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Un'eccezione
di
Rinaldo Battaglia *
Il 16 novembre 1919 a Wagensteig, prima periferia di Buchenbach (nel Baden-Württemberg, la Foresta Nera nella Germania meridionale, non lontano da Monaco), nasceva Erwin Dold. Suo padre era stato un ufficiale del Kaiser, tornato a casa sconfitto ma vivo dalla catastrofe della Grande Guerra.
Nel 2012, 93 anni dopo, uscì nella sua Germania un film anomalo, "Himmel und Erde" (Cielo e terra), di una grande firma del cinema tedesco quale Christian Schumacher, quello che 10 anni prima era arrivato al successo con “Sinfonia d’amore”. E che "Himmel und Erde" fosse un film importante lo si capiva anche dallo standing degli attori protagonisti: Gérard Depardieu e Matthias Schweighöfer. E raccontava proprio di questo Erwin Dold e della sua vita di ‘particolare’ lagerkommandant nazista.
Particolare e unico nella storia del Terzo Reich e di cui però in Germania – quasi 70 anni dopo - pochi ne sapevano qualcosa. Peraltro, a partecipare alla sceneggiatura vi era stato persino il vero protagonista, anche se non potrà vedere quel film, essendo purtroppo morto solo pochi mesi prima (l’11 settembre 2012).
Ma chi era stato quindi il nazista Erwin Dold?
Semplice: il comandante del lager di Dautmergen, uno dei 42.000 lager nazisti, situato sulla strada che da Stoccarda portava in Svizzera e non lontano da Monaco dove il nazismo era nato, prosperato e condiviso da tutti al massimo livello. Ma sarà anche l’unico lagerkommandant che uscirà pulito e senza alcuna condanna, nei processi che in Germania si fecero all’indomani della sconfitta nazista. L’unico.
L’unico comandante nazista di un lager ad essere assolto da un tribunale civile e/o militare sulla base della "provata innocenza".
Fu l’unico anche in quel processo, mente altri 24 imputati vennero, in quella sessione, accusati e condannati per crimini contro l'umanità. E a salvarlo, scagionandolo in toto, come da sentenza del 1° febbraio 1947, furono i suoi deportati, i prigionieri del lager, che testimoniarono numerosi e con convinta determinazione. Mai successo né in Germania, né altrove. Né prima, né dopo.
Vale la pena quindi approfondire per meglio capire la straordinarietà del nazista Erwin Dold.
Allo scoppiare della guerra, Erwin Dold aveva non ancora 20 anni e sebbene non fosse un membro del partito nazista, venne assegnato alla Luftwaffe quale pilota da caccia. Aveva studiato, proveniva da una famiglia benestante che da più generazioni gestiva una affermata azienda di legname (la segheria Dold Holzwerke a Buchenbach) che – pur non essendo apertamente nazista - si era arricchita anche grazie allo sviluppo industriale del paese dopo l’arrivo al potere del Fuhrer. Aveva le carte in regola, era capace e competente. In breve, fece carriera e venne promosso ‘sergente maggiore’. Parteciperà attivamente all’invasione della Francia, della Romania e poi nell’operazione Barbarossa contro l’URSS.
Ma nel 1942 il suo aereo sarà abbattuto in Crimea e gravemente ferito. Si salverà, ma non potrà più volare e il comando della Luftwaffe lo trasferirà così a Friburgo in Brisgovia allo staff di terra.
Eravamo nel ’43 e ogni ufficiale non poteva che esser utilizzato al meglio da Berlino. Specie se di buona famiglia e specie se originario della ‘culla del nazismo’. Eccolo quindi promosso al comando del lager di Haslach nella valle Kinzigtal e dopo la chiusura di questo nell’estate ’44, trasferito e promosso a 25 anni quale lagerkommandant del più importante campo di Dautmergen, uno dei sottocampi di Natzweiler-Struthof.
Non solo: dal 7 marzo 1945 gli fu concessa da Berlino carta bianca, perché il lager di Dautmergen – sebbene di piccole dimensioni - era basilare ed essenziale per l'estrazione di scisti bituminosi (tipo petrolio greggio), soprattutto ora che la guerra volgeva al peggio. E quel materiale serviva, eccome.
Nel lager la situazione era esplosiva, coi deportati impegnati come schiavi a lavorare per 12/14 ore al giorno a livelli disumani. Le condizioni su un terreno così paludoso, molto piovoso e con baracche prive di pavimento lo rendevano per davvero a livello infernale. Il tifo e il paratifo, inoltre, uccidevano con la massima facilità e la media di morti superava spesso le 50 unità al giorno. Tutti i prigionieri, per lo più ebrei, risultavano fortemente malnutriti, quasi tutti malati e a dir poco terrorizzati.
Quella realtà così atroce non poteva non colpire il lagerkommandant Erwin Dold: era un ufficiale del Terzo Reich, era un soldato ma decise, anche e prima di tutto, di essere un uomo. E si comportò di conseguenza, pur sapendo cosa volesse dire quello all’interno del mondo nazista. Lo conosceva bene quel mondo: vi era cresciuto fin da bambino, pur restando sempre fuori dal fanatismo e dagli eccessi tipici del periodo.
Era un uomo, anche se di soli 25 anni. E lo manifestò coi fatti.
