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28 ottobre 2025
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Ibrahim Traoré per il rinascimento africano
di Laurent Luboya

Dal genio perduto alla riconquista di dignità

I nostri antenati hanno costruito meraviglie che ancora sfidano l'intelligenza umana.

Costruivano piramidi senza macchinari, mappavano stelle senza telescopi, società organizzate dove conoscenza, giustizia e sacro camminavano insieme.

Gli Egiziani, i Dogons, i Nok, i Maliani di Timbouktou o i Beninesi del regno di Abomey erano i testimoni viventi di un'Africa che pensava, creava e credeva in se stessa.

Oggi però contiamo cosa dovremmo inventare. Noi consumiamo ciò che gli altri producono. Ammiriamo ciò che abbiamo ispirato una volta. Allora, cos'è successo?

Rompere il filo della conoscenza

La colonizzazione non era solo un possesso di terre ma una confisca di menti.

La scuola coloniale ha trasformato i creativi in popoli imitatori.

Ci hanno insegnato ad ammirare i nostri oppressori e a disprezzare i nostri antenati.

Ci hanno fatto credere che i nostri dei fossero idoli, che le nostre lingue fossero inutili, che il nostro pensiero fosse primitivo. E alla fine abbiamo dubitato della nostra intelligenza.

Questa alienazione mentale è il più grande dramma dell'Africa. Perché un popolo che dubita di se stesso diventa il custode dei sogni degli altri.

Le nostre istituzioni moderne sono progettate per gestire, non per creare.

Le nostre università riproducono modelli stranieri, disconnessi dalle nostre realtà.

Le nostre élite cercano riconoscimenti a Parigi, Londra o Washington, invece di cercare una soluzione ad Abidjan, Ouagadougou o Kinshasa.

La ferita dentro e il significato perso

Ma la vera domanda non è perché siamo caduti.

Stiamo capendo perché non possiamo rialzarci.

Non è mancanza di risorse: l'Africa è piena di oro, diamanti, coltan, intelligenza.

È mancanza di fiducia e consapevolezza.

I nostri antenati hanno progettato la conoscenza come un atto di comunione con il mondo vivente. Per loro scienza, arte e spiritualità non si opponevano: si univano per servire la vita.

La modernità ha separato la scienza dal senso. Ha fatto della conoscenza uno strumento di dominazione, non di liberazione.

Rinascere, per l'Africa, non è tornare indietro: è conciliare rigore scientifico con saggezza ancestrale, progresso materiale con verità spirituale. È trovare quel sacro legame tra pensiero e vita, tra creazione e memoria.

Il risveglio — nella mente di Ibrahim Traoré

"Fratelli e sorelle dall'Africa, Ci hanno fatto credere che pensare fosse copiare.

Ci è stato detto che creare era impossibile.

Eppure i nostri antenati, senza satelliti o computer, hanno costruito civiltà che sfidano ancora i secoli.

Cosa è cambiato? Non è la nostra intelligenza.

Questa è la nostra mentalità. Abbiamo colonizzato le nostre menti più che le nostre terre.

Oggi i nostri figli recitano teorie in lingue che non conoscono, per risolvere problemi che non sono loro.

È ora di rompere questa dipendenza mentale. L'Africa deve ritrovare dignità, fede, missione.

Se i nostri antenati potevano allineare i templi al movimento delle stelle, perché non potremmo inventare la nostra tecnologia?

Non sono gli aiuti esterni a salvare l'Africa, ma l'orgoglio interno.

L'indipendenza non è una bandiera. È un atteggiamento.

Inizia il giorno in cui un giovane africano osa dire: "Non ho bisogno di imitare, so inventare.”

Per una rivoluzione cognitiva e spirituale

La rinascita africana non verrà da un uomo, un partito o uno stato. Verrà da un cambiamento di mentalità collettivo: Riabilitare le nostre conoscenze endogene, lingue, filosofie.

Riformare l'educazione affinché impari a pensare, non solo a ripetere.

Investire nella ricerca, nella creatività e nell'unità.

Ripristinare la dignità del lavoro intellettuale africano.

Poiché il giorno in cui l'Africa smetterà di cercare conferme dall'Occidente, tornerà a diventare un centro di civiltà.

E quel giorno i nostri figli potranno dire: "Eravamo, siamo, e saremo i costruttori del mondo.”


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