NOTIZIARIO del 17
febbraio 2002
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Cosi'
Mani Pulite mi ha cambiato Intervista ad Andrea Padalino, il magistrato del pool di Milano che, giovanissimo, si trovo' coinvolto nel ciclone "Mani pulite". Lei e' stato il piu' giovane magistrato del pool Mani Pulite. Con quali motivazioni e quali obiettivi e' entrato in magistratura? E quale situazione si aspettava di trovare nell'ambiente giudiziario? . Devo
premettere che mi fa molto piacere poter ripercorrere le mie esperienze
in questa sede, privilegiando aspetti magari non strettamente tecnici,
ma direttamente collegati alla mia crescita, umana e professionale, negli
anni di Mani pulite. Fatte
queste premesse, devo dire che, effettivamente, mi sono trovato coinvolto
giovanissimo nel vortice di Mani Pulite. La scelta di fare il magistrato risaliva all'epoca della fine degli studi superiori, tanto che ricordo che all'esame di maturità, alla solita domanda dei commissari: "ma che cosa farà da grande?", risposi con un po' di incoscienza e tanta sicurezza: il magistrato! (naturalmente). Prima di vincere il concorso in Magistratura ero già Procuratore Legale (oggi si dice più esplicitamente Avvocato) e ho maturato una rilevante esperienza in un importante studio milanese, che ha certamente contribuito positivamente alla mia formazione professionale. Quando, però, è giunto il momento di optare per l'una o l'altra attività, non ho avuto alcun dubbio nello scegliere di fare il magistrato. Credo che poter operare delle scelte, qualsiasi sia il risultato, sia comunque una grande fortuna nella vita e di questo ringrazio la mia famiglia (in cui nessuno è Magistrato o Avvocato) per avermi lasciato tutto il tempo necessario per studiare e prepararmi in modo adeguato. Perché,
allora, questa scelta in una situazione già consolidata e, quantomeno
sotto il profilo economico, potenzialmente ben più soddisfacente? Si tratta di valori forse banali, ma che costituiscono il fondamento dell'attività del magistrato ed una delle basi di ogni sistema democratico. Quando sono entrato in Magistratura il clima non era dei migliori. Era in corso, anche allora, un forte attacco alla sua autonomia, ai "giudici ragazzini", ai magistrati che si occupavano di mafia e di potenti, tanto che ricordo una specie di sciopero della categoria, indetto alla fine del 1991, per reagire a queste aggressioni. Ma la risposta più forte venne con il lavoro quotidiano che, anche in quel periodo oscuro, i giudici ed i pubblici ministeri italiani portarono avanti senza soluzioni di continuità, sacrificando anche la propria vita, come accadde a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino preceduti da Rosario Livatino e molti altri, per adempiere alle proprie funzioni. In
questo clima teso, mi trovavo a Monza, dove presi le funzioni nell'ottobre
del 1992, maturando anche la convinzione di passare ad occuparmi di processi
penali. Nel 1993, quando ormai le indagini, della Procura di Milano in
tema di corruzione avevano raggiunto delle dimensioni imponenti, il Presidente
della Corte di Appello, richiese l'applicazione di magistrati del Distretto
al Tribunale di Milano, per far fronte ai numerosi processi che stavano
per avere inizio. La mattina del 15 settembre 1993, quando mi presentai al Presidente Tarantola ed ai colleghi della Sezione, il Presidente del Tribunale ci convocò nel suo ufficio, dicendo che non sarei stato più assegnato alla Sezione, ma a fare il G.I.P. perché quello era l'ufficio più carente di organico. Nonostante le proteste di Tarantola e mie, in quanto mi sentivo troppo giovane per quell'incarico, non ci fu niente da fare e, così, mi trovai giudice per le indagini preliminari. Fu un periodo di autentica fatica che riuscii a superare anche grazie all'aiuto di alcuni colleghi più anziani, lavorando