NOTIZIARIO del 7 novembre 2001

 
     

Cronologia di Tangentopoli (3)

riduzione a cura di Rita Guma 7.11.01

1996

GENNAIO. Il 12, il gip di Brescia rinvia a giudizio i fratelli Berlusconi e D'Adamo per estorsione e attentato ai diritti politici di Di Pietro: avrebbero complottato per bloccarne la carriera politica, ma verranno assolti, anche perché la procura non presenterà in tempo la richiesta alla Camera per utilizzare le intercettazioni D'Adamo-Berlusconi. Il 17, si apre a Milano il processo a Berlusconi & C. per le mazzette alle Fiamme Gialle. Negli stessi giorni IL GIORNALE monta una campagna su "Di Pietro golpista", per via di un paio di frasi verbalizzate a Brescia in cui l'ex pm auspicava "il ricambio della classe dirigente e la divulgazione di Mani Pulite nel mondo" con una serie di conferenze. Intanto il Gico di Firenze mette sotto controllo i telefoni di Pacini Battaglia. Pacini - che dirà poi di sospettare di essere "ascoltato" - semina vanterie a piene mani, dicendo tutto e il contrario di tutto. In un'altra telefonata, si scopre che Sergio Cusani - in attesa della sentenza definitiva - avrebbe avvicinato un'avvocatessa per convincere Pacini ad accusare Di Pietro di aver usate carte false per incastrarlo al processo Enimont. Ma Pacini rifiuta.

FEBBRAIO. Tutto il pool indagato a Brescia per abuso e violazione del segreto d'ufficio, in seguito all'ennesima denuncia di Berlusconi.

MARZO. Mentre Mani Pulite fa arrestare il capo dei gip romani Renato Squillante e varie altre toghe sporche della capitale, indagando sui presunti corruttori Previti e Berlusconi, nel parco di Arcore si apre la caccia grossa alla supertestimone Stefania Ariosto. Intanto i gip di Brescia emettono una raffica di proscioglimenti per Di Pietro: nessuna delle sette accuse di Salamone e Bonfigli, cinque concussioni e due abusi, sopravvive al vaglio dei giudici. I quali attaccano duramente le indagini "lacunose, difettose, infondate, azzardate, incongruenti, omissive, forzate" della procura.
Ma Salamone insiste: "Al processo sulle manovre per farlo dimettere, Di Pietro sarà parte lesa, ma la materia del contendere sarà la stessa". La Falange armata dice la sua: "Di Pietro si deve preoccupare molto, non più per i dossier, ma per il tritolo".

MAGGIO. Vinte le elezioni, l'Ulivo manda a Palazzo Chigi Romano Prodi e ai Lavori Pubblici Antonio Di Pietro.

GIUGNO. Il procuratore capo di Brescia Giancarlo Tarquini si accorge all'improvviso che Salamone non può indagare su Di Pietro, visto che quest'ultimo aveva indagato su suo fratello (poi condannato a 18 mesi in Sicilia per associazione a delinquere, corruzione e turbativa d'asta). E gli leva le inchieste sull'ex pm.

LUGLIO. Borrelli assolto dal Csm per la famosa telefonata a Scalfaro.

SETTEMBRE. Il 12, il sociologo Giuseppe De Rita denuncia un mega-complotto di "pm, polizia giudiziaria e servizi segreti che minacciano lo Stato di diritto e vogliono conquistare il potere". Il 13, la Parenti dichiara: "Di Pietro proviene da una struttura parallela dei servizi segreti".
Il 17, Tiziana Parenti convoca una conferenza stampa per accusare Ilda Boccassini di aver arrestato Squillante in base ad una falsa intercettazione, poi denuncia una misteriosa campagna per delegittimarla (la Parenti). Il 19, i giornali pubblicano una frase di Pacini: "Per uscire da Mani Pulite abbiamo pagato". Il 23, si apre a Brescia il processo a Berlusconi e Previti per il presunto complotto anti-Di Pietro.

