati con il lavoro minorile.

Entrambi i tuoi libri, quello appena pubblicato e quello in elaborazione, parlano dell'ereditá storico-politica e dei suoi effetti sulla societá odierna in alcuni paesi. Quali sono le differenze sostanziali nell'impostazione e nei contenuti dei due volumi?

Il volume appena pubblicato é frutto di un progetto pluriennale ed interdisciplinare sul problema delle ereditá autoritarie in America Latina ed Europa del Sud, che raccoglie saggi di accademici di vari paesi. Qui, oltre che ad aver curato la pubblicazione, sono autrice (o co-autrice) di tre capitoli.

Il libro su cui sto lavorando attualmente, invece, é una monografia personale in cui elaboro una teoria comparata degli effetti dei processi di giustizia post-autoritaria sulla qualitá delle democrazie contemporanee che hanno esperienze dittatoriali alle spalle - quindi paesi come l'Italia, il Portogallo, l'Argentina, etc.

La mia tesi, in breve, é che la qualitá della gran parte delle democrazia post-autoritarie odierne dipende principalmente dalle scelte compiute, durante la transizione democratica, in materia di giustizia verso il proprio difficile passato.
Queste, infatti, costituiscono decisioni fondamentali che inseriscono un paese in un percorso storico da cui é difficile uscire. E che finiscono per plasmare irreversibilmente la natura della competizione democratica, delle relazioni tra societá e stato, e del prevalente discorso politico - ovvero il livello di qualitá che contraddistingue una democrazia.

by www.osservatoriosullalegalita.org

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