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Fascisti e sovversivi
di Roberto Neri
“Noi possediamo l'elenco di oltre 3000 sovversivi. Ne abbiamo scelti 24 e i loro nomi affidati alle nostre squadre, perché facessero giustizia. E giustizia è stata fatta … (i cadaveri mancanti) saranno restituiti dal Po, oppure si troveranno nei fossi, nei burroni o nelle macchie delle colline circostanti Torino”.
Sono gli ultimi giorni del 1922 quando vengono pronunciate queste spietate parole nell’intervista rilasciata ad un quotidiano nazionale dal capo del fascio torinese Piero Brandimarte, il principale responsabile delle uccisioni avvenute il 18, 19 e 20 dicembre di quell’anno.
In quei giorni, il 20 dicembre 1922, mentre la scia di brutalità va esaurendosi, il presidente del consiglio Benito Mussolini telefona al prefetto di Torino e dichiara: “Come capo del fascismo mi dolgo che non ne abbiano ammazzato di più; come capo del governo debbo ordinare il rilascio dei comunisti arrestati”.
Sangue per le strade, squadristi intenti a setacciare case private, locali pubblici, sedi sindacali, e poi torture, esecuzioni sommarie, morti e feriti ovunque dai lungofiume ai giardini pubblici alle piazze, edifici in fiamme, e le forze dell’ordine esplicitamente comandate dalla Prefettura a non farsi vedere; avviene nelle 48 ore di rappresaglia che annichilisce Torino a causa di due camicie nere cadute in azione.
L’antefatto è una sparatoria avvenuta domenica 17 dicembre 1922, di sera. Da un caseggiato in via Nizza, assediato da un centinaio di fascisti, tre oppositori cercano di svignarsela. Fra questi il tramviere Francesco Prato, 23 anni, che viene ferito mentre si dilegua, ma colpisce a sua volta un paio di assedianti, Giuseppe Dresda, 27 anni, ferroviere, e Lucio Bazzani, 22 anni studente.
Quando la camicia nera Dresda poco dopo in ospedale si spegne, gli squadristi hanno l’occasione, con le autorità che si fanno da parte, di vendicarlo riducendo all’ordine una città finora piuttosto ostica al partito di Mussolini, l’uomo forte che da poche settimane regge il governo italiano.
Così, tra 18 e 20 dicembre si arriva a contare fino a undici assassinati, oggi elencati in una lapide apposta dopo la Liberazione di fronte alla stazione di porta Susa, dove sorgeva la Camera del Lavoro data alle fiamme durante la rappresaglia. Fonti diverse parlano di almeno quattordici morti, oltre a decine di feriti.
Tra le devastazioni spicca pure quella che investe il giornale comunista “Ordine Nuovo”, dove il direttore Antonio Gramsci, 31 anni, insieme ai suoi collaboratori viene sequestrato per ore, durante le quali è messo al muro e fucilato per finta.
Forse l’omicidio più efferato tocca all’operaio Pietro Ferrero, 30 anni, catturato, seviziato, trascinato di notte per le vie legato ad un camion e lasciato ancora vivo sotto al monumento tra corso Vittorio Emanuele e corso Ferraris; solo la tessera del sindacato, la Fiom, di cui Pietro è il segretario torinese, permetterà poi il riconoscimento del suo volto straziato.
Mentre cessa di vivere anche Bazzani, il secondo squadrista ferito in via Nizza, la vendetta colpisce perfino un consigliere comunale, Carlo Berruti, 41 anni, impiegato delle ferrovie e sindacalista, che viene preso, portato fuori città e rinvenuto poi cadavere nei campi di Nichelino.
La sera del 18 le camicie nere tornano in via Nizza e puntano sulla taverna di Leone Mazzola, abituale ritrovo di gente del popolo, “sovversivi” insomma. L’oste se ne accorge e tenta di abbassare la saracinesca ma è raggiunto da fendenti di coltello, poi freddato da un colpo di pistola.
Giovanni Massaro, uno dei clienti che intanto vengono identificati e sottoposti a perquisizione, si sfila, corre via ma viene rincorso fin dentro casa e ucciso.
Tra gli altri uccisi, Pochettino e il cognato Zurletti sono crivellati di proiettili sul ciglio di un burrone in collina, e Andrea Chiomo eliminato a colpi di clava in un parco cittadino e lasciato lì. Matteo Tarizzo è sorpreso a casa di notte nel sonno, obbligato a scendere sulla pubblica via e giustiziato con le mazze.