OTTOBRE. Il giorno 5 Berlusconi ricusa il giudice del suo processo, Carlo Crivelli, per la frase su "bastone e carota". L'8, l'avvocato Gaetano Pecorella chiede che si indaghi sui conti all'estero dei pm di Milano, mentre il 10, salta fuori un'altra telefonata di Pacini: "Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato". Nella foga, il Gico ha dimenticato di allegare anche la seconda parte della conversazione: "Io a Di Pietro i soldi non glieli ho dati".
E nel mirino c'è pure Borrelli, che secondo Pacini lo avrebbe chiamato tramite Di Pietro per tener fuori Necci dall'inchiesta Enimont.
Il 12, Berlusconi supera con la sceneggiata della maxi-microspia "perfettamente funzionante" infilata nel suo radiatore da chissà quale procura. I giudici accerteranno che non funzionava per nulla e che l'aveva piazzata lo stesso uomo incaricato dal Cavaliere di bonificare l'ufficio.
Il 18, anche la procura generale di Brescia si accorge (dopo due anni!) che Salamone è animato da "grave inimicizia e pervicace odio privato" nei confronti di Di Pietro, e lo esautora definitivamente. Il 23, un altro ex maresciallo, Felice Corticchia, corre a Brescia a puntellare le accuse dell'amico Strazzeri: aggiunge che Di Pietro molestava sessualmente una giornalista (che smentisce e lo denuncia a Milano per calunnia). Il 30, è il gran giorno del Gico, che recapita a La Spezia il suo rapportone contro Di Pietro: mille pagine per accusare lui di "attività favoreggiatrice e/o concussiva" nei confronti di Pacini, e tutto il pool di aver "coperto" il finanziere: mancano ancora 35 bobine su 42, e le sette già trascritte sono un pò incomplete, prive dei passaggi che scagionano Di Pietro e il pool, Pacini nega di aver mai pagato una lira, i pm milanesi ricordano di averlo interrogato 20 volte, chiesto undici rinvii a giudizio, inoltrato 50 rogatorie.

NOVEMBRE. Di Pietro è iscritto sul registro degli indagati per corruzione e concussione, l'una vale l'altra: avrebbe costretto Pacini a versare 15 miliardi a D'Adamo, per poi incassarne 5 in combutta con Lucibello. Il 14, Di Pietro si dimette da ministro. Il 15, Brescia, che erediterà l'inchiesta spezzina su di lui, riapre il caso Autoparco, avendo finalmente ricevuto il dossier Autuori del 1995. Su dodici pm bresciani, nove indagano su Di Pietro. Il 22, Eleuterio Rea rivela al CORRIERE che "personaggi importanti mi hanno offerto soldi per inguaiare Antonio".
Il 26, Borrelli testimonia a Brescia sulle dimissioni di Di Pietro e conferma che fu Di Pietro ad insistere per l'invito a comparire a Berlusconi ("Quello, al processo, lo sfascio io"). L'ha già detto Di Pietro a verbale, lo sanno tutti, ma la cosa passa per una notizia clamorosa, la prova del Generale Complotto. Ma il gip vieta nuove intercettazioni perché, su Di Pietro, non esistono indizi di colpevolezza.

DICEMBRE. La procura di Brescia apre una nuova indagine su Di Pietro per abuso d'ufficio: avrebbe salvato Necci nell'inchiesta Enimont e Pacini nel caso Cooperazione. Il 6 Brescia ordina 68 perquisizioni a 256 uomini del Gico e dello Scico contro Di Pietro. Si scava anche nel pozzo di Montenero di Bisaccia, invano. L'8, il rapporto del Gico a La Spezia finisce sul CORRIERE . L'11, il memoriale Strazzeri esce integralmente sul TEMPO. Il 12, i forzisti del Csm chiedono il trasferimento in blocco del pool per incompatibilità ambientale e una terza ispezione a Milano. Il 13, IL GIORNALE intervista Strazzeri. Il 18, il Gico perquisisce l'ufficio di Di Pietro a Castellanza. Il 19, Berlusconi riferisce a Brescia i "particolari agghiaccianti" e denuncia il pool per violazione dell'articolo 289, mentre il Gico è in trasferta a Roma per perquisire il ministero dei Lavori Pubblici: si indaga anche sul Di Pietro ministro, che sarebbe entrato nel governo apposta per favorire D'Adamo nell'appalto dell'interporto di Lacchiarella. Si scoprirà poi che l'appalto è di competenza del ministro dei Trasporti.
Il 27, il Tribunale della libertà dichiara "illegittimo" il blitz del 6 dicembre, smonta le accuse a Di Pietro e demolisce il rapporto del Gico. A Roma intanto viene archiviata l'inchiesta su Di Pietro per presunto uso privato di aerei dei servizi segreti.

