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I 150 figli di Marion
di
Rinaldo Battaglia *
Il 7 novembre 1920 in terra d’Olanda, nasceva una bambina molto vispa e carina. Di famiglia protestante, figlia di un affermato e benestante giudice, venne indirizzata sin da ragazza nelle migliori scuole di Amsterdam.
Ma a 22/23 anni aveva ufficialmente, stando ai dati anagrafici, 150, o forse più, figli. Sì 150 figli, peraltro tutti di piccola età.
Di nome faceva Marion van Binsbergen. Una vita normale, normalissima fino al 1941, fino ai 20 anni, quando venne arrestata dai nazisti, padroni indiscussi allora del paese invaso, per aver violato un coprifuoco.
Ma il ‘clou’ lo raggiunse, quasi casualmente, l’anno successivo. Fu presente ad una delle tante retate di ebrei. Vide le S.S. picchiare donne e anziani, bambini presi e buttati come pacchi postali su dei camion, piccoli anche di 2 o 3 anni tirati per i capelli, mamme prese a calci perché non volevano separarsi dai figli, caricati su altri furgoni. Pochi giorni dopo, stesso film davanti ad un orfanotrofio.
Cos’era questo? Perchè?
Cosa poteva lei fare?
Lo scriverà nelle sue memorie:
"Ero scioccata e in lacrime, e dopo ho capito che il mio lavoro di salvataggio era più importante di qualsiasi altra cosa potessi fare".
Fu lì che decise di diventare donna: si mise in contatto con la resistenza olandese, si rese disponibile a ruoli di spionaggio, collaborò con chi cercava di salvare le famiglie ebree, procurava cibo, abbigliamento e soprattutto documenti falsi.
Fu così che iniziò a registrare molti bambini come propri figli e a lasciarli in affidamento momentaneo a famiglie olandesi, conosciute anche tramite le amicizie del padre. Con molto amore materno, ma anche con forte determinazione.
Nell’estate ‘44 era riuscita a nascondere nella cantina di una famiglia amica a Huizen, fuori Amsterdam, l’intera famiglia di Fred Polak, un famoso intellettuale ebreo, coi suoi 3 bambini piccoli.
Ma anche l’Olanda era, come l’Italia fascista e sporca, piena di delatori sul libro paga dei nazisti. Un giorno arrivò una pattuglia di S.S. accompagnati da una spia, un ‘Mauro Grini’ olandese, ma malgrado la sorpresa, Marion, casualmente presente, riuscì a mantenere salvo il nascondiglio.
Non soddisfatto, forse perché era a rischio la sua provvigione, il delatore ritornò, da solo e un’ora dopo, in quella casa, scoprendo tutto: Marion non esitò e lo uccise all’istante, consentendo la fuga della famiglia ebrea, verso nuovi nascondigli e salvando tutti loro dalla Shoah, come poi avvenne. Il cadavere invece fu inserito in una bara, dove vi era già un altro defunto, e sepolto in quel funerale e così anche pianto da persone sbagliate.
A guerra finita si occupò, per la nascente ONU, del soccorso e ‘recupero fisico e morale’ dei deportati nei lager nazisti. Fu in una di queste occasioni che conobbe un ufficiale americano, Anton “Tony” Pritchard, che sposerà, trasferendosi nel 1947 negli USA. Riprese gli studi, si laureò come psicoanalista, sempre dedicandosi all’attività di ‘recupero’ sociale di bambini disagiati e nel sostegno o all’assistenza dei rifugiati ebrei negli Stati Uniti.
Sembrò uscire dalla scena, ma nel 1981, oramai in pensione, venne chiamata a sorpresa a Gerusalemme.
E lì, i suoi 3 figli naturali scoprirono che ben prima di nascere avevano avuto almeno altri 150 fratelli, 150 bambini che rivendicavano come Marion fosse anche la loro mamma. Grazie alle sue cure si erano salvati e, gran parte, poi emigrati in Israele. Ora, con indubbio merito, la premiavano con l’onorificenza di ‘Giusto tra le nazioni’, il massimo riconoscimento per una persona non di religione ebraica.
Fu il susseguirsi di ulteriori riconoscimenti, anche dal Centre Simon Wiesenthal e lauree ‘honoris causa’ per la sua attività nell’Olocausto. Quando morì, nel 2016, aveva 96 anni, tra il dolore di tutti i suoi numerosi, numerosissimi figli, presenti in quasi tutti i continenti.
7 novembre 2025 – 105 anni dopo – Rinaldo Battaglia
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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