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USA e Venezuela: la solita storia
di Nevio Gambula
In fondo, con il Venezuela gli Stati Uniti continuano a fare ciò che hanno sempre fatto: utilizzare la propria superiorità militare per orientare gli equilibri globali secondo i propri interessi strategici. Un comportamento che un tempo sarebbe stato definito senza esitazione "imperialismo", ma che oggi viene presentato come difesa del “mondo libero” o come tutela della democrazia.
Il giudizio non nasce più da principi universali, ma dall’appartenenza a una tribù geopolitica. Ciò che in un caso è etichettato come “aggressione”, in un altro diventa “intervento legittimo” ... L’imperialismo è un vizio solo quando lo praticano i nemici: se lo compie un alleato, diventa improvvisamente un esercizio di civiltà. È in questa farsa semantica che si rivela il nuovo ordine: non più il diritto, ma il branco.
Così non stupisce che gli Stati Uniti possano commettere atti simili — o peggiori — di quelli imputati alla Russia, senza che nessun altare mediatico o politico osi profanare la loro aura. Lo ha ammesso persino l’ex ambasciatore Giampiero Mascolo: «Bisogna ammettere che il double standard esiste ed è molto difficile paragonare le singole situazioni, perché ciascuna riflette un contesto specifico delle relazioni internazionali, dove non esistono buone intenzioni, ma interessi che si contrappongono o si combinano».
Insomma, condanniamo Putin per gli stessi peccati che assolveremmo a Washington, non per amore del bene, ma per la rassicurante coincidenza dei nostri interessi con i loro.
Il divario tra diritto e potere si apre come una ferita che nessuno vuole vedere. L’universalità, già moribonda, lascia spazio alla logica di clan: la legittimità non nasce da norme, ma da chi ha la forza di imporle. Che il diritto sopravviva o muoia, conta poco: ciò che decide è la potenza nuda, senza alibi.
Rimane solo il gioco brutale della potenza. La giustizia diventa un ornamento, un velo tirato in fretta per coprire l’interesse del momento. Non significa che tutto debba finire nel sangue, ma significa che il confine tra giusto e ingiusto evapora come un’illusione infantile. È l’idea stessa di una "umanità comune" a incrinarsi, come se non fosse mai stata altro che un malinteso.
E così ritorniamo a una mentalità tribale: lealtà alla propria fazione, verità sacrificata sull’altare del gruppo, ragione messa all’angolo. La polarizzazione ci restituisce all’età della clava. Nel frastuono della rissa globale, nessuno ascolta più argomenti: si cerca solo chi colpire.
 
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