notiziario 14 ottobre 2003

 
     

Il diritto internazionale è di nuovo in discussione
Ordine giuridico e pace positiva
Mireille Delmas-Marty*


Il 12 giugno 2003 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha deciso di prolungare per un anno l'improcedibilità di fronte alla Corte penale internazionale dei soldati Usa che partecipano a operazioni di mantenimento della pace. L'entrata in vigore di un ordine giuridico internazionale, in grado di proteggere i diritti della persona, è ancora una volta messo in discussione. Al contrario, i trattati economici e commerciali, sempre più numerosi, sono applicati con cura. Tale differenza di trattamento per valori mercantili e non mercantili non è peraltro inevitabile: la carta delle Nazioni unite e la dichiarazione universale dei diritti umani hanno in sé molti valori comuni (libertà, salute, ambiente, cultura...). Occorre rovesciare la gerarchia delle norme internazionali a favore dei principi non mercantili e dotare le Nazioni unite di un Consiglio di sicurezza economico e sociale. Per i paesi del Sud, un ordine giuridico mondiale così rinnovato, sarebbe un contrappeso importante alla dominazione degli stati più forti.

L'articolo 28 della dichiarazione universale dei diritti umani aveva tracciato la strada fin dal 1948: «È diritto di ogni persona che sul piano sociale come su quello internazionale regni un ordine tale da consentire il pieno effetto dei diritti e delle libertà enunciati nella presente Dichiarazione». Cinquant'anni dopo, la proliferazione normativa sembra condurre piuttosto verso un disordine mondiale generalizzato. Il mercato ha oramai pretese di universalismo. Certo, la globalizzazione economica, tesa alla diffusione spaziale dei prodotti e dei servizi assai più che alla condivisione di senso, cuore dell'universalismo, detta un modello d'organizzazione sociale concepito come un modello politico di ricambio: «Il mercato si sostituisce alla nazione, si impone allo Stato e diventa diritto: facendo del diritto una merce, la legge del mercato sfocia nel mercato della legge (1)». Nel momento in cui i valori mercantili acquistano uno status universale, si pone la questione dell'universalità dei valori non mercantili come contrappeso.

Ora, gli strumenti di protezione dei diritti della persona e le diverse forme giuridiche adottate dall'umanità - che subisce crimini denominati precisamente «crimini contro l'umanità», ma è anche titolare di un «patrimonio comune», o secondo un'espressione più recente, di «beni pubblici comuni» - sono divenuti concetti normativi di vocazione universale, ma in maniera solo frammentaria. Sorge allora la questione dell'ordine giuridico di riferimento. Inserito com'è in un ordine spontaneo basato sull'autoregolamentazione, il concetto di mercato deve forse sottrarsi a ogni integrazione in un ordine organizzato, nell'ambito di uno Stato o di una comunità di Stati, a livello regionale o mondiale?

Una varietà di ordini in ordine sparso è qualcosa di assai vicino al disordine, e il rischio di una determinazione normativa carente incombe su tutti i frammenti nati dalla globalizzazione. Per ricomporre questi spezzoni incastonandoli gli uni negli altri è necessario costruire una comunità dei valori. Di fatto però, le diverse sfere del diritto funzionano come compartimenti stagni, ciascuno dei quali tende a preservare la propria coerenza senza una vera comunicazione con gli altri. L'allarme viene anche da esponenti del mondo economico: «La globalizzazione oggi non funziona». Dopo essersi dimesso dalle sue funzioni di vicepresidente della Banca mondiale, Joseph Stiglitz ha lanciato una vera e propria requisitoria: «Non funziona per i poveri del mondo, non funziona per l'ambiente, non funziona per la stabilità dell'economia mondiale (2)».

Due diritti per due Corti Già il premio Nobel per l'economia Amartya Sen aveva posto in rilievo la libertà come principale mezzo per lo sviluppo, sostenendo la necessità di promuovere le capacità di ciascuno per rendere possibile «il coinvolgimento dei cittadini nella definizione e nella scelta dei valori che permetteranno di stabilire l'ordine delle priorità (3)». A suo parere, l'emergere e il consolidarsi della democrazia e dei diritti politici e civili sono elementi costitutivi del processo di sviluppo. La questione è come far sì che l'imperativo di una partecipazione di tutti non sia «una parola d'ordine vuota, ma un'esigenza concreta», dalla quale «l'idea di sviluppo è indissociabile». Questo tipo di analisi sottolinea la necessità di recepire i valori in maniera contestuale: in altri termini, non la separazione dei diritti della persona dal mercato, ma al contrario la loro integrazione nell'analisi economica.

Nel campo giuridico, si rendono così immediatamente visibili i conflitti di valori tendenzialmente occultati da un sistema normativo a compartimenti stagni. Anche su scala europea, ci sono voluti anni per scoprire, nell'evoluzione della giurisprudenza delle due Corti - quella di Strasburgo (Convenzione europea dei diritti umani adottata dal Consiglio d'Europa (4)) e quella di Lussemburgo (Corte di giustizia della Comunità europea) - che a seconda dell'angolazione dalla quale erano trattate le diverse questioni - da un lato quella dei diritti umani, dall'altro la libera circolazione (delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali in uno spazio senza confini interni) (5) - l'equilibrio dei valori non era lo stesso. Nel dibattito sul futuro ordine mondiale appare così in piena luce l'importanza del conflitto tra le concezioni del diritto che privilegiano i valori mercantili (i concetti legati al mercato) o non mercantili (i diritti della persona e dell'umanità).

