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Campagna di Russia: Quello che non ci dicono
di
Rinaldo Battaglia *
"Se magari dicessimo la verità riguardo al passato, potremmo essere onesti con il presente."
Sono parole di Ken Loach che spesso uso per ricordare che non sempre tutto è bianco e tutto è nero nella Storia del nostro Paese.
E se non raccontiamo e facciamo conoscere ai nostri figli l’Italia dei nostri padri avremo dei nipoti ignoranti e facili preda di falsità storiche e di chi ha forte interesse a costruirle.
In questi giorni di fine dicembre 2025 stiamo celebrando l’eroismo degli italiani nella campagna di Russia quando, oramai di fronte alla catastrofe, molti si sacrificarono per salvarne almeno una parte di loro. Una parte di quei poveri 229.005 uomini che il Duce mandò vigliaccamente allo sbaraglio.
E, se osservate, pochi che oggi in genere osannano le gesta dell’Uomo della Provvidenza o detengono il suo busto sul comodino della camera da letto, pochi, pochissimi parlano della campagna di Russia. La loro scuola è sempre quella di negare, fuorviare e dove non possono farlo, almeno resettare, cancellare, nascondere.
Qui, in questo tragico caso, non possiamo di certo portare in alto le vittime delle foibe affinchè nessuno mai conosca i crimini di Roatta, Robotti, Pirzio Biroli, Temistocle Testa - per ordine del Duce e i suoi 729 criminali di guerra italiani - per quando commesso in terra jugoslava durante la nostra invasione. Qui non possiamo dire “...e le foibe?".
Quindi resettiamo, cancelliamo, nascondiamo.
E io parlo della nostra invasione in terra allora sovietica poi diventata dal 1991 Ucraina. Anche se oggi non lo so di chi sia. In realtà ovviamente, sul campo di battaglia, non secondo il diritto internazionale.
"Se magari dicessimo la verità riguardo al passato, potremmo essere onesti con il presente."
Ricordo, infatti, che l’Italia dichiarò la guerra all’Unione Sovietica già il 23 giugno del 1941, il giorno dopo che Hitler aveva attaccato il Paese di Stalin con cui il 23 agosto 1939 aveva firmato un patto di reciproca non aggressione.
Il Duce, per non essere fuori dal gioco, spedì senza tanta preparazione dapprima tre divisioni di fanteria, chiamandole Corpo di spedizione italiana in Russia (CSIR). Poi nell’estate del 1942 aggiunse altre 7 divisioni e aggiornò il nome in “Armata italiana in Russia (ARMIR)”. E di queste dieci divisioni – é la Storia a documentarlo - tre erano divisioni alpine: la Cuneense, la mitica Julia e la Tridentina.
E come si comportarono genera da sempre gloria al loro nome, soprattutto e malgrado tutto nella fase della disfatta. Basta citare un mito della mia terra - Mario Rigoni Stern – per intenderci.
Ma è sempre stato eroismo? È sempre stata gloria?
"Se magari dicessimo la verità riguardo al passato, potremmo essere onesti con il presente." Diceva Ken Loach.
La guerra è guerra e la guerra di invasione in terra straniera ancora peggio. Mai dimenticarlo e peggio resettarlo o nasconderlo.
Si deve sapere che in varie occasioni anche i nostri soldati massacrarono civili, donne e bambini, come fecero i nazisti. Certo in misura minore, questo va altrettanto detto e confermato.
Perché gli ordini che ricevevano da Roma erano uguali a quelli da Berlino: ogni resistenza attiva o passiva della popolazione civile andava repressa, senza se e senza ma. Come faranno i nazisti da noi dopo l’8 settembre 1943, come già facevamo noi in Jugoslavia, Grecia, in Africa. Qualcuno di voi si ricorda della Circolare 3 C del gen. Mario Roatta del 1° marzo 1942?
Sicuramente ora qualcuno si sorprenderà, ma purtroppo fu così.
Basterebbe citare le gesta del generale Gabriele Nasci, già veterano del corpo degli alpini durante la Grande Guerra. Poi al comando, durante la campagna di Grecia, del XXVI Corpo d'armata operante nel settore macedone e, a seguire, a quello del XVIII schierato in Dalmazia. Mussolini nel marzo 1942 infine lo mise al comando del Corpo d'armata alpino, in forza all'ARMIR del generale Italo Gariboldi, operante in Ucraina.
Sarà un eroe con tanto di Croce di Commendatore dell'Ordine militare di Savoia, di croce di ferro di prima classe, di tre medaglie d'argento e una di bronzo nella battaglia del Don, quando salvò migliaia di nostri soldati.
