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26 dicembre 2025
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Vance: non dobbiamo scusarci per essere bianchi
di Laurent Luboya

«Non abbiamo più da scusarci di essere bianchi»: ecco il grido di un ordine antico che sente avvicinarsi la propria fine.

Quando il dominante dice di essere stanco di “doversi vergognare”, non è perché sia stato oppresso, ma perché finalmente si comincia a dare un nome alla violenza che lo ha portato in cima. Il disagio non è morale, è storico.

Fanon lo aveva scritto: "il colonizzatore non sopporta lo specchio".

Non è l’odio che teme, è la verità. Raccontare la storia diventa per lui un’“accusa”, perché ha confuso il privilegio ereditato con l’innocenza personale.

Sankara ce lo ha insegnato: "non c’è nessuna scusa da chiedere per il fatto di essere nati, ma ci sono dei conti da rendere per un sistema".

Rifiutarsi di renderli significa prolungare il dominio sotto la maschera della neutralità.

Quando Vance parla di merito, dimentica di dire che il mondo non è stato costruito sul merito, ma sulla forza: forza militare, forza economica, forza razziale. Il merito è arrivato dopo, per legittimare ciò che era già stato preso.

Sopprimere le politiche di riparazione non significa liberare i popoli: significa conservare la disuguaglianza rivestendola di morale. Significa dire agli eredi della spoliazione: “Competete”, mantenendo però regole scritte dagli eredi del saccheggio.

Il colonizzatore non vuole più che gli si parli del passato, perché il passato spiega il presente. E spiegare il presente significa rendere il futuro negoziabile.

Nessuno chiede al Bianco di scusarsi per essere Bianco. Gli si chiede di smettere di credersi neutrale in un mondo costruito a suo vantaggio.

Il giorno in cui l’Occidente parlerà meno del proprio disagio identitario e più di giustizia reale, allora soltanto la questione razziale smetterà di essere un’arma.

Nel frattempo, questo genere di frase non è un grido di libertà: è l’ultimo riflesso di un sistema che rifiuta di morire.


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