27 aprile 2002

 
     

Alcune riflessioni tecniche sul falso in bilancio
di Massimiliano Trematerra

Nel nuovo decreto sul falso in bilancio, si pone una disciplina differente per la pena irrogabile a causa del reato a seconda che la società che lo abbia commesso è quotata in borsa o meno. In particolare, se non è quotata in borsa, la pena è minore (da 6 mesi a 3 anni) ed il reato è peseguibile solo a querela. Ora, posto che il reato secondo la stessa legge è punito in virtù del danno che produce, e non più del semplice pericolo, il discrimine per una maggiore severità della sanzione doveva essere fondato sull’entità del danno prodotto e non sulla quotazione o meno in borsa della società.

Questo secondo profilo poteva essere importante se l’ipotesi di reato continuava a restare ancorata al pericolo denotando infatti la quotazione un maggiore rischio, per la maggiore circolazione e velocità di circolazione dei titoli in borsa, ma non ha più decisiva rilevanza ora che lo scopo della sanzione diventa quello di punire un danno prodotto. E’ quest’ultimo che deve servire di parametro alla commisurazione della pena, se si vuole diversificare il carico sanzionatorio. Essendo priva di una ratio giustificabile, l’attuale formulazione appare viziata per violazione dell’art.3Cost., nella misura in cui determina una maggiore sanzione per la società quotata che nell’ipotesi abbia prodotto lo stesso danno o persino un danno minore rispetto alla società non quotata.

Quanto alla perseguibilità a querela, la riduzione dell’allarme alla lesione del solo interesse privato appare sconsiderata, laddove un falso in bilancio produttivo di danno deve necessariamente costituire un potenziale pericolo per tutti i creditori ed i soggetti che intrattengono rapporti con la società (anche se non quotata). Diversamente opinando si svilisce la funzione di prevenzione generale del diritto penale.

Bollettino Osservatorio

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