21 gennaio 2001

 
     

Fare male del bene
di Rodolfo Roselli

Quante volte siamo stati sollecitati a fare versamenti per i popoli del terzo mondo bisognosi di medicine, e informati che tonnellate di farmaci erano stati inviati e acquistati con questi soldi. Bene, sentiamo il parere di chi ha ricevuto questi aiuti, che i mezzi di comunicazione hanno sempre positivamente documentato ,come un successo, con foto, video, servizi etc. Occorre sapere che le medicine raccolte da gruppi missionari e associazioni di volontariato, non solo vengono acquistati con le somme donate, ma ottenute facendo incetta dei campioni gratuiti degli studi medici, svuotando i surplus dei magazzini delle case farmaceutiche, delle rimanenze di farmacie e di ospedali.

Ma oltre ad eliminare le scorte giacenti, con sollievo economico di chi le ha, questi farmaci sono utili ? Mauro Papotti, medico volontario del CCM (Comitato Collaborazione Medica) di Torino, che ha operato quattro anni in Kenia ed Etiopia, ha affermato che il 60% dei medicinali che riceveva, non serviva a nulla. Si trattava di farmaci per curare patologie europee che in Africa non esistono, come malattie circolatorie e diabete.

Il 20% dei medicinali utilizzabili dovevano essere usati subito, perché con date di scadenza vicinissime. Questi farmaci venivano scaricati all'ultimo momento dalle case farmaceutiche, approfittando del fatto che, nei paesi terzi, i controlli sono meno severi. Il 10% erano difficilmente proponibili, perché le dosi richieste per la cura erano sproporzionate alle esigue quantità disponibili . Solo il 10% era utile e si trattava ,quasi esclusivamente di farmaci salvavita, non esistenti in loco o troppo costosi.

Ma i farmaci veramente utili e necessari in quelle nazioni erano noti agli addetti ai lavori degli uffici istituzionali della sanità, fin dal 1978. Infatti in quell'anno l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) raccomandava ,con una sua specifica direttiva, la necessità di regolamentare l'uso di questi farmaci verso i popoli del terzo mondo, e raccomandava 120 farmaci in grado di curare il 95% delle malattie e altri 1200 principi attivi ad uso degli ospedali specializzati, per la cura del restante 5%.

Erano stati fissati ,sempre dall'OMS, quattro principi ,e le conseguenti 12 linee guida, per migliorare la qualità delle donazioni. Essi sono : 1- il farmaco donato deve portare al ricevente il massimo beneficio. 2- la donazione deve essere conforme alle esigenze e ai voleri del Paese ricevente. 3- se il farmaco è inaccettabile per il paese donatore, è inaccettabile per il paese che lo riceve. 4- deve essere assicurata una comunicazione tra paese che dona e paese che lo riceve, per evitare donazioni non richieste e inaspettate.

Che cosa hanno fatto di conseguenza tutti i governanti, compresi quelli del nostro paese ? Ebbene nonostante questo, fino ad oggi, sono stati spediti scatoloni di pillole dimagranti in Africa e lassativi nei campi profughi, ove la diarrea è la prima causa di mortalità. Ma il paradosso ,degli aiuti che non aiutano, è ricco di episodi a dir poco sconvolgenti. Nel 1989 in Eritrea sono giunti sette camion di aspirine scadute e sono occorsi 6 mesi per eliminarle. Nel 1990, nel Sudan, arrivarono 50 contenitori di farmaci francesi come, soluzioni per lenti a contatto, farmaci per iper colesterolemia , antibiotici scaduti e medicine stimolanti per l'appetito. Dei 50 contenitori ne furono utilizzati 12.

Nel 1993 in Lituania 11 donne hanno perso la vista dopo aver usato un farmaco donato, che era invece per uso veterinario (Closantel), arrivato senza foglietto illustrativo. Nel 1995, 340 tonnellate di medicine scadute giacevano nei depositi in Bosnia, mentre a Mostar, veniva avviata dai Pharmaciens sans frontieres, e finanziata dall'Unione Europea, una operazione per distruggere 200 tonnellate di farmaci scaduti. Ma non basta, secondo l'OMS, esiste un commercio di falsi farmaci, pari circa al 7% di tutta la produzione mondiale di medicinali, fatti apposta per sfruttare gli aiuti economici ,per i farmaci da destinare al terzo mondo.