1997

GENNAIO. IL FOGLIO rilancia la montatura craxiana della falsa laurea di Di Pietro.

FEBBRAIO. Il giorno 1, vengono arrestati a Brescia Strazzeri e Corticchia per calunnia pluriaggravata ai danni di Di Pietro e del pool. Il 2, la Parenti invoca ispezioni a Milano e Brescia. L'8, il pool ottiene un nuovo mandato di cattura per Corticchia: avrebbe tentato di costringere una giornalista ad accusare Di Pietro di molestie sessuali "per assicurare l'impunità a Berlusconi". Si scopre pure che Corticchia, da povero in canna che era, aveva ricevuto 260 milioni, usava telefonini della Mediaset e andava e veniva da Arcore. Il 13, viene arrestato a Perugia il colonnello della Finanza Giangiacomo Bausone per corruzione: troppo occupato con Di Pietro, il Gico s'era scordato di segnalare le sue ipotesi di reato alla procura di La Spezia. Il 19, crolla il falso del falso "passi": un agente in servizio a Palazzo Chigi riferisce di averlo regolarmente compilato lui per la visita di Berruti all'allora presidente del Consiglio.

MARZO. Il 7, i giornali montano il "caso" di "Scalfaro intercettato dal pool": si tratta in realtà di una telefonata del '93, priva di qualunque rilevanza penale, tra il presidente ed un inquisito della Banca Popolare di Novara. Era quest'ultimo, non il presidente, ad essere "ascoltato"; e per iniziativa del pm Luigi Orsi, che col pool non c'entra nulla. Ma Cossiga, Mancuso e persino Salvi accusano Borrelli di "violazione costituzionale". Il 14, Pacini compare in tribunale e ripete ancora una volta: "Mai dato una lira a Di Pietro, mai avuto favori dal pool": Il 26, la Cassazione dà ragione a Tribunale della libertà e torto alla procura bresciana: le perquisizioni del 6 dicembre non andavano fatte, per "insussistenza" dei reati attribuiti a Di Pietro.

APRILE. I pm di Brescia chiedono il rinvio a giudizio di Di Pietro: falso ideologico, per quei verbali soltanto firmati. Boato vara la sua prima bozza anti-giudici alla Bicamerale.

MAGGIO. Il giorno 10, il comitato servizi segreti presenta la relazione sul dossier Achille, denunciando bugie dei vertici del Sisde e sparizioni di documenti: in una scheda, si parla persino di "appartenenza a logge massoniche coperte di magistrati di Milano". Il 15, la procura di Brescia chiede la proroga dell'inchiesta Pacini-D'Adamo: ora si parla di un telefonino di Pacini usato da Di Pietro. Pacini smentisce. Francesco Greco critica il governo dell'Ulivo, che risponde con un procedimento disciplinare. Ma ben altre carte stanno arrivando dalla Svizzera: quelle sui conti di Previti, nel mirino della Bocassini.