Dapprima convocò una commissione di ispezione sanitaria per esaminare le strutture igieniche e mediche, fece trasferire in altri lager i medici nazisti che considerò inadeguati. Con la motivazione di voler non frenare la produzione non trovò blocchi o interventi contrari da Berlino. Anzi, chiese e ottenne che i prigionieri ricevessero nuovi vestiti e maggiore e più calorica alimentazione. Intervenne e fece migliorare le condizioni igieniche.
I suoi subalterni lo stimavano e si fidavano delle sue scelte. E non fu poco in quel luogo e in quel tempo.
Non solo: scelse un gruppo di prigionieri e con azioni al limite della fantasia e dell’astuzia fece procurare altro cibo e altre medicine ai prigionieri (furti in aziende agricole e case della zona). Ricorse anche alla sua famiglia e il padre gli girò più volte del denaro per ‘sfamare’ i prigionieri. E col denaro ‘cash’ qualsiasi porta si apriva. Coi vari gerarchi nazisti che lo controllavano sempre più da vicino (e non solo da Berlino) rischiò tutto, manifestando talvolta un coraggio e una determinazione inimmaginabili.
I deportati ne furono colpiti e capirono che cercava di ‘salvarli’.
La Gestapo non poté restare a guardare e negli ultimi giorni del Terzo Reich mise alla prova la fedeltà del kommandant Erwin Dold: gli ordinò tra il 5 e il 7 aprile 1945 di organizzare un plotone di esecuzione per la fucilazione di 23 ufficiali sovietici, appena presi prigionieri. Ma si rifiutò di farlo. Non era di sua competenza e non produttivo agli obiettivi del campo (i sovietici vennero inseriti tra gli altri deportati e destinati al lavoro nel lager, salvandoli così da morte certa).
Erwin Dold qui rischiò molto ma la guerra era oramai perduta e a Berlino i grandi capi avevano altri obiettivi oramai e più che alle disubbidienze del lagerkommandant di Dautmergen si preoccupavano delle difese del bunker del Fuhrer.
Prima della fine di aprile e del suicidio di Hitler, il lager di Dautmergen venne liberato dai francesi e a loro Erwin Dold spontaneamente si consegnò. Inevitabilmente venne arrestato e portato in catene davanti a un tribunale per crimini di guerra, assieme ad altri ufficiali nazisti e/o altri lagerkommandant.
Il suo processo avvenne a Rastatt. Ma nel dibattimento anziché accusare "l’imputato n. 41" – come era stato indicato - molti ex prigionieri si presentarono in sua difesa. Alcuni “emozionati e in lacrime”, altri “implorando per la sua vita e la sua libertà”, testimoniarono le molte sue azioni di umanità o i piccoli stratagemmi che permisero di limitare le morti in quel lager o a ridurre le sofferenze dei deportati. Si racconta che persino “un venerabile anziano ebreo” durante il processo abbia benedetto pubblicamente il comandante Dold e la sua famiglia.
Alcuni giudici furono sorpresi, qualcuno sconvolto, uno dei più esperti addirittura si mise a piangere. Fu un caso unico, ben diverso dal tenore di altri processi allora in corso o già avvenuti a carico di ufficiali del Terzo Reich. La sentenza del 17 gennaio 1947 ne fu la naturale conseguenza.
Poi da quel gennaio 1947, Erwin Dold uscì di scena e non si seppe più nulla fino ad un giorno dell’estate 1990 – 43 anni dopo – quando uno storico affermato, Thomas Seiterich, studiando alcuni crimini nazisti durante la Francia di Vichy non arrivò al suo caso e andò volutamente alla sua ricerca.
E così si venne a sapere – grazie anche ad un conseguente servizio per la televisione tedesca, da parte di un’altra grande firma, quale Manfred Bannenberg - che aveva proseguito con buon successo l’attività imprenditoriale della famiglia, che era rispettato da tutti, ma anche che nessuno conova quel suo passato e tanto meno nella sua Buchenbach.
La sua città lo volle premiare per quella sua umanità in un periodo atroce e con un ruolo allora alquanto difficile: dall’8 novembre 2002 Erwin Dold ne è cittadino onorario. Poi, poco prima di morire, anche il film, che portò al grande pubblico le scelte di un ufficiale nazista che al momento opportuno preferì restare “umano”. Senza perplessità, senza pensarci sopra.
Oggi noi, in Italia, viviamo una fase in cui si vuole riscrivere la Storia, in cui si vuol 'parificare' il fascismo all’antifascismo, per poter 'purificare' il primo dai crimini commessi in quegli anni vigliacchi, di violenze, leggi razziali, stragi, campi di concentramento, Carta di Verona, X Mas, M Tagliamento. Abbiamo molte vie o piazze dedicate a gerarchi fascisti e/o a megafoni della Shoah.
Credo valga veramente la pena di ricordare le scelte del comandante del lager di Dautmergen, perché è la prova certa e documentata che qualcosa di umano si poteva anche fare. E quando parlo dei campi di concentramento del Terzo Reich, mi allargo anche agli altri. Anche ai campi fascisti del Duce. Volere è potere, se si vuole.
Il lagerkommandant Erwin Dold di certo fu un'eccezione, ma le eccezioni sono fessure di luce che ti insegnano che sempre un altro mondo è possibile.
Volere è potere, se si vuole.
Se avete una via senza nome in qualche angolo di Italia, ricordatevi di Erwin Dold. Poco importa se fosse straniero, ma era un uomo. Gli altri non lo so.
16 novembre 2025 - 106 anni dopo -
Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Terza Parte” - Amazon – 2025
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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