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Africa–Occidente: ostilità nata dal saccheggio, con il timore di emancipazione
di
Laurent Luboya
L’ostilità dell’Europa e dell’Occidente nei confronti dell’Africa non è casuale né recente. È il prolungamento di un rapporto storico fondato sullo sfruttamento, sulla dominazione e sulla negazione della sovranità africana.
L’Occidente si accanisce contro l’Africa proprio perché questo continente gli ha dato tutto: uomini, risorse, lavoro, ricchezze, e continua ancora oggi a sostenerne il benessere sotto forme nuove ma non meno coercitive.
L’Europa si è costruita anche grazie alla tratta degli schiavi, al saccheggio sistematico delle risorse africane, al lavoro forzato e alla distruzione deliberata delle strutture economiche e sociali locali. Questo debito storico non è mai stato realmente riconosciuto né riparato.
Ammetterlo fino in fondo significherebbe accettare la responsabilità morale, politica ed economica del sottosviluppo imposto all’Africa. Per evitarlo, l’Occidente preferisce rovesciare la narrazione e presentare l’Africa come un continente incapace, instabile o dipendente dall’aiuto esterno.
Ancora oggi l’Africa rimane una riserva strategica fondamentale per l’economia globale: fornisce materie prime essenziali come uranio, coltan, petrolio, gas e terre rare; rappresenta un enorme mercato futuro e una fonte di manodopera a basso costo.
In questo contesto, l’autonomia africana diventa una minaccia. Ogni tentativo di controllo sovrano delle risorse, ogni progetto di sviluppo indipendente, ogni scelta geopolitica non allineata viene percepita come un pericolo da neutralizzare.
La reazione occidentale è sempre la stessa: pressioni diplomatiche, sanzioni economiche, destabilizzazione politica, ingerenze dirette o indirette. I Paesi africani che osano nazionalizzare le proprie risorse, mettere in discussione il franco CFA, rifiutare basi militari straniere o costruire alleanze alternative vengono immediatamente etichettati come “autoritari”, “pericolosi” o “instabili”. Non è la mancanza di democrazia a preoccupare l’Occidente, ma l’eccesso di indipendenza.
A ciò si aggiunge un profondo doppio standard morale. L’Occidente tollera dittature e violazioni dei diritti umani quando queste servono i suoi interessi, mentre invoca principi democratici solo quando diventano strumenti di pressione politica. Questa ipocrisia alimenta una narrazione aggressiva sull’Africa, utile a giustificare interventi, sanzioni e forme rinnovate di controllo.
Le migrazioni rappresentano il boomerang di queste politiche. Decenni di saccheggio, guerre per procura e imposizioni economiche hanno destabilizzato intere regioni africane. Ma invece di riconoscere le proprie responsabilità, l’Occidente presenta i migranti come una minaccia, alimentando paura e razzismo, combattendo le conseguenze senza mai affrontarne le cause.
Oggi, tuttavia, l’Africa sta cambiando. Cresce una coscienza politica, si rafforzano discorsi panafricani, emergono leadership che rivendicano sovranità, dignità e autodeterminazione. Questo risveglio inquieta profondamente l’Occidente, perché un’Africa unita, consapevole e sovrana segna la fine di secoli di rendita coloniale e neocoloniale.
In definitiva, l’Occidente non si scaglia contro l’Africa perché l’Africa ha fallito, ma perché potrebbe finalmente riuscire senza l’Occidente. E per chi ha sempre vissuto di dominio, questa prospettiva è inaccettabile.
 
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