GIUGNO. E' il mese del "caso Bocassini". Così, almeno, i giornali chiamano il caso Parenti. Il giorno 6, finisce dentro il colonnello Riccio, seguito a ruota dal maresciallo Angelo Piccolo, già collaboratore e "amico" della Titti: dieci anni prima i due avrebbero messo su una raffineria di droga nella caserma dell'Arma. Fa scandalo la presunta intercettazione sui telefoni di casa Parenti (in realtà, era controllato il telefono di casa Piccolo, non ancora coperto da immunità parlamentare). La storia dei 500 milioni al pentito viene smentita dallo stesso pentito. E sorge il sospetto che Riccio & C. abbiano costruito quella montatura per coprire le proprie e altrui vergogne. Il 15, salta fuori un vecchio biglietto inviato nel '93 da Di Pietro a Ghitti per chiedergli l'arresto del manager Mario Maddaloni, con la risposta di Ghitti che gli consigliava di cambiare capo d'imputazione, Scandalo dei gip "appiattiti" sui pm. La richiesta di Di Pietro fu pero' respinta da Ghitti.

LUGLIO. Giorno 4, Berlusconi: "Un normale cittadino, al posto di Di Pietro, sarebbe già in galera". Giorno 8: quaranta deputati forzisti chiedono l'azione disciplinare e addirittura "la sospensione" per la pm Bocassini. Giorno 11: Previti chiede l'estromissione della Bocassini dalle inchieste che lo riguardano. Intanto, il 1° luglio, Antonio D'Adamo è corso a Brescia a confermare: la Dedra, il telefono, i 100 milioni, la garçonnière non erano prestiti ad un amico o a sua moglie (che era pure il suo legale), ma il prezzo per i favori processuali di Di Pietro a Radaelli e Prada (che Di Pietro fece arrestare nel '92); e quei 15 miliardi di Pacini - ricorda ora D'Adamo in un soprassalto di memoria - gli vennero per intercessione di Tonino.
Il 17, Di Pietro si candida per il Pds nel Mugello. Il 19, trapela da Brescia la notizia che forse Di Pietro intascò da D'Adamo i 5 miliardi e rotti di Pacini per finanziare il suo movimento politico. Il 21, il sindaco polista di Milano Gabriele Albertini reintegra nello stipendio il condannato e plurinquisito Rea, affidandogli il comando del servizio Igiene e sanità. Subito dopo il buon Eleuterio, rinfrancato ed assistito da un avvocato di Forza Italia, si ricorda fulmineamente di alcuni particolari agghiaccianti di dieci anni fa sul conto di Di Pietro. E il 31, preceduto da un profetico articolo del FOGLIO, corre a raccontarli alla procura di Brescia (dove Salamone ha appena ricevuto un avviso di garanzia per mafia, da Caltanissetta). Di Pietro - rivela Rea - salvò Radaelli nel 1989 (salvo poi arrestarlo nel '92), e Borrelli mentì al tribunale di Brescia quando disse di aver saputo da Di Pietro (e non da Poppa) la storia del prestito di Gorrini a Tonino. Risultato: Di Pietro di nuovo indagato per abuso d'ufficio. Essendo i fatti del 1989, il reato sarebbe comunque prescritto dal 1994, ma chi se ne importa. Berlusconi intanto è indagato in Spagna per frode fiscale e violazione dell'antitrust televisiva.

AGOSTO. Il parlamento approva la riforma dell'articolo 513, da un'idea di Cesare Previti. Il 25, Sandro Curzi, rivale di Di Pietro al Mugello, rivela elegantemente di aver ricevuto dossier anonimi sul suo conto.

SETTEMBRE. Il giorno 1, la corte d'Appello di Brescia, confermando il proscioglimento di Di Pietro per le pretese concussioni ai danni di Gorrini, ricorda che le accuse dell'assicuratore non erano proprio genuine, visto che tendevano ad ottenere soldi e favori da Paolo Berlusconi e Sergio Cusani. Il giorno 2, la procura di Perugia demolisce il lavoro di taglia e cuci del Gico di Firenze che, ad un anno e mezzo dalle intercettazioni, non ha ancora trascritto integralmente le bobine, mentre le poche trascritte sono piene di errori. Il 3, il pool di Milano chiede alla Camera il permesso di arrestare Previti.

(Questa pagina e' una sintesi della storia di Tangentopoli con nomi e cognomi scritta da Marco Travaglio per Micromega)

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