Fu lui che ebbe il coraggio e la lungimiranza la sera del 17 gennaio 1943 di ordinare il ripiegamento dell'intero Corpo d'Armata Alpino per uscire dalla sacca, in cui l’Armata Rossa aveva imprigionato le nostre truppe.
Fu un eroe.
Ma fu anche colui che mesi prima aveva ordinato “di rispondere con rappresaglie di severità esemplare ad ogni atto ostile”. I nostri soldati dovevano prendere ostaggi ed ucciderli nel caso fosse stato necessario. Senza se e senza ma.
E talvolta quando si catturavano nei rastrellamenti ebrei, rom o namadi venivano subito consegnati 'brevi manu' ai nazisti, ben sapendo quale sarebbe stato il loro atroce destino.
Ma non solo.
Importanti storici sia italiani che stranieri quali Giorgio Bocca (in “Storia d’Italia nella guerra fascista. 1940-1943” - Milano, 2017) o Giorgio Rochat (in “Leopoli 1942-1943. Militari italiani dinanzi alla Shoà”, in La rassegna mensile di Israel, n. 2, Roma, 2003) e soprattuto il tedesco Thomas Schlemmer nel suo “Die Italiener an der Ostfront 1942/43. Dokumente zu Mussolinis Krieg gegen die Sowjetunion”, edito a Monaco nel 2005 oppure la traduzione italiana ‘Invasori, non vittime - La campagna italiana di Russia 1941-1943 - trad. di I. Fratti e G. Kuck con la coll. di A. Osti Guerrazzi) vanno ben oltre.
In un articolo a firma di Simonetta Fiori apparso su La Repubblica del 14 aprile 2005, Thomas Schlemmer, forte dei suoi studi, citava convintamente che “effettivamente si sa di efferatezze commesse da soldati italiani non solo sulla popolazione civile, ma anche nei confronti dei prigionieri di guerra. Nel dicembre del 1941 il membro di un’unità di riparazioni fu testimone di un terribile delitto: alcuni soldati sovietici furono bagnati con la benzina e poi bruciati da un gruppo di carabinieri italiani”.
Schlemmer inoltre nei suoi libri documenta che, persino pochi giorni prima della battaglia di Nikolajewka, “il comando del corpo d’armata alpino in Russia ordinò la fucilazione di una trentina di militari dell’Armata Rossa caduti prigionieri nella città di Rossoš”.
Sempre in “Invasori, non vittime. La campagna italiana di Russia 1941-1943” Thomas Schlemmer descrive con dovizia di particolari i massacri commessi dai nostri soldati a metà febbraio 1943 nelle città ucraine di Snamenka e di Gorjanowski, dove l’intera popolazione (compresi anziani, donne e bambini) fu sterminata dalle nostre truppe, lì comandate dal colonnello Mario Carloni del sesto reggimento bersaglieri.
Snamenka è oggi in Ucraina (Snamenskyi, district di Kirovohrad), Gorjanowski (oggi Gorjanovka) è poco lontano. In quella stessa settimana i nostri soldati in Grecia massacrarono i civili di Domenikon.
Tanto per fare memoria, Mario Carloni sarà poi dopo l’8 settembre 1943 il più forte comandante della 4° Divisione Alpina Monterosa, un'unità di alpini che dal gennaio 1944 combatterà per Mussolini, a fianco e nell’interesse dei nazisti. E come i nazisti la 4ª Divisione alpina "Monterosa", ucciderà civili, brucerà borghi e frazioni, farà rastrellamenti ed imboscate per catturate uomini da spedire come schiavi nei lager del Terzo Reich. Darà il suo criminale contributo a catturare ebrei da sterminare ad Auschwitz.
Prima che qualcuno dica che le fonti sono di parte e quindi non credibili, senza argomentare di più, vi preciso che Thomas Schlemmer è un affermato ricercatore presso l’Institut für Zeitgeschichte di Monaco-Berlino e direttore del periodico “Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte”.
I suoi principali temi di studio riguardano proprio la storia socio-politica della Germania, dopo il 1945, e la storia del nostro fascismo e dell’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Ha più volte collaborato con l’Istituto Storico Germanico di Roma e ha fatto parte della Commissione storica italo-tedesca. Credo sia, quindi, autorevole.
In Russia gli italiani si comportarono da invasori e talvolta da veri criminali. E non fu un caso sporadico che già dal 1945 l’allora Unione Sovietica abbia condannato per crimini di guerra diversi ufficiali italiani, caduti in prigionia, e di altri abbia già nel 1946 chiesto l’estradizione all’Italia, estradizione da noi negata, come per quelli richiestici dalla Grecia, Albania, Jugoslavia.
