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25 ottobre 2025
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D'Agostino della Sumud Flotilla racconta e riflette sulla sua esperienza
a cura di Gabriella De Boni *

Riportiamo il racconto di Lorenzo D'Agostino, reduce dal viaggio con la Sumud Flotilla, il cui equipaggio, lui compreso, è stato prelevato in acque internazionali dalle forze di Israele e detenuto in condizioni precarie e abusive.
Da quella esperienza Lorenzo fa scaturire una riflessione sull'apartheid di casa nostra, quello che non tutti conosciamo o riconosciamo, e sull'importanza di mobilitarsi.
Perché le mobilitazioni popolari possono avere potenza, e l'urlo solidale della folla può salvare vite e può cambiare il mondo. Dobbiamo solo crederci, e farlo.


Io ultimamente mi sono fatto 48h di carcere in Israele e questa cosa ormai la sapete tutti.

Per questo vi voglio raccontare un'altra storia di cui invece sicuramente non avete sentito parlare, con questa premessa: la cosa più infame che ci hanno fatto questi in Israele è stata lasciare tutti senza farmaci. Io avevo un compagno di cella turco a cui le guardie avevano spezzato il braccio, e lui lo hanno lasciato senza antidolorifici, poi c'era un signore anziano iperteso, un ragazzo epilettico... tutti senza medicine.

E per questa cosa noi a un certo punto abbiamo iniziato a fare un casino infernale: battere sulle porte, cantare e gridare "dateci le medicine", e ci siamo resi conto che le guardie, per quanto tentassero di tenerci buoni aizzandoci i cani contro, puntandoci i fucili...non ci avrebbero fatto del male fisicamente. Perché? Perché appena noi siamo stati sequestrati dai soldati israeliani le piazze di tutta Italia hanno iniziato a riempirsi in maniera spontanea nel cuore della notte di gente che usciva di casa per chiedere la nostra protezione. E noi questa cosa la sapevamo perché l'avevamo vista fino a poco prima di essere rapiti.

Poi il giorno dopo ancora manifestazioni, il 3 ottobre un milione di persone in piazza a Roma... e quando siamo tornati in Italia in aeroporto c'erano giornalisti che volevano conoscere ogni dettaglio dei maltrattamenti che avevamo sofferto in carcere, mi sono trovato la mia foto sul giornale, ed hanno iniziato ad invitarmi ad eventi pubblici, ad assemblee, in tutta Italia perché le persone volevano appunto farsi raccontare delle terribili infamità commessi dagli israeliani.

Uno dei primi eventi lo faccio a Napoli in una piazza con centinaia di persone in solidarietà con la Palestina, e fra queste c'era la portavoce di un collettivo di migranti e rifugiati, che il giorno dopo mi scrive e mi dice:

"Sai, ieri praticamente durante il nostro evento, un nostro amico del collettivo, un ragazzo di 27 anni che si chiamava Alhagie Konte è morto mentre si trovava in ospedale in stato di detenzione, dove l'avevano portato dal carcere di Poggioreale dopo che lui, per giorni e giorni, aveva chiesto cure perché si era ammalato di tubercolosi, era stato ignorato, non era stato portato in ospedale finché non si è trovato in condizioni critiche, ma a quel punto non c'è più stato niente da fare, malgrado le proteste per giorni dei compagni di cella."

Insomma, niente: se n'è andato così. Questo è un ragazzo di dieci anni più giovane di me che è finito dentro per un episodio di piccolo spaccio, aveva una brevissima pena da scontare che invece si è trasformata in una condanna a morte.

E la portavoce mi dice: "Tu che fai il giornalista e ora hai anche un poco di visibilità, aiutaci a far parlare di questa storia perché noi vogliamo chiedere giustizia."

Io le ho detto "vabbè, vediamo cosa possiamo fare", però io dentro di me, ero molto...sono molto scettico sulla possibilità realmente di far esplodere questa storia, perché se noi l'apartheid in casa degli altri, piano piano, stiamo imparando a riconoscerla, l'apartheid in casa nostra non la vogliamo vedere.

E io questa cosa ce l'avevo in mente perché il 30 settembre, il giorno prima che mi sequestrasse ro gli israeliani, c'era già stato un altro caso così, praticamente identico di un ragazzo, anche lui morto in galera, a Caserta, dopo essere stato arrestato e sedato, morto quindi nella custodia, nelle mani dello Stato.

Io avevo condiviso nelle mie storie questa notizia con una piccola didascalia: "ucciso dallo Stato" a cui una persona che mi segue mi ha risposto subito dicendo, in perfetta buona fede peraltro: "Non dire così, ucciso dallo Stato, perché così nuoci alla causa Palestinese su cui ora noi ci dobbiamo concentrare, perché vi attaccheranno, ti esponi a delle critiche.

