notiziario 23 gennaio 2002

 
     

IL RITORNO DEL SADISMO SOCIALE
di Marco Revelli

Ho letto e riletto più volte il disegno di legge n. 795 sulla “Modifica della normativa vigente in materia di immigrazione e di asilo”, con la volontà esplicita di farmi del male. Ho voluto lasciare che quel testo mi entrasse ben dentro, con un senso crescente prima di disagio, poi di rabbia, infine di vergogna.

Perchè lì, in quegli atti ufficiali, in quelle pagine con nell'intestazione il simbolo della “nostra” Repubblica è contenuto, in linguaggio neppur tanto burocratico, ben chiaro nero su bianco, l'attestato della nostra inadeguatezza civile: dell'incapacità del nostro sistema politico e sociale, ma anche del nostro universo culturale, di affrontare i temi chiave del tempo, le reali emergenze umanitarie, le sfide di un mondo unificato.

Il decreto legge che porta le firme congiunte del presidente del Consiglio, Berlusconi, del vice presidente del Consiglio, Fini, del ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Maroni, del ministro degli Affari esteri, Ruggiero (con buona pace di chi vorrebbe farne una bandiera di civiltà), del ministro dell'Interno, Scajola, del ministro per le Riforme istituzionali e la devoluzione, Bossi e del ministro per le Politiche comunitarie, Buttiglione, di concerto con tutti gli altri ministri, è un monumento di egoismo nazionale e sociale. Il segno di quanto quella “guerra contro i poveri” che si va combattendo silenziosamente nel mondo, sia penetrata tra le pieghe della nostra democrazia, inquinandola profondamente.

Tre esempi. Intanto la “filosofia di fondo che influenza l'intero impianto: la necessità, proclamata expressis verbis, di far fronte a un pericolo incombente di “invasione” da parte di popoli a crescita demografica sproporzionata rispetto alla nostra. Non l'esistenza di una seria questione sociale da affrontare con logica di sistema.Non l'emergere di disuguaglianze inaccettabili nel medesimo spazio sociale (il Mediterraneo, la grande periferia d'Europa, le aree transcontinentali congiunte dalla globalizzazione).

Ma la necessità di “contrastare” i flussi in arrivo come si contrasterebbe un “nemico”. Di “filtrarli” lasciando passare solo ciò che può “esser utile”; solo quanto “ci serve”. Ed è questo l'altro pilastro del provvedimento: la centralità del ruolo lavorativo, del lavoro come tale, nella sua accezione più brutalmente economica e privatistica, non come attributo della persona, ma come bisogno dell'impresa. Come mera funzione produttiva.

Al cuore della politica migratoria delineata dal disegno di legge c'è l'istituto inedito del Contratto di soggiorno per lavoro, un istituto negoziale privato, siglato tra datore di lavoro e immigrato in un ufficio pubblico e assunto come condizione sine qua non per ottenere il permesso di soggiorno (la possibilità di “esistere” sul nostro territorio). Un contratto di lavoro (tra privati) come condizione per il riconoscimento (pubblico) dello status di persona.

La persona trasformata in appendice della funzione produttiva. La logica dei rapporti servili inserita nella modernità contrattuale. Un feudalesimo post moderno, nel quale al “padrone”, pardon, al datore di lavoro, spetterà anche, per legge, di fornire alloggio e, in caso di rescissione del contratto, di provvedere al rimpatrio del migrante onde evitare che rimanga, appunto, come “anima morta” sul territorio.

Per chi non avrà il privilegio di essere incorporato come mezzo produttivo in un'impresa, o per chi perderà per qualche ragione questo privilegio, l'espulsione. Che il disegno di legge prevede immediata, con accompagnamento forzato alla frontiera, abbattendo buona parte delle garanzie giuridiche finora previste, compreso il diritto di attendere le motivazioni del provvedimento in caso di ricorso.

Un abbattimento che diventa feroce nel caso del diritto d'asilo, per i cui richiedenti è previsto, nel caso di domande che appaiano ex origine “manifestamente infondate” (chi lo giudica? Chi lo decide?), l'internamento nei Centri di permanenza provvisoria (i famigerati luoghi di detenzione arbitraria introdotti dalla legge 40 Turco-Napolitano). Tecnocrazia, si potrebbe dire. Ritorno a una visione patrimonialistica della sfera pubblica, certo. Con in più, però, un tocco di sadismo sociale, una voglia di maramaldeggiare sui più deboli, che va oltre la normale disumanizzazione contemporanea.

Si consideri ad esempio il caso degli aggravi di spesa che la stretta repressiva, gli accompagnamenti alle frontiere, soprattutto il prolungamento a 60 giorni dei tempi massimi di detenzione nel Centri di permanenza provvisoria, e l'accresciuto numero di persone che vi saranno segregate (si calcola nell'ordine di 36mila all'anno) comporteranno: quasi 58 milioni di euro. Bene, come li reperiranno Berlusconi, Fini, Bossi (non più Ruggiero)?

Secondo la dettagliatissima Relazione finanziaria, potranno far fronte al maggiore esborso grazie «all'articolo 15 del presente disegno di legge, che ha soppresso la facoltà per i lavoratori extracomunitari di richiedere la liquidazione dei contributi versati in loro favore, nel caso in cui cessino l'attività lavorativa in Italia e lascino il territorio nazionale. Tali somme sono versate dall'Inps all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate allo stato di previsione del ministero dell'Interno».

Ogni commento è superfluo.

Vita magazine 16/01/02

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