Si racconta del resto che perfino alcuni comandi militari tedeschi, durante la nostra campagna di Russia, criticarono in alcuni casi il comportamento troppo crudele degli italiani. E questo in netto contrasto con quanto scrisse il comandante dell’ARMIR, generale Giovanni Messe, subito dopo la guerra, dove affermava che il corpo di spedizione italiano si sarebbe distinto da tutti gli altri eserciti “per la sua cultura superiore, il suo senso di giustizia e la sua comprensione umana“.
Ma in alcune lettere dei soldati italiani, raccolte nel centro di censura a Mantova, si legge invece di soprusi e di uccisioni di civili.
"Se magari dicessimo la verità riguardo al passato, potremmo essere onesti con il presente." Diceva Ken Loach.
Se magari conoscessimo la Storia, senza difese di parte o di partito, forse saremo un paese migliore o meno diviso e divisivo. Forse il mito ‘italiani brava gente’ non è realtà ma solo propaganda. Solo propaganda falsa e mirata a giustificare crimini orrendi commessi dai nostri uomini. Solo propaganda perché è più comodo ricordarsi come vittime che come colpevoli per avere invaso ed ucciso in terra di altri. Come in Grecia, come in Jugoslavia. E' più comodo ed elettoralmente vantaggioso.
Ma se andiamo nel dettaglio i grandi colpevoli non furono gli esecutori, le nostre truppe poi abbandonate – salvo casi eccezionali come quello del 17 gennaio 1943 del generale Gabriele Nasci – ma i loro generali. Quasi tutti loro tornarono a casa e tutti, tutti riuscirono a rimanere impuniti. Come per i 1.283 criminali di guerra fascisti, così giudicati dalla War Crimes Commission dell’Onu del 4 marzo 1948.
Eppure, si sapeva sia nel 1946 e nel 1947.
Anni fa uno storico ricercatore riminese quale Giorgio Scotoni svolse un’accurata ricerca negli archivi sovietici (vedasi il suo “Una lezione per Mussolini. Storia delle operazioni dell’Armata Rossa contro l’8ª Armata italiana negli anni della Grande guerra patria 1942-1943, Voronež, 2016). Soprattutto in quelli della Russia meridionale e in Ucraina dove tuttora – guerra attuale permettendo - si possono trovare moltissimi documenti che le truppe italiane in ritirata lasciarono sul posto, e che documentano le gravissime responsabilità del Regio Esercito.
Scotoni nel suo libro cita una nota del Ministero dell’Interno dell’URSS del 14 luglio 1947, a guerra quindi finita: “Per quanto riguarda 17 italiani - vi si legge - il Ministero dell’Interno dell’URSS dispone di materiale che li smaschera di atrocità sul territorio dell’Unione Sovietica, sulla base del quale sono stati detenuti prima di essere rimandati a casa. I restanti 11 italiani, tra i quali 3 generali e 5 ufficiali, furono detenuti come fascisti attivi”.
I tre generali in questione erano Etelvoldo Pascolini, comandante della divisione di fanteria Vicenza, Emilio Battisti, comandante della divisione alpina Cuneense e Umberto Ricagno, comandante della divisione alpina Julia, che furono comunque rilasciati tre anni più tardi insieme al resto dei militari tranne uno, il capitano Guido Musitelli della divisione alpina Julia.
Quest’ultimo - ricorda sempre Scotoni nel suo testo - fu condannato il 27 luglio 1948 dal Tribunale della Regione Militare di Kiev a 25 anni di lavori forzati in quanto riconosciuto responsabile di una serie di delitti compiuti dal settembre 1942 all’11 gennaio 1943, quando fu catturato dai sovietici, nel villaggio di Sergeevka. Al processo ci furono decine di testimoni che lo accusarono di avere sistematicamente derubato le cooperative agricole della zona di ogni bene, di avere torturato due donne durante gli interrogatori e di avere fatto impiccare un contadino di un locale kolkoz per essersi rifiutato di lavorare. Musitelli, comunque, alla fine poté ritornare in Italia nel 1954 insieme ad altri 28 militari italiani".
"Se magari dicessimo la verità riguardo al passato, potremmo essere onesti con il presente" diceva Ken Loach.
Ma noi in Italia quanto conosciamo del nostro vero passato. E di conseguenza: quanto siamo onesti nelle nostre scelte?
"Si vis pacem disce historiam" (Se vuoi la pace impara la Storia), dice il libro della vita.
26 dicembre 2025
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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