Da uno studio condotto dall'Università di Aberdeen in Scozia, nelle due maggiori farmacie delle città nigeriane di Lagos e Abuja, il 48% degli antibiotici, antimalarici e antitubercolotici conteneva i principi attivi al di sotto del livello raccomandato dall'OMS. In Birmania e in Vietnam il 31% dei farmaci importati e il 46% di quelli locali contengono dosi insufficienti di principio attivo, la maggior parte di questi farmaci conteneva solo il 63% del principio attivo necessario per essere medicamenti utili.

Nel 1990 in Nigeria, veniva dato ai bambini uno sciroppo per la tosse che, invece, era un antigelo per auto.Nel 1995 sempre in Nigeria,si è combattuta una epidemia di meningite con vaccini donati, che contenevano acqua. Risultato 109 piccoli deceduti e, lo stesso sciroppo, ha ucciso 250 bambini in Bangladesh. Non parlando delle motivazioni derivanti dalla mala fede, spesso l'errore che si commette è pensare "nei paesi poveri qualunque tipo di farmaco è meglio di niente " .

Ma una donazione sbagliata, non solo può provocare del male, ma richiede, per prevenire i problemi, delle spese aggiuntive di trasporto , di conservazione, di distribuzione, di esperienza medica che consumano risorse, che invece potrebbero andare a beneficio di chi soffre. Tutte queste spese aggiuntive possono, in certi casi ,superare il valore del farmaco e quindi annullare il vantaggio della donazione. In Jugoslavia i farmaci tossici scaduti devono essere sotterrati in colate di cemento, perché incenerirli costerebbe troppo.

Le case farmaceutiche, a volte, donando anche gratuitamente i farmaci, riescono a smaltire le rimanenze, con evidenti vantaggi e detrazioni fiscali, riduzione delle spese per distruggere il surplus o per liberarsi dei farmaci vicini alla scadenza. Teniamo conto che nel costo commerciale di un farmaco che paghiamo, viene anche conteggiata una parte destinata ai normali costi di distruzione di questi surplus. Ma allora che fare ? Non donare più farmaci al terzo mondo ?

E' necessario, secondo le direttive OMS, fare un accurato lavoro di selezione preventiva dei farmaci, una suddivisione per grandi tipologie di principi attivi e spedire solo quelli corrispondenti alle reali necessità di cura. I missionari della Consolata, una volta al mese spediscono in questo modo i prodotti farmaceutici per l'Africa.Grazie all'aiuto di un pensionato, che ha lavorato come magazziniere di prodotti farmaceutici, ha detto padre Zabotti responsabile della raccolta, si suddividono le confezioni per categorie, si riducono gli imballaggi allo stretto necessario.

Analoga attività viene svolta dai padri Camilliani ,che fanno una cernita dei farmaci che possono essere utili in Africa, da quelli inutili e invece proponibili a Torino. Questi ultimi vengono utilizzati per curare gli immigrati che non possono acquistarli. Per quelli da inviare in Africa, grazie al lavoro di smistamento di un ex-farmacista in pensione e agli elenchi inviati dai missionari locali, vengono spediti solo quei medicinali veramente ritenuti utili, facendo bene attenzione alle scadenze, in funzione dei tempi necessari al trasporto alla destinazione finale.

Questo lavoro artigianale e sporadico così lodevole, dovrebbe essere assunto dagli organi dello stato come il Ministero della Sanità o la Croce Rossa Italiana, per fornire un immagine di serietà ed affidabilità della nostra nazione, nella quale la generosità dei cittadini è tanto grande, quanto piccola è l'intelligenza e senso di responsabilità dei responsabili istituzionali preposti agli aiuti all'estero.

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