notiziario 22 aprile 2002

 
     

IL CASO DEL G8
di Piero Ostellino

Quando la magistratura ha rivelato che alcune cronache sui fatti di Genova non erano veritiere perché inquinate dalla disinformazione degli antiglobalisti, i responsabili degli organismi di categoria hanno replicato che in tal modo si facevano passare i giornalisti italiani per «stupidi o strumentalizzati». In realtà, mi si passi il paradosso, anche se sarebbe meglio che non lo fossero, essere «stupidi o strumentalizzati» è, per i giornalisti di un Paese libero, un diritto. Che si chiama libertà di informazione.

Solo nei Paesi autoritari e totalitari i giornalisti non si sbagliano mai, perché sanno sempre che cosa il Potere si aspetta da loro e, quindi, che cosa scrivere qualsiasi cosa succeda. In un Paese libero, non si corrono grandi rischi se ci si sbaglia e a giudicare i giornalisti c’è un solo giudice: i loro lettori. Tutto sta, evidentemente, nel non esagerare, nel non approfittare troppo del fatto che, il giorno dopo, con il giornale, ci si incarta il pesce. I giornalisti italiani che hanno raccontato i fatti di Genova erano «stupidi o strumentalizzati»? Non lo credo. Anzi.

Resta il fatto, però, che i telespettatori che hanno ascoltato i commenti di alcuni telecronisti, senza badare troppo alle immagini, i lettori che non hanno seguito gli avvenimenti alla televisione, limitandosi alle cronache del proprio giornale, hanno tratto, netta, la sensazione che: 1) i disordini sono stati provocati solo dalla minoranza dei Black Bloc; 2) le forze dell’ordine sono state inutilmente repressive; 3) il governo Berlusconi non ha fatto nulla per andare incontro agli antiglobalizzatori; 4) il solo fatto di cronaca rilevante sono stati gli abusi compiuti da polizia e carabinieri.

Ora che la magistratura e lo stesso comitato parlamentare di indagine presentano un quadro di insieme alquanto diverso, se ne deve dedurre che i giornalisti italiani che hanno raccontato i fatti di Genova hanno esagerato? Non lo credo. Anzi. Penso che abbiano fatto tutti il loro dovere con onestà. Peraltro, e qui sta il punto, con la stessa onestà, ma anche con la stessa cultura medica, con la quale un laureato in lettere antiche farebbe la cronaca di un congresso di cardiochirurgia. Il problema è, in buona sostanza, che ciascuno di noi non guarda alla realtà solo con quelle due fessure che ha in mezzo alla faccia, ma anche e soprattutto con quello che ha dentro la testa. Che si chiama metodologia della conoscenza e cultura politica.

Il guaio è che, per gran parte del giornalismo italiano, la metodologia della conoscenza è filosofica, non empirica; il linguaggio è retorico, non logico; la cultura politica è ideologica, non razionale. Una volta, metodologia della conoscenza e cultura politica erano orientate «a destra»; ora, da tempo, lo sono «a sinistra». Ma i danni sono gli stessi. A non essere libero è innanzi tutto il giornalista - ridotto alla condizione del laureato in lettere antiche che deve scrivere di un congresso di cardiochirurgia - a essere rappresentata in modo parziale è la realtà, a farsi inconsapevolmente un’opinione «orientata» è il lettore.

Ieri, attraverso la lente deformante dell’anticomunismo, che vedeva un pericolo comunista anche nella minestra in brodo, finendo con lo scambiare per baluardi della libertà le peggiori dittature purché anticomuniste; oggi, attraverso il complesso non meno deformante del «linguaggio politicamente corretto» che, nel timore di non apparire sufficientemente «progressista», finisce con lo scambiare per libertà l’arbitrio dei violenti e per democrazia le loro violazioni della legalità. N é stupidi né strumentalizzati, dunque, i giornalisti italiani. Ma «colleghi che sbagliano». In assoluta buona fede.

Dalla celebrazione anche degli aspetti meno edificanti del Sessantotto, alla assoluzione di movimenti illiberali come quello studentesco o di Lotta continua; dalla convinzione che le Brigate rosse fossero in realtà nere alla accettazione della tesi delle «stragi di Stato»; per non parlare della creazione dei miti di Mao, Castro, Di Pietro (anche lui diventato di sinistra, dopo la candidatura al Mugello!?), Gorbaciov. Eccetera, eccetera. Eppure, se non questo genere di giornalismo, che Dio ci conservi questa libertà. Anche di sbagliare..
(Da Il Corriere della sera)

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