14 settembre 2001

 
     

Puglia:
sogni di legalita' e realta' illegale

a cura di Rita Guma

Non solo Carlo Frigerio (vero nome Gianstefano), eletto in Parlamento proprio in Puglia e pluricondannato, ma anche altri personaggi noti e meno noti della politica, come Franco Alba, ex sindaco della DC di Monopoli (BA), condannato a cinque anni in primo grado per corruzione relativamente al rinnovo di un appalto per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
E ancora, sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 3 luglio leggiamo del processo per calunnia a carico dell'attuale assessore regionale al Personale ed ex sindaco di Monopoli Giovanni Copertino (Ccd), ex Presidente del Consiglio Regionale della Puglia e candidato nel proporzionale per il CCD alle elezioni politiche del 13 maggio.
Secondo il pm Giovanni Giorgio, vittime della calunnia sarebbero il pentito Luigi Svezia, ex boss, e un altro pregiudicato.
Il pm ha chiesto di acquisire le intercettazioni fatte dalla Direzione antimafia in varie indagini a carico del boss Giuseppe Muolo, dalle quali emergerebbe una richiesta di denaro fatta a Copertino per finanziare la latitanza di Muolo, ma il giudice non ha ammesso le prove dato che per il reato di calunnia non è possibile disporre intercettazioni.
Copertino è a giudizio perchè in due lettere inviate alla procura - il 28 maggio e il 13 luglio del '98 - aveva accusato i due pentiti di avere rilasciato durante un altro processo dichiarazioni lesive della sua reputazione, qurelandoli per falsa testimonianza e diffamazione.
Due fotografie scattategli in casa del boss dimostrerebbero invece il tenore dei rapporti fra i due. Copertino ha comunque sempre affermato di non sapere chi fosse e che cosa facesse Muolo, ritenuto dalla Dda un criminale di primo piano.
Sulla citta' di Monopoli pende tuttora un decreto di scioglimento del Presidente della Repubblica Scalfaro emesso nel 1992 per infiltrazioni mafiose, costato due anni di commissariamento.
Sulla vicenda che ha originato il provvedimento ancora non è stata fatta completa luce.

Proprio ai sindaci si rivolgeva ieri dalle colonne di Repubblica Bari il leccese di AN Alfredo Mantovano in un articolo di Lello Parise.
Mantovano , già magistrato, ora sottosegretario all'Interno, in predicato per la delega più importante - quella sulla pubblica sicurezza e sui collaboratori di giustizia (anche se si dice in FI che «Berlusconi non ha dimenticato che il magistrato Mantovano fece condannare il suo amico Pino Leccisi») ritiene indispensabile la collaborazione di tutti i soggetti alla prevenzione e denuncia dei fenomeni criminosi.
Il procuratore generale Riccardo Dibitonto, in una intervista a Repubblica aveva in precedenza puntato l'indice contro gli amministratori, quasi tutti e quasi sempre impegnati a gettare acqua sul fuoco delle polemiche e dei sospetti che coinvolgono Tizio o Caio e che lasciano pensare a collusioni con gli uomini dei clan.
Mantovano commenta: «Il fatto è che la "questione sicurezza" deve interessare anche la più piccola realtà istituzionale. Il governo non sta perdendo tempo, ma le regioni e i comuni non possono rimanere a guardare». (...) I sindaci fanno parte in pianta stabile, ormai, dei comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica, non possono mica rimanere con le mani in mano». Qual è l'obiettivo? «Ottenere la collaborazione delle persone oneste. Ma perché un cittadino collabori con la giustizia, deve sapere che rischia di meno rispetto al passato e che le leggi già esistenti gli consentono di essere tutelato sotto tutti i punti di vista. Organizzare una campagna di informazione per spiegare queste cose, sarebbe quanto mai opportuno».
(...)Così come stanno le cose dobbiamo anche sapere, per dirla col ministro delle Infrastrutture Lunardi, di essere «condannati a convivere» con la Sacra corona unita? «Con la delinquenza organizzata non si convive. La delinquenza organizzata è un tumore: o si muore o si sopprime il tumore. Non ci sono vie di mezzo. L'espressione di Lunardi è stata infelice, però il concetto è condivisibile: non è possibile immaginare di paralizzare l'attività economica fino a quando la criminalità sarà viva e vegeta». (...)

