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NOTIZIARIO del 07
marzo 2004
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Ma
i giudici amputano le gambe? Un ampio dibattito si e' sviluppato in queste settimane intorno alla questione delle persone che, trovandosi di fronte alla necessita' di un'operazione invalidante quale l'amputazione, rifiutavano di sottoporvisi. E' stato anche detto che, nel caso della donna di San Remo, il giudice avesse emesso un'ordinanza che disponeva l'operazione contro la sua volonta', giudicandola incapace di intendere e di volere. Dico subito che personalmente sono per il diritto all'autodeterminazione della persona, e come Osservatorio difendiamo i diritti civili. Tuttavia il tema, essendo delicato ed importante per le sue diverse implicazioni, va affrontato sotto i due profili, giuridico ed etico-medico. Sotto il profilo giuridico, un magistrato che si trova di fronte ad una richiesta d'interdizione o inabilitazione, chiede una perizia riguardante il possesso delle facolta' della persona in questione e valuta questa e gli altri dati in suo possesso (ad es. precedenti episodi di follia o simili), non giudica la bonta' o meno della decisione che la persona potra' prendere in caso venga ritenuta capace di intendere o di volere. In pratica, quando il magistrato si trova di fronte ad una richiesta, non valuta se la sua decisione permettera' in seguito alla persona di redigere un testamento o una donazione, di decidere se farsi amputare o meno una gamba o di essere affidataria di un minore. La decisione del giudice stabilira' semplicemente se quella persona e' in condizione di intendere e di volere. Se arrivera' alla conclusione che non lo e', qualunque atto da essa compiuto potra' essere invalidato e qualunque decisione successiva a tale ordinanza dovra' essere presa da un tutore o curatore in nome e per conto della persona. Il fatto contingente che vi sia un'urgenza chirurgica puo' solo accelerare la decisione del giudice, nel senso che egli dovra' fissare l'udienza entro tempi brevi perche' la sua decisione puo' incidere sulla vita, la morte o l'integrita' fisica della persona, ma la circostanza non determinera' il merito della sua decisione. Decine di persone vengono dichiarate incapaci di intendere e di volere, e cio' non desta scandalo. Probabilmente alcune di esse, a distanza di anni dalla decisione del giudice, dovranno sottoporsi ad una operazione di amputazione ed il tutore decidera' per loro senza che finiscano sui giornali. In questo caso e' invece accaduto che le due vicende siano state concatenate, ma sui giornali, non nella motivazione della sentenza. Diversa e' la questione etico-medica. In essa si possono configurare differenti circostanze che spingono persone in grado di intendere e di volere a rifiutare l'intervento. Accade ad esempio per i Testimoni di Geova o per i fedeli di altre religioni, che essi rifiutino trasfusioni o donazioni d'organi. Puo' accadere invece che una persona giovane pensi in quel momento di non avere in seguito la forza di affrontare la vita senza quell'arto. Puo' accadere che un anziano sia sereno nell'affrontare la morte conseguente alla mancata operazione, ritenendo la sua vita conclusa e considerando l'operazione un accanimento terapeutico. Puo' infine accadere che un anziano preferisca affrontare subito una morte dignitosa, piuttosto che vivere menomato per qualche anno con una qualita' di vita pessima per se' o per i familiari, per poi morire ugualmente di li' a pochi anni. Non e' infatti detto che tutti abbiano le risorse economiche o le condizioni familiari per poter affrontare la vita con una menomazione, e lo Stato in questo non da' sufficiente sostegno. Nel caso del motivo religioso, personalmente, da laica, penso che non ci si debba far influenzare ne' dall'ottica cattolica (vita a tutti i costi e magari dolore, tanto dobbiamo soffrire), ne' da quella dei Testimoni di Geova (il corpo deve restare integro fino alla tomba). Se cio' riguardasse solo l'individuo, infatti, gli effetti potrebbero essere solo personali, ma se la mancata operazione portasse, ad esempio, il paziente a pesare permanentemente sul servizio sanitario nazionale, a non poter assistere i figli minori, etc, lo Stato laico potrebbe dover avere voce in capitolo. Tuttavia si potrebbe rispondere che tale ragionamento non terrebbe sufficiente conto dell'autodeterminazione della persona. Infatti, che mi risulti, tale procedura viene applicata solo per i minori sui quali le famiglie impediscono trattamenti sanitari salvavita. In quel caso non e' il minore - cioe' la persona che deve affrontare il trattamento - a dover esprimere la sua liberta' decisionale, ma il genitore, e dunque il magistrato spesso dispone l'intervento. Il discorso andrebbe comunque dibattuto ed approfondito nelle opportune sedi. Per la persona che non ha sufficienti strumenti psicologici per affrontare una mutilazione, vale a mio avviso la logica che impone allo Stato ed al medico di evitare un tentativo di suicidio. La persona va cioe' aiutata ad affrontare le sue paure ed il suo futuro handicap, con aiuti psicologici che coinvolgano, ove presenti, anche le famiglie. Anche qui si possono configurare casi differenti, ed andrebbe approfondito il discorso. Infine il caso piu' chiaro mi pare quello di un'anziano cui la mutilazione farebbe guadagnare qualche anno di vita a scapito della serenita' e forse del decoro e della dignita'. Qui mi sembra palese che vada rispettata la decisione della persona, soprattutto considerando che per alcuni casi piu' gravi ci si pone addirittura la questione etica dell'eutanasia. Il discorso e', come dicevo, piuttosto difficile e delicato, anche in ordine alla gravita' della patologia o della mutilazione, se si entra nel merito. Tuttavia, come gia' detto, un magistrato che decide per l'interdizione non entra nel merito. Non e' accaduto questo nel caso sanremese, ed anche negli altri casi il magistrato dovra' attenersi nelle sue decisioni alla Costituzione, che ci dice uomini liberi, e stendere una motivazione che faccia riferimento alle leggi in materia, e non alle sue personali convinzioni o ai desiderata di medici e familiari del paziente. E' vero invece che un'informazione parziale ed in definitiva distorta e' arrivata nelle case degli Italiani. Cio' e' stato determinato dal fatto che i giornalisti, per esigenze istruttorie e di privacy, hanno potuto conoscere e pubblicare solo una parte della vicenda, probabilmente solo gli aspetti piu' scandalistici. Il tentativo di chiarire al pubblico i fatti e dimostrare la buona fede del magistrato comporterebbe la pubblicazione di atti e circostanze che sicuramente lederebbero la dignita' della persona interessata, e non puo' essere che voglia questo chi per quella dignita' chiede rispetto. Se quindi e' vero che occorre vigilare che vi siano adeguati strumenti di controllo riguardo alla possibilita' di interdire chiunque di noi, e' vero anche pero' che sarebbe opportuno fossero riportati in cronaca solo i fatti davvero potenzialmente lesivi dei diritti civili. Uno dei casi che richiederebbe maggiore attenzione, a questo riguardo, e' il TSO, trattamento sanitario obbligatorio di tipo psichiatrico, che potrebbe davvero essere pericoloso, soprattutto sotto possibili regimi, grazie al fatto che viene disposto da un sindaco sulla scorta del parere di due medici non necessariamente specialisti ed inizia senza convalida del giudice, il quale solo 48 ore dopo viene a conoscenza dell'avvenuto ricovero. _____________ I
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