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Pro Africa, non anti-occidentale
di Laurent Luboya
Mi si rimprovera spesso di scrivere testi “troppo anti-occidentali”. Ma questa accusa dice molto di più su chi la formula che su ciò che io scrivo. Perché definire “anti-occidentale” un discorso che chiede giustizia, riparazione storica ed emancipazione per l’Africa è già, di per sé, un atto di rimozione e di difesa di un privilegio ereditato.
Ciò che più mi sconcerta è l’incapacità – o la mancanza di volontà – di comprendere il contesto storico in cui l’Africa è stata costretta a vivere per secoli: tratta, colonizzazione, saccheggio delle risorse, distruzione delle strutture politiche e culturali, e infine il neocolonialismo mascherato da cooperazione. Davanti a questa realtà, la lotta africana per la dignità, anche quando è non violenta, viene delegittimata, ridicolizzata o patologizzata. Come se reclamare giustizia fosse un eccesso, un capriccio, un rancore ingiustificato.
Ancora più grave è quando questa incomprensione proviene da donne. Perché le donne dovrebbero essere le prime a riconoscere i meccanismi del dominio. Il soggiogamento non è un concetto astratto: è una realtà vissuta sulla propria pelle. Abbiamo forse dimenticato che per secoli le donne sono state private di diritti, di voce, di corpo e persino di umanità? Abbiamo dimenticato i roghi, le cacce alle streghe, le violenze legalizzate, il silenzio imposto come norma?
Proviamo a fermarci un istante e a visualizzare una scena storica reale: una giovane donna innocente, circondata da una folla compiaciuta, bruciata viva perché accusata di essere una strega. Quella folla non era “barbara”: era europea, cristiana, convinta di essere nel giusto. Questa memoria dovrebbe bastare a rendere chiunque sensibile a ogni forma di oppressione sistemica. E invece no.
L’Occidente ama raccontare la propria storia di emancipazione femminile come un percorso naturale, quasi spontaneo. Ma la verità è che ogni diritto conquistato dalle donne è stato strappato con fatica, contro un sistema che resisteva e che ancora oggi resiste. Nonostante i progressi, anche oggi la donna occidentale continua a scontrarsi con tetti di cristallo, disuguaglianze salariali, violenze e discriminazioni strutturali.
E allora come si spiega che proprio alcune donne non riescano a comprendere la lotta degli africani contro un sistema di soprusi che dura da secoli? La risposta è scomoda ma necessaria: l’emancipazione, quando non è accompagnata da coscienza storica, genera egoismo. Si difende la propria liberazione, ma si nega quella degli altri. Si ricorda la propria sofferenza, ma si rimuove quella altrui.
Questa non è ignoranza: è selettività morale. È l’incapacità – o il rifiuto – di riconoscere che l’Africa oggi occupa, nel sistema mondiale, una posizione simile a quella che le donne occupavano nei secoli passati: sfruttata, delegittimata, infantilizzata e accusata di essere “ingrata” quando osa alzare la testa.
La lotta africana per la giustizia e l’emancipazione non ha bisogno di essere autorizzata dall’Occidente. È una necessità storica. Chi non riesce a capirlo, soprattutto conoscendo la propria storia di oppressione, non sta difendendo valori universali: sta difendendo un ordine ingiusto che continua a beneficiarlo.
 
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