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Danni personali
di
Piero Graglia
Ho preso stamattina un Frecciarossa per salire a Milano e tornare poi stasera, visto che poi devo tornare per restare giovedì e venerdì. Trovo un piccolo ritardo della Freccia di 5 minuti mentre sono sul regionale da Pistoia a Firenze, poi 25, poi 30 e infine a Firenze trovo 50 minuti di ritardo. Mi rifugio nella lounge delle Frecce, un piccolo benefit correlato ai soldi che regalo a Trenitalia, e aspetto, scrivendo sul portatile, smaltendo posta di studenti e qualche lavoro d'ufficio pendente.
Intanto cresce, come è naturale, l'irritazione intorno a me, con un popolo di bella gente che alza la voce in maniera crescente contro il personale.
Difficile resistere in questi casi, perché il ritardo ferroviario è irritante tanto quanto un'attesa di mesi per un esame medico; tuttavia un SMS mi aveva informato che il motivo del ritardo era l'investimento di una persona sulla linea alta velocità, e quindi si doveva attendere il magistrato per la constatazione della scena dell'incidente, la pronuncia del decesso ecc. La solita trafila in questi casi. Mi ero quindi messo l'animo in pace e non partecipavo alla processione dei querulanti.
Non so perché quella o quelle persone investite fossero sulla linea, alla quale si accede con difficoltà se a piedi; non so se volesse o volessero rubare il rame, sabotare il traffico con qualche chiodo, fare una passeggiata, fare un pic nic col brivido e le vibrazioni o, magari, si trattasse di operai al lavoro. Però la morte di qualcuno era un fatto incontestabile.
Ho cominciato a pensare a questo "qualcuno", cercando notizie online. Nulla, troppo recente l'incidente per sperare in qualche notizia. Intanto, gli altri frequentatori di quella sala d'aspetto per "frequent travellers" si stavano scaldando alquanto, col personale che si difendeva dalle critiche e dagli improperi raccontando la versione ufficiale: c'è stato un morto, stanno attendendo il magistrato, tutti i treni vengono deviati verso la linea "lenta", già intasata di suo.
Ebbene, osservando i commenti, le posture, le reazioni, nessuno diceva una parola o mostrava un briciolo di empatia per la vittima, sconosciuta, la cui morte stava provocando tutto quel casino. Era - ed è - un effetto disturbante. La versione post-moderna del "io so' io, e voi non siete un cazzo". Se io ritardo il danno è solo mio, il mio mondo è stravolto, e poiché il mio mondo sono io, io sono il mondo intero.
Con quella complice ed egoistica condivisione dei propri interessi lesi, alcuni cercavano di attaccare discorso con me e con altri, per amplificare l'indignazione, ma quando rispondevo "beh, è morta una persona, mi pare abbastanza grave", la faccia si voltava veloce verso qualcun altro, alla ricerca di una solidarietà più condivisa e senza queste puntualizzazioni inutili: la morte di qualcuno.
Io so io, e tutto il resto può morire, che mi frega?
Mia nonna si portava le mani alla faccia quando al televisore sentiva qualche disgrazia; io sono cresciuto con un senso di colpa incredibile per il fatto che la carestia del Biafra fosse conseguenza del mio non voler mangiare il minestrone, ma al di là di questo caso esagerato, c'era empatia nelle relazioni, anche tra sconosciuti; si provava reale dolore per il Belice, per il Vajont, per il morto ammazzato per strada. Oggi tale empatia è molto meno agita e usata, ed è un impoverimento e un peccato.
Siamo freddi, cattivi e irritati. Non è bello. E mentre sono sul regionale che mi riporta a Pistoia (niente Milano per oggi, dopodomani sì) cerco nella mia testa un fiore ideale da regalare a chi è morto per sbaglio, per colpa o per distrazione, nel pieno di una generale indifferenza.
 
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