Da una parte, tutto ciò che è oggetto del commercio internazionale si va costantemente estendendo molto al di là della ristretta definizione giuridica interna dello scambio commerciale, fino a includere l'informazione, le opere d'arte, i beni culturali, i beni comuni come lo spazio o vari attributi della personalità quali il diritto all'immagine, il diritto al nome, i diritti morali degli autori e persino taluni elementi del corpo umano. D'alta parte, i dispositivi di inquadramento giuridico appaiono inadatti ai valori non mercantili. Certo, questi ultimi non sono totalmente esclusi dalla competenza delle organizzazioni regionali come l'Unione europea, o di quelle mondiali come l'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), che possono persino legittimare misure restrittive. Le quali però, precisamente perché ancora considerate come restrizioni, sono soggette a essere interpretate in senso stretto, e occupano nella gerarchia delle norme una posizione secondaria.

In sintesi, solo i concetti relativi al mercato sarebbero fin d'ora universalmente applicati. D'altro canto, i dispositivi legati alle persone (diritti della persona e diritti dell'umanità nelle diverse forme) benché si proclamino universali, resterebbero in pratica dipendenti dall'ordine giuridico nazionale, e quindi sospettati di secondi fini protezionistici, e in quanto tali dichiarati incompatibili. Nello spazio regionale - quanto meno in quello europeo - il conflitto si presenta però in maniera diversa rispetto allo spazio mondiale. Se da un lato la Corte di giustizia delle comunità europee controlla la compatibilità delle misure nazionali con il principio della libera circolazione (delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali) dall'altro essa si preoccupa anche di rispettare i diritti consacrati dalla Convenzione europea dei diritti umani, fonte di ispirazione del diritto comunitario; e dovrà attenersi alla Carta europea dei diritti fondamentali dell'Unione europea a partire dal momento in cui quest'ultima avrà carattere obbligatorio.

A ciò si aggiungono i passi avanti del diritto europeo nel campo dei diritti umani. Infatti, nonostante la sua prudenza, la Corte europea dei diritti dell'uomo sta incominciando a verificare la compatibilità tra il diritto comunitario e la Convenzione europea dei diritti umani, passando per l'integrazione del diritto comunitario in quello delle singole nazioni. Per converso, nello spazio mondiale la forte asimmetria dei processi di internazionalizzazione sembra favorire sistematicamente i valori mercantili. Da un lato, il principio della libera circolazione, imposto dall'Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (Gatt) e l'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), sotto il controllo pressoché giurisdizionale dell'organo di regolamentazione delle controversie (Orc) ne facilita la diffusione spaziale (e l'estensione della loro definizione) imponendo agli Stati di sopprimere ogni barriera agli scambi (internazionalizzazione del commercio), mentre l'emergere della lex mercatoria permette di selezionare le norme giuridiche più favorevoli al commercio mondiale. D'altro lato, la resistenza dei valori non mercantili è indebolita dalla complessità delle interazioni, in uno spazio normativo molto più frammentato, così come dall'assenza di una Corte mondiale dei diritti umani.

Per giungere alla costruzione progressiva di un vero ordine pubblico mondiale occorrerebbe rafforzare le possibilità di contestare, in materia di diritti umani, non solo i comportamenti degli stati (attraverso la necessaria creazione di una Corte mondiale, ricalcata sul modello regionale) ma anche quelli delle imprese, sia a partire dal mercato che a partire dai diritti umani. Sul versante del mercato - Wto e Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (Ompi) - la difficoltà è efficacemente illustrata dal diritto in materia di brevetti, segnatamente in campi quali le biotecnologie, ove palesemente non sono in discussione soltanto i valori mercantili ma anche quelli non mercantili.

La sua apparente neutralità - dato che il brevetto non conferisce un'autorizzazione, ma soltanto il monopolio dello sfruttamento - ha favorito l'estendersi dei brevetti dalle invenzioni puramente tecniche al campo delle biotecnologie. Questa estensione, ammessa a livello nazionale (Stati uniti, Cina) e regionale (direttiva dell'Unione europea del 1998) ha avuto la sua consacrazione mondiale con la firma, nel 1994, dell'Accordo sui diritti della proprietà intellettuale relativi al commercio internazionale (Adpic) che obbliga gli Stati a dotarsi di una normativa per proteggere le invenzioni «in tutti i campi», senza discriminazioni a seconda delle tecnologie utilizzate. Certo, l'Accordo prevede di escludere le invenzioni contrarie all'ordine pubblico e al buon costume; ma la loro definizione è lasciata alla competenza degli Stati, i quali la utilizzano piuttosto come una clausola di stile: un argine che rimane molto imperfetto. A meno che non si preveda, per il titolare del brevetto, l'obbligo di una licenza di sfruttamento quando sono in gioco determinati interessi pubblici, ad esempio nel campo della salute; o l'imposizione - come peraltro ha raccomandato il Gruppo europeo di etica delle scienze e delle nuove tecnologie (l'organo consultivo creato dalla Commissione europea nel 1997) per la cosiddetta clonazione terapeutica (nel caso di un suo sviluppo) di un esame etico specifico in ordine alla questione dell'accesso alle giuste cure.

