NOTIZIARIO del 31 ottobre 2003

 
     

Sul rapporto tra legge e giurisdizione - cioe' tra previsione astratta e applicazione al caso concreto - pubblichiamo il seguente intervento scritto dal magistrato Giovanni Armone, ringraziando l'autore perche' ci ha dato il permesso di pubblicarlo e diffonderlo.

L'interpretazione della legge
di Giovanni Armone

Condividendo quanto è stato scritto finora sulla serietà e ponderatezza del provvedimento, sulla solidarietà al collega Montanaro, sull'assurdità del solo pensare a un'azione disciplinare, propongo questa riflessione sulla questione sollevata dall'ordinanza sul crocifisso.

La prima considerazione in me suscitata dall'ordinanza del Tribunale de L'Aquila riguarda il rapporto tra legge e giurisdizione. Molti di coloro che hanno commentato a caldo il provvedimento hanno più meno consapevolmente introdotto questo tema, ma quasi sempre la loro tesi era nel senso della supremazia della legge sulla giurisdizione (salvo al più il ricorso alla giurisdizione costituzionale) o viceversa.

Il rapporto tra legge e giurisdizione era inteso dunque in senso esclusivo: o la decisione del giudice è sbagliata, in quanto contraria a una legge superiore che il giudice non può permettersi di disattendere, o è giusta, in quanto sorretta da argomentazioni tali da rendere inoperante (attraverso lo strumento della disapplicazione o altro) la forza della norma.

Questo modo di argomentare ha due implicazioni entrambe a mio avviso erronee. La prima è che si pretende di ripartire in modo definitivo e certo i compiti del giudice e quelli del legislatore, dimenticando così - al pari dei proponenti il famoso emendamento sulla sanzionabilità disciplinare della giurisprudenza creativa -che il confine tra tali compiti è inevitabilmente fluido, impossibile da definirsi a priori, che da sempre "per ogni legislatore di rispetto scienziati del diritto e giudici hanno costituito il peggiore degli incubi proprio per le loro capacità tecniche idonee a sfaldare la puntigliosa edificazione legislativa" (P. Grossi, Globalità, diritto, scienza giuridica, in Foro it., 2002, I, 159).

La seconda è che si finisce con il trascurare che la decisione del Tribunale sul crocifisso non ha carattere definitivo. Con questo non intendo sottolineare il fatto che essa è suscettibile di revisione da parte delle giurisdizioni superiori, ma che, anche qualora essa acquistasse una sua stabilità processuale, essa non sarebbe idonea a regolare in modo esaustivo tutti i rapporti giuridici concernenti il crocifisso nelle scuole italiane; essa vale solo per la piccola scuola di Ofena, nei rapporti tra quell' istituto e la classe dei figli del ricorrente; oltre a poter essere annullata o modificata dal giudice del reclamo, può essere domani contraddetta da altri giudici in casi analoghi ma non identici, in contesti simili ma diversi, persino nella classe accanto a quella dove oggi si è ordinata la rimozione del crocifisso.

E' evidente che buona parte della discussione pubblica originata dal provvedimento possiede una sua giustificazione di fondo, in quanto il provvedimento, anche per effetto della provocatorietà del ricorso, possiede una sua innegabile portata simbolica.

Ma, una volta placato il clamore che si è creato, sarebbe forse possibile riconoscere che la decisione ha comunque un valore davvero limitato al caso singolo affrontato e che tale sua unicità, tale sua attitudine a essere contraddetta è un pregio e non un difetto. Si tratta anzi di quello che è stato giudicato il pregio maggiore dello strumento giurisdizionale, con parole che davvero sembrano attagliarsi perfettamente al caso del crocifisso: "la legge, almeno nella struttura tipica della tradizione dell'Europa continentale, si presenta come scelta definitiva tra i valori in conflitto, con una delegittimazione quasi totale di quelli sacrificati.

Nella decisione giudiziaria, invece, la scelta non si presenta mai come definitiva: perché si riferisce ad un caso specifico, e non alla generalità dei casi; e perché la parte (il valore, l'interesse) soccombente può ritenere che, in un caso futuro, saranno le sue ragioni ad avere la preminenza.

La decisione giudiziaria quindi si presenta come uno strumento che, soprattutto in una società pluralista o comunque caratterizzata da un politeismo di valori, evita la definitiva delegittimazione di una delle posizioni in campo, e i conflitti che da ciò discenderebbero. Garantisce inoltre una maggiore alla situazione concreta, evitando di irrigidire la regola e consentendo una sua continua adattabilità" (S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 127).

Per i cultori più fanatici della certezza del diritto, si tratta probabilmente di un'affermazione scandalosa; nel caso specifico, l' alternativa che il vecchio mito della certezza del diritto sembra proporre è quella tra un crocifisso imposto burocraticamente in tutte le scuole, come ancora prevede un regio decreto, o rimosso ovunque, perché in contrasto con la laicità dello Stato affermata dalla Costituzione.

Al contrario, se si avesse una non definitiva vittoria della legge sulla giurisdizione e viceversa, ne deriverebbe una distribuzione dei crocifissi "a macchia di leopardo", che, per quanto curiosa, potrebbe non essere la soluzione peggiore; laddove il crocifisso sia accettato da tutti, alunni e insegnanti, i quali vi riconoscano i valori di una grande religione e di una grande civiltà, esso potrebbe rimanere, affiancato magari da altri simboli importanti; laddove invece qualcuno se ne senta ferito (e la cosa non deve essere giudicata eccentrica, se solo si pensa a tutto il fenomeno dell' iconoclastia e dell'uso strumentale dei simboli religiosi), il crocifisso potrebbe - concordemente o a seguito di una decisione giudiziaria - essere rimosso o semplicemente accantonato, senza che i cristiani, in nome dell' amore e della tolleranza per il diverso sentire che essi più di altri devono nutrire, possano sentirsene offesi.

Il vantaggio ulteriore che deriverebbe da una soluzione flessibile come questa consiste nel fatto che evita allo Stato una secca alternativa: presentarsi ai cittadini con il volto clericale e autoritario dello Stato di stampo concordatario e burocratico, che arriva a regolare minuziosamente tutti gli aspetti dell'arredo scolastico (e magari la lunghezza delle gonne e dei capelli), oppure mostrare loro il volto freddo e indifferente dello Stato laico o meglio laicista che, per mantenersi fuori dalla mischia, finisce con l'imporre - non meno autoritariamente - il muro bianco e il disaccordo tra le persone.

by Bollettino Osservatorio

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