notiziario 2 novembre 2003

 
     

Essere laici in un mondo multiculturale
di Umberto Eco

ALCUNI anni fa, e in parte su questo giornale, parlando dell´ondata migratoria che sta trasformando il nostro continente (migrazione di massa, non semplice immigrazione episodica) scrivevo che nel giro di trent´anni l´Europa sarebbe divenuta un continente colorato, con tutte le mutazioni, adattamenti, conciliazioni e scontri che ne sarebbero seguiti, e avvertivo che la transizione non sarebbe stata indolore.

La polemica che s´è aperta sul crocifisso nelle scuole è un episodio di questa transizione conflittuale, come lo è del resto la polemica francese sul chador. La dolorosità della transizione è che nel suo corso non sorgeranno solo problemi politici, legali e persino religiosi: è che entreranno in gioco pulsioni passionali, sulle quali né si legifera né si discute.

Il caso del crocifisso nelle scuole è uno di questi, tanto è vero che accomuna nelle reazioni (di segno opposto) persone che la pensano diversamente, credenti e non credenti. Sulle questioni passionali non si ragiona: sarebbe come cercare di spiegare a un amante, sull´orlo del suicidio perché è stato abbandonato o abbandonata, che la vita è bella, che al mondo ci sono tante altre persone amabili, che il partner infedele in fondo non aveva tutte le virtù che l´amante gli attribuiva.

Fiato sprecato, quello o quella soffrono, e non c´è niente da dire. Sono irrilevanti le questioni giuridiche. Qualsiasi regio decreto imponesse il crocifisso nelle scuole, imponeva anche il ritratto del Re. E quindi se ci attenessimo ai regi decreti dovremmo rimettere nelle aule scolastiche il ritratto di Vittorio Emanuele III (Umberto non è stato formalmente incoronato). Qualsiasi nuovo decreto della repubblica che eliminasse il crocifisso per ragioni di laicità dello stato si scontrerebbe contro gran parte del sentimento comune.

La repubblica francese proibisce l´esibizione di simboli religiosi nelle scuole dello Stato, né crocifissi né chador, se il chador è un simbolo religioso. È una posizione razionalmente accettabile, giuridicamente ineccepibile. Ma la Francia moderna è nata da una rivoluzione laica, Andorra no, ed è curiosamente co-governata dal presidente francese e dal vescovo di Urgel. In Italia Togliatti ha fatto votare i suoi per l´articolo sette della costituzione.

La scuola francese è rigorosamernte laica, e tuttavia alcune delle grandi correnti del cattolicesimo moderno sono fiorite proprio nella Francia repubblicana, a destra come a sinistra, da Charles Peguy e Léon Bloy a Maritain e Mounier, per arrivare sino ai preti operai, e se Fatima è in Portogallo, Lourdes è in Francia. Quindi si vede che, anche eliminando i simboli religiosi dalle scuole, questo non incide sulla vitalità dei sentimenti religiosi.

Nelle università nostre non c´è il crocifisso nelle aule, ma schiere di studenti aderiscono a Comunione e Liberazione. Di converso, almeno due generazioni di italiani hanno passato l´infanzia in aule in cui c´era il crocifisso in mezzo al ritratto del re e a quello del duce, e sui trenta alunni di ciascuna classe parte sono diventati atei, altri hanno fatto la Resistenza, altri ancora, credo la maggioranza, hanno votato per la Repubblica.

Sono tutti aneddoti, se volete, ma di portata storica, e ci dicono che l´esibizione di simboli sacri nelle scuole non determina l´evoluzione spirituale degli alunni. Quindi qualcuno potrebbe dire che la questione è irrilevante anche da un punto di vista religioso. Evidentemente la questione non è irrilevante in linea di principio, perché il crocifisso in aula ricorda che siamo un paese di tradizione cristiana e cattolica, e quindi è comprensibile la reazione degli ambienti ecclesiastici. Eppure anche le considerazioni di principio si scontrano con osservazioni di ordine che direi sociologico.

Avviene infatti che, emblema classico della civiltà europea, il crocifisso si è sciaguratamente laicizzato, e non da ora. Crocifissi oltraggiosamente tempestati di pietre preziose si sono adagiati sulla scollatura di peccatrici e cortigiane, e tutti ricordano il cardinal Lambertini che, vedendo una croce sul seno fiorente di una bella dama, faceva salaci osservazioni sulla dolcezza di quel calvario. Portano catenelle con croci ragazze che vanno in giro con l´ombelico scoperto e la gonna all´inguine.

Lo scempio che la nostra società ha fatto del crocifisso è veramente oltraggioso, ma nessuno se ne è mai scandalizzato più di tanto. Le nostre città fungheggiano di croci, e non solo sui campanili, e le accettiamo come parte del paesaggio urbano. Né credo che sia per questioni di laicità che sulle strade statali si stanno sostituendo i crocicchi, o incroci che siano, con i rondò.

Infine ricordo che, così come la mezzaluna (simbolo musulmano) appare nelle bandiere dell´Algeria, della Libia, delle Maldive, della Malaysia, della Mauritania, del Pakistan, di Singapore, della Turchia e della Tunisia (eppure si parla dell´entrata in Europa di una Turchia formalmente laica che porta un simbolo religioso sulla bandiera), croci e strutture cruciformi si trovano sulle bandiere di paesi laicissimi come la Svezia, la Norvegia, la Svizzera, la Nuova Zelanda, Malta, l´Islanda, la Grecia, la Norvegia, la Finlandia, la Danimarca, l´Australia, la Gran Bretagna e via dicendo.