Ma la presa in considerazione degli aspetti etici richiederebbe un controllo in termini di diritti della persona. La dignità non ha prezzo Sul versante dei diritti della persona, i controlli, ridotti a semplici rapporti, riguardano soltanto gli Stati. Perciò a Davos, nel gennaio scorso, il Segretario generale della Nazioni unite Kofi Annan aveva lanciato l'idea di un patto mondiale con le multinazionali (Global Compact) i cui nove principi, articolati in tre capitali (diritti della persona, diritto del lavoro e ambiente) sono stati proposti in occasione del Forum del millennio. Un gruppo di lavoro sulle Società multinazionali, creato in seno alla sottocommissione dei diritti umani, ha adottato un «progetto di norme sulla responsabilità delle società multinazionali e altre imprese in materia di diritti umani»: progetto che al di là di un riferimento generale ai diritti della persona, contempla il diritto alle pari opportunità e a un trattamento non discriminatorio, il diritto alla sicurezza della persona, i diritti dei lavoratori, dei consumatori e dell'ambiente.

Il punto più difficile è assicurare un controllo trasparente e indipendente, e garantire, in base a un sistema che preveda la possibilità di denunce, riparazioni «rapide, efficaci e adeguate» alle vittime. Perché queste norme sulle responsabilità trovino applicazione occorrerebbe un principio di competenza universale, per andare progressivamente - come nel caso dei crimini contro l'umanità - verso una globalizzazione dei giudici nazionali. Possiamo trovare un filo conduttore nella celebre distinzione proposta dal filosofo tedesco Immanuel Kant: «Nel regno dei fini, ogni cosa ha un suo prezzo o una sua dignità. Le cose che hanno un prezzo possono essere sostituite da altre cose equivalenti, mentre al contrario, le cose superiori a ogni prezzo, per le quali non si possono ammettere equivalenti, sono quelle che hanno una dignità (6)». La gerarchia appare chiara: in caso di conflitto, dovrebbero prevalere i valori non mercantili, privi di un equivalente e non sostituibili.

Ma questo filo conduttore, Kant l'aveva proposto nel 1785, e sembra venir meno man mano che il filosofo, attento alla rivoluzione francese, mostra una crescente preoccupazione per la pace. La visione della pace perpetua di Kant (7) evoca piuttosto l'idea di pace negativa (nel senso di sicurezza collettiva) che la costruzione d'una pace positiva (nel senso di giustizia sociale). Nel contesto di un'interdipendenza sempre più stretta tra gli Stati e tra le società, la costruzione della pace positiva è ormai senza alcun dubbio la sfida maggiore, come testimoniano i dibattiti che hanno avuto luogo durante il G8 a Evian. Delle due l'una: o accontentarsi di concepire l'ordine pubblico mondiale come un «ordine pubblico di polizia», basato su un sistema di sicurezza collettiva (multilaterale se l'Onu otterrà i mezzi necessari, o unilaterale se prevarrà l'attuale visione americana), in cui la globalizzazione continui a privilegiare i valori mercantili a discapito di ogni forma di riequilibrio; oppure impegnarsi - al di là delle riforme proprie a ciascuna istituzione - sulla via di un coordinamento dei diversi ambiti normativi (diritti umani, diritti dell'umanità, diritti del mercato). Quest'ultima via, certo la più difficile, è la condizione di un vero ordine mondiale pluralista, garante della pace positiva - la sola che possa essere duratura.

* Docente al Collège de France, e' stata membro del collegio di vigilanza dell'OLAF, organismo antifrodi dell'UE.

(1) Jean-Arnaud Mazères, «L'un et le multiple dans la dialectique marché, nation», in Marché et nation, regards croisés, Montchrestien, 1995. (2) Joseph Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi tascabili, 2003. (3) Amartya Sen, Globalizzazione e libertà, Mondadori, 2002. (4) La Corte europea dei diritti umani assicura il rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali adottate dal Consiglio d'Europa (44 stati membri) nel 1951. (5) Leggere Anne-Cécile Robert, «Ce juge méconnu de Luxembourg, Manière de voir n° 61, e «L'Euro sans l'Europe», gennaio- febbraio 2002. (6) Immanuel Kant, Fondamenti della metafisica dei costumi, Laterza, 1986. (7) Immanuel Kant, Per la pace perpetua, Feltrinelli, 1999. (Traduzione di E. H.) .

da Le Monde Diplomatique luglio 2003

_____________

I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE COPIATI CITANDO E LINKANDO LA FONTE

 

 

torna a indice speciale pace e diritti globali