Io ho risposto: "Guarda che la causa è la stessa, ed è la lotta contro l'apartheid. E molte persone queste cose non le vogliono sentire; cioè dicono "no, ma come fai a comparare ciò che succede in Palestina a come noi trattiamo gli immigrati. Ed è vero che c'è sicuramente una differenza di scala, di misura, però la sostanza è la stessa.

E se non mi credete sentite questa storia.

Una notizia che è girata molto nell'ultimo mese sulla questione israeliana: il fatto che nei pacchi di aiuti mandati attraverso i canali ufficiali, quelli che secondo il governo la Flotilla avrebbe dovuto utilizzare, Israele faceva rimuovere i cibi troppo zuccherini, troppo calorici, con la giustificazione esplicita di non dare troppa energia ai bambini, e questa cosa è sembrata a tutti ovviamente mostruosa.

Però questa cosa a me ne ha portata alla memoria un'altra, ed è un ricordo che ho io del 2017, quando una volta mi imbarcai su una nave di salvataggio Open Arms. All'epoca le ONG e la guardia costiera , per assurdo che possa sembrare oggi, collaboravano, quindi quando una nave di una ONG faceva un salvataggio, poi la guardia costiera italiana si prendeva i naufraghi a bordo, li portava in Italia in maniera tale che la ONG potesse continuare a pattugliare il Mediterraneo.

E durante uno di questi trasbordi la guardia costiera si accorge che l'equipaggio di Open Arms aveva appena servito un pasto completo con del riso, con delle verdure alle persone tratte in salvo, e gli ufficiali si arrabbiarono, si innervosirono, dicevano "ma come, gli date da mangiare un pasto completo? Noi gli diamo solo mezza barretta energetica a testa per tenerli con le energie basse, perché noi dobbiamo evitare ribellioni a bordo".

Così dissero, e questa era anche l'epoca in cui Salvini accentrava tutta la sua campagna elettorale sull' immigrazione, quindi quando queste persone raggiungevano terra stremate, dopo un lungo viaggio per mare, con le calorie tenute basse appositamente dallo Stato Italiano, si trovavano pure Salvini che si andava là all'hotspot di Lampedusa, a fare le passeggiate, a farsi i selfie, i video, dicendo "guardate questi clandestini, il degrado, eh..." eccetera eccetera...

... che è esattamente nello spirito la stessa cosa che ha fatto il ministro genocida Ben Gvir quando noi siamo arrivati sotto sequestro al porto di Ashdod in Israele, e lui anche è venuto lì con le telecamere a riprenderci mentre noi eravamo in un momento di debolezza estrema e di grande vulnerabilità per dire "terroristi, noi ora questi adesso li rinchiudiamo", eccetera eccetera... i video forse li avete visti,

... e se questi parallelismi li ritenete un po' estremi pensate invece ad una cosa concreta come le tecnologie che lo tengono in piedi questo stato di apartheid e che sono le stesse in Europa e in Israele: i droni per esempio che sono gli stessi che Frontex, la guardia costiera europea, usa per individuare i balconi di migranti e farli arrestare e riportare nei lager libici sono droni israeliani testati nella sorveglianza e nello sterminio dei palestinesi.

Oppure Paragon, il famoso programma spia per intercettare i cellulari, Israele lo produce e il governo italiano lo compra per sorvegliare persone come David Yambo, un attivista sudanese per i diritti di migranti e rifugiati, o per esempio Luca Casarin e le altre persone dell'ONG di salvataggio Mediterranea.

Ora siccome per fortuna siamo molto lontani in Italia dal livello genocida che si è raggiunto in Israele, però si è sulla stessa china, la buona notizia è che noi questa china la possiamo ancora intercettare, possiamo ancora fermare questa deriva, e abbiamo scoperto con la storia della Flotilla di avere un potere con le mobilitazioni popolari anche di proteggere persone che stavano, come noi, nelle prigioni israeliane.

Allora questo potere usiamolo anche in Italia: il collettivo di cui Alhagie Konte faceva parte ha organizzato per questo sabato 25 di ottobre davanti al carcere di Poggioreale un presidio di solidarietà, loro dicono per chiedere giustizia e verità per Alhagie e per tutti i dimenticati dello Stato. Andateci, andiamoci direi, se io fossi fisicamente a Napoli, cosa che non potrò fare.

Sicuramente non ci saranno, insomma, i milioni di persone che hanno riempito le piazze in solidarietà con la Palestina, ma da qualche bisogna pur cominciare.


* Coordinatrice Commissione Accoglienza e Integrazione dell'Osservatorio

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