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La sentenza della Corte di Cassazione
a discolpa di Craxi

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE VI PENALE - Sentenza 7240 del 16 aprile 1998

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezione VI Penale, ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto da (…); Craxi Benedetto, nato a Milano il 24/2/1934; avverso la sentenza 5/6/1997 della Corte d’Appello di Milano, che confermava quella in data 16/4/1996 del Tribunale di Milano.

FATTO

Premessa. La presente vicenda processuale, per come ricostruita dai giudici di merito, riguarda episodi di corruzione [1] (con connessi reati di illecito finanziamento ai partiti politici [2] e di turbata libertà degli incanti [3] ) legati all’aggiudicazione degli appalti della "Metropolitana Milanese s.p.a." e indicativi dei rapporti instauratisi, nell’area milanese, tra le imprese interessate agli appalti medesimi e i partiti politici. Trattasi di episodi illeciti non isolati, ma frutto di una prassi di corruttela diffusa e consolidata, tanto da assurgere a vero e proprio "sistema", disciplinato da ben precise regole, con suddivisione di compiti e di ruoli tra politici, pubblici amministratori e imprenditori. Alla base di tale fenomeno è stata individuata la convergenza di interessi riferibili sia ai partiti politici che alle imprese. I primi avevano il bisogno di reperire ingenti somme di denaro per fronteggiare i "costi della politica", non copribili con le entrate ufficiali, provenienti dal finanziamento pubblico ai partiti o dal tesseramento degli iscritti; di qui la necessità di ricercare fonti di finanziamento "parallelo", provenienti dal mondo imprenditoriale. Le seconde erano spinte dalla necessità di ritagliarsi quote protette di mercato, per garantirsi una continuità di lavoro; tale esigenza veniva soddisfatta con la disponibilità delle imprese a "foraggiare" i partiti, tramite i loro referenti in seno al Consiglio di amministrazione della MM, in cambio del controllo degli appalti, che comportava la violazione di qualunque regola di concorrenza, nel senso che le imprese si accordavano preventivamente sulla quota dei lavori da eseguire e sui prezzi da praticare, finendo così col predeterminare l’esito delle aggiudicazioni, il tutto col tacito assenso dei vertici della MM.

(…) "Iter" processuale Nell’ambito di tale vicenda, venivano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Milano, tra l’altro, Luigi Civardi e Benedetto Craxi.(…) Il Tribunale, con sentenza 16/4/1996, così decideva: dichiarava i predetti colpevoli dei reati come loro rispettivamente ascritti, unificati dal vincolo della continuazione [4] e (…) condannava il Craxi alla pena di anni otto, mesi tre di reclusione e lire 150 milioni di multa, nonché all’ interdizione perpetua dai pubblici uffici e all’interdizione legale [5] (…) Tale decisione, a seguito di gravame degli imputati, veniva confermata dalla Corte d’Appello di Milano, con sentenza 5/6/1997. Motivi di ricorso Avverso quest’ultima pronuncia, hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori, i prevenuti.(…) Il Craxi, con il ricorso a firma dell’avv. Lo Giudice, ha lamentato(…) eccezione di incostituzionalità della norma transitoria dell’art.6 della legge n.267/97, in relazione agli art.3 e 24 Cost., nella parte in cui non estende la disciplina transitoria, a seguito della modifica dell’art.513 c.p.p., anche al giudizio di legittimità [6] ; la questione assume rilevanza, essendosi utilizzate, a fini probatori, dichiarazioni di coimputati o imputati di reati connessi rese in sede di indagini preliminari e non confermate a dibattimento; violazione della legge processuale e difetto di motivazione ( art.606, 1 c.lett. c ed e c.p.p. [7] ) circa i criteri di valutazione della prova ex artt.187 e 192 c.p.p. [8] , tenuto conto anche della nuova formulazione dell’art.513 c.p.p.;(…)

DIRITTO

I ricorsi sono fondati e vanno accolti.(…) Posizione specifica del ricorrente secondo la sentenza impugnata La pronuncia di colpevolezza di Benedetto Craxi riposa sostanzialmente sul seguente teorema: 1) Craxi aveva ricoperto, tra il 1976 e il 1992, la carica di segretario politico nazionale del PSI e aveva gestito il partito con metodi di forte accentramento e personalizzazione, tanto da avere eliminato, di fatto, la concreta operatività delle correnti interne e da avere fatto pesare, in modo determinante, il suo punto di vista personale su qualsiasi scelta concernente la vita del partito, che aveva finito per gravitare, nel periodo precisato, intorno al suo leader e aveva acquisito, soprattutto nell’area milanese, un rilevante peso politico (…) la posizione verticistica del Craxi e l’impostazione gestionale del partito da parte del medesimo conclamavano il suo concorso nei reati ascrittigli, sia sotto il profilo morale (…) sia sotto quello materiale (…). La dimostrazione di tale teorema è affidata, nella sentenza impugnata, oltre che alle parziali ammissioni del prevenuto, essenzialmente alle dichiarazioni accusatorie di Silvano Larini, coimputato, le quali sarebbero intrinsecamente attendibili (…) Sindacato di legittimità sulla sentenza impugnata [9]