Molte città italiane, magari con amministrazioni di sinistra, hanno una croce nel loro stemma, e nessuno ha mai protestato. Sarebbero tutte buone ragioni per rendere accettabile il crocifisso nelle scuole, ma come si vede non toccano affatto il sentimento religioso. Atroce dirlo per un credente, ma la croce è diventata un simbolo secolare e universale.

Naturalmente si potrebbe suggerire di mettere nelle scuole una croce nuda e cruda, come accade di trovare anche nello studio di un arcivescovo, per evitare il richiamo troppo evidente a una religione specifica, ma capisco che oggi come oggi la cosa sarebbe intesa come un cedimento.

Il problema sta altrove, e torno alla considerazione degli effetti passionali. Esistono a questo mondo degli usi e costumi, più radicati delle fedi o delle rivolte contro ogni fede, e gli usi e costumi vanno rispettati. Per questo ? anche se francamente non so se vi siano testi coranici che lo impongono ? se visito una moschea mi tolgo le scarpe, altrimenti non ci vado. Per questo una visitatrice atea è tenuta, se visita una chiesa cristiana, a non esibire abiti provocanti, altrimenti si limiti a visitare i musei.

Io sono l´essere meno superstizioso del mondo e adoro passare sotto le scale, ma conosco amici laicissimi e persino anticlericali che sono superstiziosi, e vanno in tilt se si rovescia il sale a tavola. È per me una faccenda che riguarda il loro psicologo (o il loro esorcista personale), ma se devo invitare gente a cena e mi accorgo che siamo in tredici, faccio in modo di portare il numero a quattordici o ne metto undici a tavola e due su un tavolinetto laterale.

La mia preoccupazione mi fa sorridere, ma rispetto la sensibilità, gli usi e costumi degli altri. Le reazioni addolorate e sdegnate che si sono ascoltate in questi giorni, anche da parte di persone agnostiche, ci dicono che la croce è un fatto di antropologia culturale, il suo profilo è radicato nella sensibilità comune. E di questo dovrebbe essersi accorto Adel Smith: se un musulmano vuole vivere in Italia, oltre ogni principio religioso, e purché la sua religiosità sia rispettata, deve accettare gli usi e costumi del paese ospite.

Non capisco perché nei paesi musulmani non si debba consumare alcool, ma se visito un paese musulmano bevo alcool solo nei luoghi deputati (come gli hotel per europei) e non vado a provocare i locali tracannando whisky da una fiaschetta davanti a una moschea. E se un monsignore viene invitato a tenere una conferenza in un ambiente musulmano, accetta di parlare in una sala decorata con versetti del Corano.

L´integrazione di un´Europa sempre più affollata di extracomunitari deve avvenire sulla base di una reciproca tolleranza. E colgo l´occasione per fare un´obiezione alla mia amica Elisabetta Rasy, che recentemente sul Sette del Corriere della Sera osservava che "tolleranza" le pare un´espressione razzista. Ricordo che Locke aveva scritto un´epistola sulla tolleranza e un trattatello sulla tolleranza aveva scritto Voltaire.

Può darsi che oggi "tollerare" sia usato anche in senso spregiativo (io ti tollero anche se ti ritengo inferiore a me, e proprio perché io sono superiore), ma il concetto di tolleranza ha una sua storia e dignità filosofica e rinvia alla mutua comprensione tra diversi.

L´educazione dei ragazzi nelle scuole del futuro non deve basarsi sull´occultamento delle diversità, ma su tecniche pedagogiche che inducano a capire e ad accettare le diversità. E da tempo si ripete che sarebbe bello che nelle scuole, accanto all´ora di religione (non in alternativa per coloro che cattolici non sono) fosse istituita almeno un´ora settimanale di storia delle religioni, così che anche un ragazzo cattolico possa capire che cosa dice il Corano o cosa pensano i buddisti o gli ebrei (e musulmani o buddisti, ma persino i cattolici, capiscano come nasce e cosa dice la Bibbia).

Invito a Adel Smith, dunque, e agli intolleranti fondamentalisti: capite e accettate usi e costumi del paese ospite. E invito agli ospitanti: fate sì che i vostri usi e costumi non diventino imposizione delle vostre fedi. Dopo di che si aprano tutti i dibattiti possibili sul chador e si ricordi ? e da tempo consento con chi si è recentemente espresso in questo senso ? che abbiamo il diritto e il dovere di fissare i limiti oltre i quali qualcosa diventa per noi intollerabile.

Per fare un esempio estremo (ed evidentemente incontrovertibile, ma è bene partire dal senso comune) possiamo capire e spiegare il cannibalismo rituale in società lontane, ma se un membro di quelle società viene da noi deve astenersi dal consumare carne umana, perché da noi non solo è reato ? che sarebbe ancora poco ? ma un´offesa agli usi e costumi, e quindi alla sorgente stessa dei nostri atteggiamenti passionali. Inutile fare esercizi di giurisprudenza o di diritto ecclesiastico su ciò che appartiene all´antropologia culturale.

Bisogna rispettare anche le zone d´ombra, per moltissimi confortanti e accoglienti, che sfuggono ai riflettori della ragione.

La Repubblica 29 ottobre 2003

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