anche la notte. E, dopo poco tempo, mediante il sistema di assegnazione automatica dei fascicoli, mi trovai assegnato il procedimento per la corruzione nella Guardia di finanza insieme ad altri tronconi di Mani Pulite. Quali sentimenti ha vissuto durante gli anni di Tangentopoli, di fronte al fenomeno della corruzione che veniva alla luce? Mi resi conto, soltanto allora toccandolo con mano, quanto diffuso e radicato era il sistema della corruzione a Milano e in Italia, di quante risorse sottraeva all'economia ed alle attività imprenditoriali, di come il sentimento di impunità fosse sviluppato in chi operava quotidianamente nell'illiceità. Questo sistema aveva avvelenato le coscienze di troppe persone, creando in molti una visione deviata della realtà, senza regole al di fuori di quelle non scritte della corruttela, del parassitismo e della prevaricazione. Ma il sistema era anche giunto ad un punto di saturazione che imponeva una fisiologica rigenerazione, affidata in quel momento soltanto alla Magistratura. Lei e' stato anche oggetto di denunce, poi dimostratesi infondate, da parte di detrattori del pool. Quali sentimenti ha provato in quei momenti? E cosa pensava di fronte ai commenti di media e opinione pubblica (positivi e negativi) che hanno accompagnato Mani Pulite? Ho
vissuto in quel periodo la diffusa solidarietà verso il nostro operato,
ma contemporaneamente il disagio verso le manifestazioni sotto il Palazzo
di Giustizia di Milano, i fax, i consensi generalizzati.
Il lavoro del magistrato, perlomeno come lo intendo, può giustamente essere
sottoposto ad un vaglio critico esterno, positivo o negativo, e deve,
per questo, essere visibile a tutti, ma, per essere conforme alla funzione
dalla quale deriva, deve fondarsi solo sulla autonomia ed indipendenza
da ogni sollecitazione esterna, qualsiasi essa sia, traendo in questo
il fondamento e la forza della propria credibilità. I meccanismi che stanno alla base della diffusione della corruzione e dell'illegalità non possono essere rimossi soltanto con i processi, che possono colpire soltanto i singoli episodi, ma devono essere affrontati e cancellati in sedi diverse. Se per combattere il traffico di stupefacenti fosse sufficiente processare i responsabili, non ci sarebbe più droga in circolazione, ma sappiamo tutti che non è così. Tornando
alla mia esperienza, devo dire che, con il passare del tempo, i problemi
sono aumentati. Molti colleghi che, inizialmente, si erano dimostrati
disponibili nei confronti del giovane appena arrivato, manifestarono tutto
il loro disinteresse. Dopo
aver lasciato Milano per tornare a Monza, nel 1995 iniziarono procedimenti
penali, disciplinari, articoli di stampa che ipotizzavano irregolarità
nel mio operato. Certamente
sono vicende che comportano un forte disagio psicologico ed un notevole
dispendio di energie, ma sono sicuro che anche il più insignificante errore
che, come tutti, avrei potuto fare, sarebbe stato fonte di ben più rilevanti
conseguenze nei miei confronti. E' cambiato qualcosa nella sua visione della Giustizia e della macchina giudiziaria e del ruolo del magistrato a seguito di quegli anni? Oggi faccio il pubblico ministero a Torino alla Direzione Distrettuale Antimafia, ma l'esperienza svolta come giudice mi aiuta quotidianamente nel mio lavoro, a dimostrazione del fatto che non ha alcun senso separare funzioni di soggetti che, nei rispettivi ruoli, operano in autonomia ed indipendenza anche tra loro stessi. Anche se dopo dieci anni dal mio ingresso in Magistratura ho certamente una visione più critica verso il mio lavoro, credo che quella scelta fatta allora resti preziosa e valida. (Bollettino Giudiziario 17.02.02) ___________ I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI CITANDO E LINKANDO LA FONTE
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