"Imputato",
un tormentone che dura da 8 anni e una valanga di sentenze
di
Giuseppe Pietrobelli
Silvio
Berlusconi è un uomo ostinato.
Lo si è visto percorrere per sette anni la traversata nel deserto politico,
dal dicembre '94 al maggio di quest'anno, prima di tornare trionfalmente
in quel palazzo Chigi che aveva dovuto lasciare dopo pochi mesi d'illusione
e di potere.
Ma adesso sembra determinato a non interrompere la lunga marcia nel deserto
giudiziario iniziata quando, nell'autunno del '94, gli fu recapitato l'ormai
famoso avviso di garanzia per le tangenti che la Fininvest aveva pagato
(sentenza ormai in giudicato) per ottenere verifiche fiscali compiacenti
in società del gruppo (ma il presidente è stato assolto in Cassazione
dalla corruzione).
In realtà si tratta di un percorso accidentatissimo, che lo ha portato
molte volte in Tribunale e altre volte ancora lo porterà di fronte ai
giudici per i reati più diversi, dal falso in bilancio al finanziamento
illecito dei partiti, dalla corruzione semplice alla corruzione in atti
giudiziari.
In alcuni casi è stato assolto, in altri condannato, salvo poi vedere
prescritte le accuse.
Ma incurante di essere allo stesso tempo un imputato (ancora) in attesa
di giudizio e presidente del consiglio in carica, Berlusconi ha deciso
di continuare la battaglia contro i magistrati. O almeno contro quelle
toghe che egli indica quali responsabili della decapitazione della classe
politica italiana e del tentativo (che lo riguarda) di presentargli personalmente
un conto giudiziario piuttosto salato.
Lo fa rispolverando formule che gli sono care. I magistrati (Pm che lo
hanno inquisito, gip che lo hanno rinviato a giudizio, giudici che lo
hanno condannato almeno in primo grado) sarebbero al servizio di una parte
politica (Pci o Pds) che prima ha voluto sbarazzarsi di democristiani
e socialisti, poi ha deciso di togliere di mezzo anche lui, scomodo fondatore
di un nuovo movimento politico che avrebbe conquistato il potere in Italia.
Dopo il comunismo, adesso vuole sconfiggere i giudici di sinistra. La
cosiddetta "guerra civile", di cui ha parlato anche ieri in Spagna, sarebbe
iniziata nel '92 e si sarebbe conclusa nel '94, salvo poi continuare nei
suoi confronti.
In quell'arco temporale è accaduto di tutto.
Si
cominciò nel febbraio '92 con l'arresto dell'ingegnere Mario Chiesa. Si
proseguì con le confessioni a valanga degli imprenditori che ammisero
di aver pagato fior fior di miliardi ai partiti. Si arrivò a dicembre
'92 al primo avviso di garanzia per Bettino Craxi (amico di Berlusconi).
Seguirono le dimissioni del ministro Claudio Martelli.
Da allora il sistema andò in caduta libera.
Eni, Iri, Enel, Montedison, Fiat, tutte le grandi industrie italiane,
pubbliche e private, furono coinvolte. I partiti furono falcidiati da
avvisi di garanzia (in Veneto, tra gli altri, Carlo Bernini e Cesare De
Michelis).
Poi Raul Gardini si tolse la vita alla vigilia dell'arresto. E il processo
al finanziere Sergio Cusani divenne l'apoteosi processuale e televisiva
della giustizia che colpiva i ricchi e i potenti che si erano fatti beffe
per anni del Codice Penale.
E Berlusconi? Entrò in scena per primo il fratello Paolo, messo sotto
accusa dal Pm pordenonese Raffaele Tito, applicato per alcuni mesi a Milano.
Poi il ciclone delle tangenti alla Finanza raggiunse Silvio, nel frattempo
presidente del consiglio.
Il
capitolo iniziale di quella storia segnò la fine della carriera di Antonio
Di Pietro quale Pm di Mani Pulite.
Si dimise e ci fu anche un processo (finito con assoluzioni) per supposte
pressioni che lo avrebbero indotto ad andarsene dietro la minaccia di
scabrose rivelazioni. Ed è proprio dal dicembre '94 che i guai giudiziari
di Berlusconi diventano una catena di pendenze.
Adesso egli invoca una Commissione d'inchiesta che renda giustizia ai
martiri delle inchieste di Mani Pulite.
Quali? Dovessimo elencarli, riempiremmo tutto il giornale, visto che per
corruzione o finanziamento illecito sono state indagate, processate o
condannate migliaia di persone in tutta Italia.
Facevano parte di tutti i partiti dell'allora "pentapartito", ma anche
dell'opposizione, proprio quel Pci che Berlusconi vede ora come il regista
occulto di una rivoluzione giacobina di fine millennio.
Berlusconi
sembra aver lanciato la "soluzione finale" nelle settimane che sono seguite
alla prima estate del suo secondo governo. Aveva cominciato in sordina,
scegliendo un profilo molto basso sui temi più conflittuali.
All'improvviso, dallo scorso settembre è stata tutta un'escalation di
attacchi.
E ciò ha coinciso con le discussioni su due leggi. La prima è quella che
dovrebbe restringere gli ambiti penali di punibilità di reati societari
come il falso in bilancio.
La seconda è quella che ha riformato il regime delle rogatorie internazionali,
scatendando le reazioni scandalizzate di molti giudici che vi hanno letto
un tentativo per far annullare processi con imputati eccellenti, tra cui
lo stesso Berlusconi e l'avvocato Cesare Previti. Il premier sta riprendendo
i temi già elencati in questi anni e che lo hanno portato per tre volte
a rivolgersi ai magistrati, con denunce penali.
Denunciò una persecuzione politica, concretizzatasi in un complotto (e
quindi in un attentato agli organi costituzionali) per farlo fuori quando
era presidente del consiglio. I magistrati del "pool" avevano applicato
la legge (obbligatorietà dell'azione penale), ma si erano ritrovati a
loro volta indagati a Brescia sulla base degli esposti di Berlusconi e
dei suoi legali.
I nomi? Antonio Di Pietro, Francesco Saverio Borrelli, Gherardo Colombo,
Francesco Greco, Ilda Boccassini e Piercamillo Davigo. Il procedimento
è stato archiviato lo scorso maggio dal gip bresciano. E a luglio anche
il Csm ha stabilito che non vi sono elementi per un trasferimento d'ufficio
di quei magistrati, che hanno fatto solo il loro dovere.
Ma
Berlusconi è un tipo ostinato.
E così ad ogni occasione lancia il suo anatema contro i giudici (e i rivali
politici) che volevano impedirgli la conquista del potere.
(Il Gazzettino del nordest, 14/11/01)
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