NOTIZIARIO del 16 agosto 2003

 
     

Quando il calcio scopre la giustizia ordinaria
I difficili rapporti del pallone con l'Erario e gli Enti previdenziali e le responsabilità della Figc
di MARCO LIGUORI e SALVATORE NAPOLITANO

Il Palazzo del calcio professionistico sta lottando con le unghie e con i denti per difendere le sue regole dall'assalto della giustizia ordinaria, che applica le leggi valide per ogni cittadino. Ma è ormai evidente a tutti che gli abitanti del mondo dorato del pallone non sono e non vogliono essere cittadini come gli altri. La battaglia è destinata ad essere persa.

E' solo questione di tempo. C'è una legge superiore a qualunque norma calcistica: la Costituzione. All'articolo 102 vi si sancisce che «non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali»: la giustizia sportiva è sicuramente speciale. E l'articolo 24 stabilisce che «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi»: la clausola compromissoria, che vieta a un tesserato di rivolgersi alla giustizia ordinaria, è dunque carta straccia.

Uno dei temi attraverso i quali si capisce meglio la considerazione che il sistema del calcio ha verso le leggi ordinarie è quello dei suoi rapporti con l'Erario e con gli Enti previdenziali. Un rapporto difficile per molti, ma soprattutto per le società calcistiche. I loro debiti verso Fisco e previdenza crescono a dismisura: al 30 giugno 2003, secondo un'indagine del Sole 24 ore, sono saliti a 500 milioni di euro, con una crescita annua del 66,67%.

E' stata solo colpa della crisi? Non proprio. Una mano l'hanno data le regole della Federcalcio, le cosiddette N.o.i.f.: dal primo luglio sono nuove di zecca e più ferree, ma l'applicazione degli articoli atti a definire i criteri di equilibrio finanziario, necessario per l'iscrizione al campionato, è stata rimandata all'anno prossimo. Se le nuove norme fossero state applicate adesso, per molte squadre sarebbe stata una carneficina.

Un solo punto delle nuove N.o.i.f. è stato immediatamente applicato: quello che permette di suddividere in dieci anni il debito verso l'Erario e di considerare ai fini del parametro ricavi/indebitamento solo la rata annua. In altre parole, appena il 10% dell'intero debito. Nelle vecchie regole, all'articolo 86, non c'era traccia di una simile possibilità.

Adesso sì: «In caso di rateizzazione dei debiti verso l'Erario e/o verso gli Enti previdenziali - si legge al punto 8 dell'articolo 86 - si terrà conto delle rate correnti nonché di quelle in scadenza nella stagione sportiva successiva». Naturalmente, la solita interpretazione molto estensiva ha permesso che bastasse la sola richiesta di rateizzazione per applicarlo, senza preoccuparsi che vi fossero le garanzie bancarie, obbligatorie per legge.

Dunque, il motto della Federcalcio pare essere questo: non dare soldi all'Erario, visto che considererò solo il 10% del tuo debito. Con la Lega calcio, la situazione non cambia: la questione irrisolta è di lunga data, e riguarda la tassazione ai fini Irap delle plusvalenze generate dalla cessione dei calciatori. C'è una risoluzione dell'Agenzia delle Entrate, la 213 del 19 dicembre 2001, che spiega che le plusvalenze devono essere tassate.

Ma la Lega calcio è assurta a interprete di leggi dello Stato, e ha deciso per un orientamento opposto. Tassazione ai fini Irap delle plusvalenze? No, grazie. E' stato il motto dei 38 presidenti di A e B. Fino al 30 giugno 2001, il problema è stato risolto grazie ad una delle tante sanatorie del governo Berlusconi.

Per i restanti due anni, chissà, magari ci saranno delle sanatorie bis e ter.

da Il Manifesto 14 agosto 2003

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