Mantovano dice cose condivisibili, soprattutto quando parla dei collaboratori di giustizia.
Tuttavia egli, da sempre interessato al fenomeno dei pentiti, sul quale ha scritto anche un libro, dovrebbe sapere che, a seguito delle nuove leggi approvate in materia di giusto processo e collaboratori di giustizia (con il concorso, anzi la spinta del centrodestra), le garanzie per questi ultimi si sono notevolemnte ridotte. E questo impedisce di contrastare il fenomeno omertoso a piu' riprese da tutti denunciato.
Di fronte ad esempi di rappresentanti istituzionali corrotti ed alla cultura dell'omerta', il cittadino si sente solo ed i giovani, soprattutto se disadattati, crescono con l'impressione che a nulla valga essere onesti e che, addirittura, sia intelligente, oltre che conviverci, collaborare con la malavita.
Infatti ogni giorno si legge sulle cronache locali di amministratori corrotti (gli ultimi casi sui quali la magistratura sta facendo luce sono proprio due consiglieri di AN, sospesi per questo dal ministro dell'interno e dal partito), ma anche di fatti sanguinosi legati alla malavita organizzata e non, che a volte coinvolgono anche innocenti, come nel caso di
Michele Fazio, il ragazzino di 16 anni ammazzato per errore a Bari Vecchia, il 12 luglio scorso, da un commando che voleva uccidere il boss del clan Strisciuglio Pinuccio De Felice.

Lo psicologo Francesco Saverio Abbruzzese afferma convinto: «La scommessa pedagogica a Bari, adesso è l'educazione alla legalità, che deve partire dalle scuole».
Su La Repubblica Bari del 31 luglio egli avverte, parlando dei bambini cresciuti in famiglie malavitose: «Bisogna fare molta attenzione al tipo di educazione che stanno ricevendo, a quello che stanno assorbendo in questo clima tipicamente barese. Questi bambini si credono dei "dritti".
Per questo è necessario ricordare quello che ha detto la mamma di Michele Fazio: "Prendete esempio da mio figlio perché voi siete il futuro di Bari". Tocca alla scuola darsi da fare: è da lì che deve partire l'educazione. Il tribunale per i minori, le forze dell'ordine si devono mettere a disposizione per far passare questa educazione».
Perché la cultura dell'illegalità ha tanta presa su di loro? «Perché dà loro una solida identità, anche se negativa. Nascono in famiglie con problemi, e non è un caso che la cultura mafiosa utilizzi una terminologia di tipo familiare: la "famiglia", il "padrino", il "mammasantissima", i riti di "affiliazione", il "battezzo". Dove c'è una famiglia che non funziona, quella mafiosa diventa di tipo adottivo. Dà loro regole, protezione, identità e anche soldi. Il ragazzino, dai mafiosi, ha tutto».

Questo per la prevenzione.
Per la cura, il magistrato barese Desirèe Digeronimo, che fa parte del club di efficienti magistrati autori di tante indagini che hanno prodotto seri danni alla malavita organizzata, sempre dalle colonne di Repubblica ammonisce: «Un aspetto importante è proprio il coordinamento dei magistrati dell'antimafia con i colleghi della Procura ordinaria e con le forze dell'ordine. È un modo per far circolare le informazioni, per potenziare l'attività dell'ufficio in maniera più produttiva»... «Purtroppo in Italia abbiamo un codice di procedura penale inadatto all'intensità criminale, va semplificato, reso più veloce. Dovrebbe poter stare al passo di questa criminalità che è molto rapida nel rimarginarsi».
Sempre nello stesso articolo il procuratore aggiunto Giovanni Colangelo esprime una speranza: «Mi auguro che il nostro impegno aumenti la fiducia della gente nelle istituzioni, che arrivi al cittadino, ovviamente preoccupato, un segnale della disponibilità dello Stato. Quando i cittadini acquistano coscienza dei propri diritti, allora la malavita deve recedere....».

E per incrementare questa fiducia la Procura barese lavora strenuamente contro mafie vecchie e nuove.
Di recente sono stati effettuati eclatanti arresti e confische a danno delle maggiori famiglie mafiose della Puglia.
A gennaio di quest'anno una trentina di persone fu indagata dai PM Giorgio e Angelillis per associazione mafiosa finalizzata all'estorsione, al sequestro di persona, al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, allo sfruttamento di manodopera e alla riduzione in schiavitù.
Fu rilevata, come ricorda sempre La Repubblica di Bari, l'esistenza di «attività illecite che finora non erano mai state poste in essere dalla criminalità organizzata locale».
I pm Giorgio e Angelillis accertarono collegamenti tra l'associazione mafiosa e alcuni laboratori tessili, esercizi commerciali e di ristorazione nel capoluogo e in altre città del Barese.
Giovanni Giorgio, insieme col procuratore aggiunto Giovanni Colangelo, quest'anno si è occupato spesso anche di mafia albanese. A marzo fu smantellata, fra le altre, un'organizzazione criminale del Paese delle Aquile che aveva stretto un accordo con i clan pugliesi ed i camorristi napoletani per esportare in Italia ingenti quantitativi d'eroina. (...)

I Pugliesi onesti ringraziano.

Bollettino Osservatorio

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