 |
Sud America: il cappio dell'imperialismo
di Gabriele Germani
Se c'è un posto che mostra chiaramente le dinamiche del sistema-mondo è il Sud America.
Qui durante tutto il '900 si è prodotta un'enorme riflessione sui rapporti centro-periferia all'interno e sempre qui hanno fatto furore esperimenti socialisti, populisti e nazionalisti di ogni tipo.
Ha giocato la vicinanza all'egemone globale (il cortile di casa), la ricchezza di risorse e -a mio avviso- anche essere un Altro occidente.
Il Sud America aveva una classe dirigente e media europea, città europee, lingue e religioni europee (almeno nella parte pubblica), ma non è riuscito ad abbandonare la trappola del sottosviluppo.
Ad oggi il dato interessante è che le città latinoamericane che a inizio '900 contavano servizi e redditi simil-europei (talvolta superiori ai paesi mediterranei), oggi sono rimaste dove erano, mentre il Sud Est Asiatico è letteralmente esploso (anche demograficamente).
Dove la differenza?
Gli argentini ci direbbero che il grande divario è nella gestione dei rapporti tra centro e periferia.
Il Sud America è rimasto intrappolato in esportazioni dal basso valore aggiunto (agricoltura, allevamento, minerali, legname).
Solo il recente Brasile lulista (al netto dei disastri di Bolsonaro) sembra aver sviluppato un piano industriale (anche al netto di condizioni di partenza molto diverse).
L'Asia orientale (dove sono presenti un significativo numero di paesi socialisti) ha spesso protetto il proprio mercato interno, formato un proprio nucleo industriale, una propria classe media e avviato un processo di rialzo del valore delle esportazioni (in pochi decenni si è passati dalle ciabatte agli smartphone).
Non è certo un caso che oggi con le elezioni in Cile, Bolivia, Argentina, i dazi al Brasile e le minacce a Venezuela, Cuba e Colombia si stringa proprio qui il cappio dell'imperialismo.
 
Dossier
diritti
|
|