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18 ottobre 2025
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Gaza: un altro mondo
trad. di Antonella Salamone

Sami Abuomar:

Quando esci dalla tua tenda a Gaza, non stai camminando per strada, ma stai entrando in un'altra era. È come se fossi uscito da una macchina del tempo rotta, catapultato in un tempo che non ha alcuna somiglianza con il presente e che non riconosce il futuro. Tutto qui sembra il residuo di un vecchio sogno, un sogno incompiuto o un incubo mai finito.

Il mezzo di trasporto? È chiamato mezzo di trasporto solo metaforicamente. È un veicolo che geme sotto il peso della strada, e con esso le nostre schiene, i nostri fianchi e persino la nostra pazienza. Un viaggio che dura pochi minuti nelle terre altrui richiede tempo aggiuntivo, ulteriore dolore e forse ulteriore preghiera.

I volti? Non sono solo volti. Sono mappe di fatica, di polvere, di stupore. Volti come se fossero appena emersi da una tempesta di sabbia, o da una scena secondaria di un film sulla resurrezione. Nessun sorriso, nessuna sorpresa, solo sguardi imbronciati, come in attesa di qualcosa che non arriverà mai.

Le strade? Non sono strade, ma spazi sterrati che respirano polvere e sputano fuori tende. Tutto qui è una tenda. La farmacia è una tenda, il negozio è una tenda, la casa è una tenda, persino il sogno è una tenda. La tenda non è un riparo, ma un'identità. La scena della tenda è l'unica scena che non cambia mai. I dialoghi? Ripetitivi, simili, come se fossero conservati in una memoria collettiva che non conosce rinnovamento.

"Quanto costa un sacco di farina?" "I noodles istantanei costano poco?" "Dov'è la moschea bombardata?" La valuta è consumata, come se riflettesse la nostra condizione. L'assistente dell'autista la solleva verso il sole, alla ricerca di una validità perduta, un valore che non esiste più.

Arriviamo alla clinica e troviamo l'intera città ad aspettarci. La clinica è una tenda, lo studio medico è una tenda e l'attesa è una tenda di pazienza infranta. Nessuno chiede informazioni sulle cure, perché la malattia qui non è solo nel corpo, ma nella sceneggiatura stessa.

Chi ha scritto questo film? Chi ha deciso che avremmo vissuto in una scena da film horror? Dove sono le telecamere? Dov'è il regista? Chi sei? Chi siamo? Nessuno risponde. Solo un silenzio denso e uno stupore costante, come se stessimo vivendo in una scena infinita.

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