17 settembre 2003

 
     

PER NON DIMENTICARE LE VITTIME DELLE MINE, FLAGELLO DELLE POPOLAZIONI CIVILI

Sono le armi più subdole che la mente umana possa aver mai concepito. Nascoste nel terreno, attendono che il passo di un innocente ne inneschi la micidiale spoletta. La loro presenza, in tante periferie del mondo, rende impossibile l'accesso a vaste zone coltivabili, ostacola il rimpatrio dei profughi, rallenta o impedisce la campagna di vaccinazione e la distribuzione degli aiuti umanitari. Qualora esercito e ribelli decidessero di fare pace, ignorano cinicamente tregue o trattati.

A quasi cinque anni dall'entrata in vigore del ‘Trattato di Ottawa’ per la messa al bando delle mine terrestri – perché è di queste che stiamo parlando - sono ancora 82 i Paesi al mondo che rimangono contaminati, 45 dei quali sono Stati parte dello stesso Trattato. In 16 di questi Paesi non sono attivi programmi di bonifica e in 25 mancano programmi di sensibilizzazione per la popolazione. In 65 Paesi sono stati registrati nuovi casi di vittime delle mine. Solo 24 di questi erano in guerra. Inoltre, soltanto il 15 per cento delle vittime registrate nel 2002 è stato identificato come personale militare: per il restante 85 per cento si è trattato di civili.

È quanto emerge dalla quinta edizione del ‘Landmine Monitor Reporter’, rapporto annuale curato dalla campagna per la messa al bando delle mine (Premio Nobel per la pace 1997), presentato martedì scorso a Roma nella sala delle bandiere della rappresentanza del Parlamento Europeo. Purtroppo è ancora lunga la lista di Paesi in cui si consuma quotidianamente una vera e propria tragedia umanitaria lontano dai riflettori dell'opinione pubblica e non certo inferiore, stando ai numeri, al disastro dell’11 settembre di cui oggi ricorre il tragico anniversario: Cambogia (834), Colombia (530), India (523), Angola (287), Ciad (200), Nepal (177), Viêt Nam (166), Sri Lanka (142), Burundi (114) e Pakistan (111).

In Bosnia ed Erzegovina, Repubblica democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Georgia, Laos, nei Territori autonomi palestinesi, Senegal, Somalia e Sudan sono stati registrati un numero di casi superiore a 50. Va però ricordato che in alcuni Paesi mancano sistemi affidabili di registrazione delle vittime e che non tutti gli episodi vengono denunciati. Con il ‘Trattato di Ottawa’ (oggi sono 136 i Paesi che hanno aderito alla Convenzione, ultima in ordine di tempo, la scorsa settimana, la Bielorussia) gli Stati firmatari si impegnano a impedire ogni produzione, uso ed esportazione delle mine antipersona; a distruggere tutte le mine antipersona negli arsenali entro 4 anni; a bonificare le aree minate nel proprio territorio entro 10 anni e a fornire assistenza tecnica e finanziaria per le operazioni di sminamento e l'assistenza alle vittime di questi ordigni.

I dati forniti dal ‘Landmine Monitor Reporter’ disegnano, accanto a situazioni più conosciute come l'Afghanistan (1.286 vittime registrate) e l'Iraq (457), una mappa di conflitti dimenticati dai mass media. Il Paese che in assoluto registra il maggior numero di vittime è la Russia, dove in Cecenia (è in corso un sanguinoso conflitto da anni) si contano nel solo 2002 ben 5.695 morti. Ma gli arsenali nel mondo sono ancora enormi, concentrati principalmente in Cina (110 milioni di unità), Russia (circa 50 milioni), Stati Uniti (10,4 milioni), Pakistan (circa 6 milioni), India (4,5 milioni), Bielorussia (4,5 milioni) e Corea del Sud (due milioni). Mancano all'appello 46 Stati, tra i quali tre dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu (Cina, Russia e Usa), la maggior parte dei Paesi del Medio Oriente, la quasi totalità delle Repubbliche ex sovietiche e ben 18 Paesi dell'Asia.

Il cammino verso la pace, quella vera, è ancora lungo, anche se è bene non demordere quando è in gioco il destino degli innocenti.

da MISNA 11 settembre 2003

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