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10 novembre 2025
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Il ministero della verità
di Nevio Gambula

"Basta con questa sudditanza psicologica verso cialtroni in cattedra. La libertà di opinione va rispettata, ma non la libertà di dire o ripetere le menzogne. Angelo d’Orsi non esprime opinioni, ma mente e fa il propagandista di un regime criminale." Vladislav Maistrouk

Epoca strana, la nostra — dove le sciocchezze vengono promosse al rango di posizione morale. Tutto si tiene, verrebbe da dire: in tempi di anteguerra, persino la democrazia retrocede a maschera di se stessa, facendo emergere una viscerale difficoltà ad accettarne l’essenza. Umiliazione della democrazia, ecco.

Prendiamo la frase riprodotta in immagine. L’autore assume un tono sprezzante nei confronti dei “cialtroni in cattedra”, esprimendo un forte sentimento di intolleranza. Riesce nell’impresa di presentarsi come un caso emblematico di culto della censura mascherato da difesa della democrazia, rivelando nella sua essenza una spiccata vocazione totalitaria.

È qui, in questa esposizione senza veli, che sta l’importanza di frasi come questa. L’autore si pone come oppositore di un “regime criminale”, assumendone però l’attitudine autoritaria: presuppone che la verità sia la sua e che sia indiscutibile. Di fatto, istituisce un ordine di verità in cui il proprio punto di vista acquista lo statuto di criterio assoluto. Come accade nei peggiori dei regimi, il linguaggio assume una funzione normativa: delimita il perimetro del dicibile.

È strano dover ribadire l’ovvio. Ma quest’epoca ha raggiunto un tale livello di degrado politico e intellettuale che forse vale la pena farlo. In un sistema democratico, ogni opinione — finché non configura un reato — è legittima. Non può e non deve esistere una “verità superiore”: la democrazia si nutre del confronto, e persino del conflitto, tra visioni del mondo diverse, ciascuna con pari dignità di espressione.

Non così ovvio, evidentemente, se per alcuni è preferibile ricorrere a modelli censori propri di regimi tutt’altro che democratici, negando il principio fondamentale della pluralità. A parte se stessi e chi condivide le stesse opinioni, gli altri diventano propagandisti, poveri indegni propagandisti, che non esprimono opinioni ma solo menzogne.

Eppure basterebbe poco per capire che l’architettura logica della frase è tipica della retorica totalitaria, dove la verità diventa possesso esclusivo del parlante. Non dico leggere Hannah Arendt o Ferruccio Rossi-Landi, ma almeno rileggere Orwell. Qui il linguaggio si trasforma in strumento di sorveglianza simbolica: chi non aderisce al paradigma imposto viene bollato come portatore di “menzogna” ed espulso dal consesso civile. La libertà di opinione appare nominalmente preservata, ma sostanzialmente svuotata, ridotta a concessione vincolata alla conformità.

In sintesi, l’essenza di questo meccanismo retorico consiste nel presentare l’esclusione come difesa e la censura come garanzia di autenticità. È così che il linguaggio diventa strumento di auto-legittimazione ideologica: la verità appartiene solo e unicamente al campo di appartenenza del parlante. Qui si manifesta l’attitudine totalitaria: la convinzione che la verità possa essere gestita, amministrata e distribuita secondo criteri di appartenenza.

Quando un individuo o un gruppo si erge a garante della distinzione tra “verità” e “menzogna”, la democrazia rischia di rovesciarsi nel suo opposto. Censurare le opinioni altrui non significa essere democratici, tutt’altro. L’orwelliano Ministero della Verità smette così di essere un’istituzione esterna e diventa una struttura mentale, un modo di pensare incorporato nel linguaggio stesso.


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