L’iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale non può essere condiviso (…) Tale metodologia motivazionale non è corretta, perché non fa buon governo dei principi generali in tema di prova e di sua valutazione, nonché delle norme relative al concorso di persone nel reato. Valutazione della prova (…) Va subito rilevato che, come meglio si dirà in seguito, i Giudici di merito hanno dato impropriamente valenza a dichiarazioni estranee, per contenuto, ai fatti oggetto di imputazione, ritenendo di ravvisare in esse un riscontro esterno alle dichiarazioni di Silvano Larini, unica vera fonte di prova a carico dell’imputato (…)In primo luogo, va affrontato e risolto il problema della credibilità del dichiarante in relazione alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai suoi rapporti col chiamato in correità e alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione e all’accusa nei confronti dei coautori e complici. In secondo luogo, va affrontato il problema della verifica dell’intrinseca consistenza e delle caratteristiche delle sue dichiarazioni, alla luce dei criteri che l’esperienza giurisprudenziale ha individuato, come la precisione, la coerenza, la costanza, la spontaneità e così via. (…)

La credibilità del Larini, invero, è stata risolta dai Giudici di merito esclusivamente in base alle circostanze che il medesimo era vincolato da un "forte legame di amicizia con l’imputato" e che era stato direttamente coinvolto dal 1987, quale collettore per conto del PSI, nel sistema degli appalti della MM. Nessun accenno si è doverosamente fatto alla precisione e alla coerenza delle sue dichiarazioni in rapporto a quella che è la postulazione accusatoria, recepita integralmente nel giudizio di condanna: contraddittoriamente, infatti, la Corte territoriale, per un verso, ha ritenuto intrinsecamente attendibile il Larini, che- secondo le dichiarazioni rese- avrebbe ricevuto dagli appalti della MM e consegnato al Craxi la somma di lire 7-8 miliardi e, per altro verso, ha recepito integralmente, ritenendola fondata, la diversa impostazione accusatoria, secondo la quale il predetto avrebbe ricevuto e consegnato al Craxi la somma complessiva di circa lire 18 miliardi (non 23, come detto in ricorso). Tale palese contraddizione non è di poco momento, perché lascia insoluta l’ambiguità indicativa che la caratterizza, la quale finisce inevitabilmente col riverberarsi, in senso negativo, sulla credibilità del chiamante, che potrebbe essere stato indotto a rendere le dichiarazioni che ha reso dall’interesse personale di minimizzare il suo ruolo e, quindi, la sua posizione processuale.(…)

Si è attribuito giustamente rilievo preminente e decisivo alla circostanza, sempre riferita dal Larini, relativa al recapito delle buste contenenti il denaro contante presso l’ufficio del Craxi, in Piazza Duomo a Milano, e si è individuato il riscontro esterno a tale circostanza nelle dichiarazioni di Enza Tommaselli, segretaria del Craxi, la quale aveva ammesso la consegna, a sue mani, del denaro; l’argomento, però, attraverso il quale si è voluto accreditare, con non poca forzatura, la tesi della destinazione finale del denaro alla persona dell’imputato, non convince per la disinvoltura che lo caratterizza, in quanto non considera (e non spiega il perché) la precisazione perentoria della Tommaselli, secondo la quale il Craxi era rimasto sempre estraneo ai meccanismi di raccolta e gestione del denaro, destinato, invece, a chi si occupava delle esigenze finanziarie del partito a livello locale o nazionale (…)

