notiziario 22 aprile 2002

 
     

La stampa può riportare frasi diffamatorie se c’è pubblico interesse
di Emanuele Lucchini Guastalla
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L’ultima sentenza della Cassazione fa chiarezza sulle interviste

La Cassazione a sezioni unite, dopo più di tre lustri dalle sentenze che hanno segnato i confini del diritto di cronaca, torna sull’argomento con una decisione che completa il quadro a suo tempo tracciato, specificando un principio di fondamentale importanza per la libertà di stampa.

Secondo quanto deciso dal Supremo Collegio, se ricorrono certe condizioni il giornalista che riporta fedelmente sulla carta stampata una dichiarazione diffamatoria rilasciata da un terzo esercita legittimamente il diritto di cronaca e non è responsabile della lesione all’onore o alla reputazione altrui. I giudici partono dall’esatta premessa che, mentre nella «classica» notizia di cronaca si riferisce un fatto storico, la pubblicazione di un’intervista ha lo scopo di rendere noto un fatto o un’opinione così come sono stati narrati da qualcuno. Il caso esaminato dalla Suprema Corte si riferisce a un’intervista, ma il principio che ne è scaturito sembra possa estendersi a ogni ipotesi di dichiarazione pubblica: l’affermazione nel corso di una conferenza stampa, le frasi pronunciate durante un comizio elettorale, le dichiarazioni formulate in occasione di un convegno, e via dicendo.

È bene anzitutto precisare che questa sentenza non riconosce affatto una sorta di «licenza alla diffamazione». L’autore della dichiarazione infamante (poi riportata dalla stampa) continua a risponderne pienamente nei confronti della persona offesa; nel contempo, la stampa non può invocare l’esercizio del diritto di cronaca per riportare al pubblico qualsiasi dichiarazione oltraggiosa, posto che la divulgazione di un’intervista (o di altra pubblica dichiarazione) dal contenuto ingiurioso è legittima solo in specifiche e limitate ipotesi. Vediamo quali.

Il giornalista in primo luogo, deve rimanere «neutrale» rispetto alle esternazioni dell’intervistato. Dunque, non può e non deve provocare lui stesso, con domande insinuanti o risposte ingiuriose, deve riportare la notizia in modo che risulti subito chiaro al pubblico che l’articolo non rivela un fatto storico, ma riferisce l’opinione di un singolo. Questo, tuttavia, non è ancora sufficiente. La pubblicazione dell’intervista, infatti, deve rivestire un carattere di pubblico interesse; il che significa che di norma, non si possono divulgare le opinioni infamanti di un «illustre sconosciuto».

Per converso, sussiste un’utilità sociale nella pubblicazione della dichiarazione (anche oltraggiosa) di personaggi che, nella vita politica, culturale, economica, sociale e scientifica, rivestono un ruolo centrale. E ciò all’ulteriore condizione che non solo la provenienza, ma anche il contenuto della dichiarazione resa da un noto personaggio sia di pubblico interesse, cosa che si realizza quando la «vittima» delle dichiarazioni ingiuriose occupi una posizione altrettanto rilevante nella società e i fatti o i giudizi che le si riferiscono siano di reale interesse per la pubblica opinione.

Il che, ovviamente, esclude la notizia futile, il mero pettegolezzo, anche se riferito a personaggi noti. È evidente, infatti, che se un noto personaggio politico accusa il suo panettiere di imbrogliare sul peso del pane, non vi è utilità sociale nel divulgare la notizia. Diversamente, la società ha interesse a sapere che un uomo politico contesta a un suo avversario di intascare tangenti, così come è legittimo che il pubblico sappia che un medico di fama mondiale incolpa un illustre collega di servirsi dei suoi pazienti come «cavie umane».

Qualora queste affermazioni siano false, il medico che diffama il collega e il politico che scredita l’avversario ne rispondono pienamente di fronte alla legge e a coloro che hanno offeso; non, invece, il giornalista che si limita a riportare le loro dichiarazioni, posto che la pubblicazione dell’intervista assolve a una funzione socialmente utile. La divulgazione dell’esternazione oltraggiosa del personaggio pubblico, infatti, risponde all’esigenza della collettività di conoscere a fondo i personaggi della vita politica, sociale, economica, culturale, permettendole di avere contezza dei termini delle dispute che sorgono tra loro e di imparare a distinguere tra chi si comporta lealmente, e chi, al contrario, non si fa scrupoli a screditare gratuitamente i propri avversari pur di prevalere.

Il giornalista, posto di fronte alla rivelazione ingiuriosa di una personalità celebre, non si trova più di fronte alla drastica alternativa di operare una sorta di censura a quanto gli sia stato riferito (con tagli o manipolazioni di dubbia liceità) oppure di pubblicare integralmente e fedelmente l’intervista, correndo però il serio pericolo di essere ritenuto responsabile di diffamazione. L’esternazione di un noto personaggio che sia di interesse per l’opinione pubblica può oggi essere riportata dalla stampa nella sua originalità e interezza, anche quando il suo contenuto sia volutamente e dichiaratamente offensivo. Ciò perché la «notizia» socialmente rilevante viene correttamente identificata nel fatto che un certo personaggio pubblico abbia formulato alcune affermazioni, vere o false, garbate o ingiuriose che siano.

Il principio riconosciuto dai nostri giudici è di primaria importanza perché rappresenta l’unica via per consentire un libero esercizio del diritto di cronaca anche quando un dibattito (politico, sociale, culturale) assume toni forti, fino ad arrivare all’aperto scambio di insulti. Del resto, come sottolineava Arthur Schopenhauer, l’insulto, la menzogna, le insinuazioni gratuitamente infamanti altro non sono che gli espedienti ai quali ricorre chi non ha (o non ha mai avuto) validi argomenti per sostenere un confronto a far valere le proprie opinioni. E quando ciò accade, è bene che la società ne venga informata.

*Professore di diritto privato Università di Bergamo

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