Anche Chiolero, giovane comunista e fattorino, e l’operaio Andreoni vengono trovati nelle proprie abitazioni; i fascisti senza dire una parola assassinano il primo con tre revolverate alla testa sotto gli occhi della consorte e della figlia che ha solo due anni.
La seconda vittima, un 24enne, alla presenza della moglie e della figlia di un anno viene massacrato di botte, poi portato in strada per il colpo di grazia. La stessa squadraccia più tardi si ripresenta a casa di Andreoni e la devasta.
In stazione di porta Nuova numerosi ferrovieri, una delle categorie più bersagliate dalle camicie nere, sono seviziati con bottiglioni di olio di ricino distribuito da un camion che, trasportando una damigiana col micidiale purgante, corre per la città a rifornire le squadracce. L’episodio sarà narrato dal benpensante quotidiano torinese “la Stampa” con sarcasmo e toni derisori verso le malcapitate vittime.
La mattina del 20 dicembre Evasio Becchio, un metalmeccanico poco più che ragazzo, viene catturato insieme ad un compagno; fucilati in riva al fiume Po, il primo muore ma il secondo resta “soltanto” ferito. Nelle stesse ore la Camera del lavoro in corso Siccardi, già danneggiata dai fascisti il giorno 18, viene dagli stessi bruciata.
A tutte le vittime si rivolgerà la reprimenda dell’esponente del fascio torinese Massimo Rocca, considerato finora un moderato, durante l’orazione funebre dei due camerati caduti che si tiene il 21 dicembre: “la rivoluzione fascista è intangibile, a questa i nemici devono cedere”.
Due giorni più tardi entrerà in vigore il decreto che cancella i crimini commessi dal movimento di Mussolini “per il bene della nazione”, e di conseguenza la strage di Torino resterà senza colpevoli; il 24 dicembre durante il consiglio comunale le due camicie nere cadute verranno commemorate dal sindaco Riccardo Cattaneo, un esponente del partito liberale, il quale, citando solo Pietro Ferrero come unica vittima della rappresaglia, esprimerà cauta ammirazione per gli irruenti assassini, ed auspicherà l’unità del paese attorno al re e al governo.
Carlo Olivieri, 59 anni, anziano prefetto di Torino in carica solo da poche settimane, verrà rimosso dal nuovo governo per tre motivi. Uno, la sua remissività durante i massacri, i quali saranno così attribuibili, di fronte alla traumatizzata opinione pubblica, più al suo immobilismo anziché ai militanti del partito fascista. Due, il suo raggiungimento dell’età pensionabile avvenuto negli stessi giorni delle scorribande.
Terzo motivo della destituzione del prefetto torinese è il giro di vite, e di incarichi, annunciato da Mussolini con un proclama la sera del 26 dicembre 1922, per favorire “l’immissione di sangue fascista nelle arterie statali”. Enrico Palmieri, 46 anni, napoletano, simpatizzante del partito che guida il governo, subentrerà così a Olivieri.
Quale principale ed effettivo responsabile degli eccidi, Piero Brandimarte (1893-1971) dopo la fine del secondo conflitto mondiale verrà condannato a sette anni di carcere per molti degli omicidi qui narrati, ma in appello sarà assolto per assenza di prove. Mantenuta la pensione di generale maturata durante la dittatura, l’impunito e mai pentito Brandimarte otterrà perfino gli onori militari da un picchetto di bersaglieri presente al suo funerale.
Nel 2022, ricorrendo il centenario della strage, la peggiore per quantità di uccisioni commessa dal fascismo prima dell’entrata in guerra, all'interno degli attuali confini italiani, la città di Torino e la provincia hanno ricordato con numerose iniziative, istituzionali e non, le persone uccise, lesionate ed oggetto di soprusi, restate tutte finora senza giustizia.
(scritto di Roberto Neri; fonti: W. Tobagi “Gli anni del manganello” ed. Impremix 2022; G. Carcano “Strage a Torino, una storia italiana dal 1922 al 1971”, Milano 1973; M. Franzinelli “Squadristi, protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922”, Milano 2003; articolo di G. Reale sul blog ereticamente.net del 7 aprile 2021; “Cittagorà” periodico del consiglio comunale di Torino del 14 dicembre 2012; B. Bartleby con l’articolo del 12 marzo 2017 in antiwarsong.org, e le edizioni del quotidiano “Avanti!” relative a quei giorni).
 
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