La tesi seguita dai Giudici di merito è viziata da un evidente errore di diritto, che inquina il decisivo passaggio logico del ragionamento di fondo, posto a base della pronuncia di condanna: dalla riferibilità degli episodi di illecito finanziamento, di corruzione e di controllo degli appalti pubblici al "sistema" innanzi illustrato, voluto – per convergenti interessi – dai partiti politici e dal mondo imprenditoriale, si passa alla riferibilità di tali illeciti al chiamato in correità, che era al vertice del suo partito e lo gestiva da accentratore. Una siffatta proposizione si pone in deciso contrasto con il principio costituzionale di non colpevolezza (art.27 Cost.) e con la regola che disciplina l’onere della prova nel giudizio penale (sicché in definitiva ne viene inciso anche lo stesso principio di inviolabilità della difesa ex art.24 Cost.), perché essa àncora la prova della responsabilità del Craxi al suo "status" di segretario politico del partito, muovendo non da una consolidata regola di esperienza ma da un parametro di tipo congetturale, per il quale il segretario politico di un partito, gestito con metodi di forte accentramento, non può non essere consapevole e partecipe, quanto meno moralmente, dei reati commessi dai referenti del partito, che strumentalizzano le funzioni esercitate all’interno di una P.A., per soddisfare esigenze finanziarie del partito medesimo. Così ragionando, si ledono i principi che regolano il concorso ex art.110 c.p. [10] , restando indimostrati il collegamento causale della condotta del prevenuto con i fatti e il suo contributo, sia pure solamente morale, ai reati specifici (aspetto oggettivo del concorso); e il consapevole legame di un apporto finalistico alla realizzazione di essi, che da tutti i concorrenti deve essere oggetto di rappresentazione e volizione (aspetto psicologico).

Certo, il ruolo verticistico e preminente ricoperto dal Craxi in seno al suo partito ha una sua valenza, ma, da solo, non è risolutivo ai fini della dimostrazione del concorso nel reato; per soddisfare tale prospettiva, il detto "status" deve integrarsi con un complesso di altri elementi specifici e concreti, nel quale – per la rilevanza dell’insieme – la soglia della sua singola rilevanza generica deve essere superata. La sentenza impugnata ha supportato, sul piano motivazionale, il cennato principio di fondo cui si è ispirata e quindi la sussistenza del concorso del Craxi con una serie di considerazioni generiche e, per lo più, assertive, le quali non offrono la certezza della colpevolezza dell’imputato. (...) L’avere il Craxi, "con l’autorità che gli derivava dalla massima carica interna, avallato le iniziative di Balzamo, comprese quelle che avrebbero potuto avere ripercussioni pregiudizievoli sulla immagine del partito", non significa, di per sé, avere concorso nel reato. Il riferimento alle "condotte variamente istigative, omissive e concertative" nella consumazione delle ipotesi criminose è generico, perché non esplicita gli elementi fattuali di tali condotte [11] (…)

L’apparato argomentativo della Corte territoriale, per come strutturato, offre una sola certezza: Benedetto Craxi conosceva molto bene il sistema di illecito finanziamento del suo partito e i meccanismi perversi che alimentavano tale sistema, entrato paradossalmente a fare parte, per prassi consolidatasi negli anni, della fisiologia organizzativa del partito, e nulla fece per porre fine ad esso, al quale, anzi, aderì. Questa inerzia di fronte alla chiara commissione di illeciti di rilevanza penale da parte di soggetti che, a vario titolo, gravitavano nell’area del partito ed operavano per esso può integrare gli estremi del concorso omissivo? La risposta non può che essere negativa, considerato che in capo al prevenuto non esisteva una "posizione di garanzia", avente come specifico contenuto l’impedimento di reati del tipo di quelli di cui si discute: la posizione di garanzia implica la titolarità (da parte del garante) di un potere giuridico idoneo a impedire il compimento di taluni reati (si pensi, esemplificativamente, alla posizione di garanzia degli amministratori delle società di capitali, ex art.2392 c.c., con riguardo all’impedimento di reati collegati alla gestione della società), potere che esula dalle funzioni esercitate dal segretario politico di un partito. (…)

Considerata, inoltre, la ragione assorbente per la quale viene disposto l’annullamento della pronuncia di merito, diventa irrilevante, almeno in questa sede, la questione di costituzionalità, sollevata dal Procuratore Generale d’udienza, dell’interpretazione che le Sezioni Unite di questa Corte hanno dato degli art.513 c.p.p. e 6 della legge n.267/97, in relazione agli art.101 e 112 Cost. [12] Tutte le altre questioni sollevate con il ricorso rimangono, allo stato, superate da quanto si è venuto, sin qui, argomentando.

Conclusioni

Il Giudice di rinvio, che va indicato in altra Sezione della Corte d’Appello di Milano, nella pienezza dei suoi poteri discrezionali, dovrà ovviamente rivalutare compiutamente l’articolato complesso delle risultanze processuali, alla stregua di corretti principi giuridici e metodologici e con motivazione congrua e logica, tenendo conto logicamente di tutti i rilievi di cui sopra, nonché rimeditare sull’eventuale rilevanza delle richieste di integrazione istruttoria avanzate dalla difesa degli imputati con i motivi di appello, rimanendo libero di pervenire alle stesse conclusioni cui è pervenuta la sentenza che si annulla, ma seguendo un adeguato percorso logico – giuridico.(…)

P.Q.M.

Dichiara irrilevante la sollevata questione di costituzionalità. Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.

Così deciso in Roma il 16/4/1998.

Depositata in cancelleria il 17 giugno 1998.

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