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30 giorni
di Elisa Fontana *
Mentre gli italiani sono occupati fra il cenone di Natale e quello di Capodanno, il nostro alacre governo è sempre più simile a Mussolini: non dorme mai.
E mentre l’Italia è preda di sonnolenza da abuso di panettone, loro presentano per la prima approvazione la riforma della Corte dei Conti il 27 dicembre. Perché l’ha ordinato Giorgina e gli ordini della sacra presidenterrima non si discutono, si ottemperano allineati e coperti.
Questa riforma nasce da un sincero ansito democratico, come sempre accade a Giorgina e ai Fratellini, come ci fece sapere quando la Corte ha bloccato quella meraviglia del Ponte di Messina. La riforma sarebbe stata “la risposta più adeguata ad una intollerabile invadenza”. Perché la Corte non aveva gradito il disegnino colorato su carta quadrettata che in pratica Salvini e il suo manipolo avevano presentato.
Con queste premesse altamente democratiche, Giorgina “sversa su di noi la bile nera di cui trabocca evidentemente il suo animo ricolmo di cieco rimpianto” e mi perdoni Giuli per l’appropriazione della sua invettiva contro Veneziani, ma ormai è divenuta un classico, patrimonio dell’umanità.
Con queste premesse non poteva venir fuori che un capolavoro di sconsiderata rivalsa e vediamolo un po’ più da vicino.
Tanto per cominciare tiriamo le redini al gregge (lo so che le pecore non hanno le redini, ma non interrompete una emozione!) e centralizziamo tutto il possibile. E così qualunque atto di “particolare rilievo”, cioè in pratica tutti, dovranno avere il visto del Procuratore Generale a Roma che è anche titolare dell’azione disciplinare, con tanti saluti alla indipendenza e autonomia della magistratura.
Ma non solo, chiunque può capire l’insensata mole di lavoro che si accumulerà sul tavolo del Procuratore Generale, giusto per picconare l’efficacia e l’efficienza della Corte. E anche qui il passo per mettere il Procuratore Generale sotto l’egida del ministero della Giustizia potrà essere brevissimo in futuro, un passo alla volta. Ma rispetto al resto, queste sono davvero pinzillacchere.
La riforma introduce il silenzio assenso: dopo 30 giorni di silenzio l’atto si intenderà registrato dalla Corte dei Conti e se ci sarà un susseguente danno erariale nessuno potrà essere chiamato a rifonderlo. Tanto c’è la collettività in solido che paga.
Immaginate un progetto enorme come quello del Ponte di Messina doveva essere vagliato in 30 giorni, altrimenti si intendeva approvato, si potevano cominciare i lavori ed eventuali danni se li piangeva il popolo, magari aumentandogli le tasse. Sono fantastici, vero?
Ma i fuochi d’artificio non sono finiti. Se per caso si dovesse prospettare un danno erariale, la riforma prevede che debba essere rifuso al massimo al 30% del danno accertato e, comunque, a non più di due annualità di stipendio del colpevole. E il resto del danno, il 70% chi lo paga? Ma noi, naturalmente.
Ve li vedete i funzionari pubblici o i politici poco affidabili farsi due conti e capire se è il caso o meno di delinquere senza eccessivi problemi, o li vedo solo io?
Ora, verrebbe facile avere la tentazione di parlare di cialtroneria, di governo di incompetenti, ma sbaglieremmo di grosso. Siamo semplicemente davanti all’ennesimo tentativo di questo governo di liberarsi di qualunque tipo di controllo e di contrappeso che lo possa ostacolare, di ribadire con forza la volontà di ridurre le funzioni, l’indipendenza e l’autonomia dell’odiata magistratura, di demotivare i funzionari onesti e capaci e di dare il liberi tutti ai disonesti e, davvero non ultimo, di arrecare un danno erariale ingente e reiterato di cui dovranno farsi carico per il 70% i cittadini.
Cioè noi, casomai fosse sfuggito. E, infine, magari schivare anche il danno erariale che sicuramente c’è stato con il meraviglioso CPR in Albania, perché qualcuno prima o poi dovrà rendere conto dei milioni spesi per ospitare fino ad ora praticamente nessuno e con tanti posti a disposizione nei CPR italiani.
Buon Natale a noi.
* Coordinatrice Commissione Politica e Questione morale dell'Osservatorio
 
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