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16 ottobre 2025
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Il buon samaritano
di Rosa Rinaldi

Il Buon (anzi il Cattivo, dipende dai punti di vista...) Samaritano.

Tra le richieste di rilascio da parte di Hamas riguardo ai detenuti palestinesi (gente che - ricordiamolo viene definita "terrorista" in base ad una categorizzazione imposta dall'occupante) c'è anche un ebreo: Nader Sadaqa, originario del monte Garizim, Nablus, dove ancora vive una antica comunità ebraica: quella dei Samaritani.

"Il caso di Nader è davvero unico. Si è rifiutato di vivere entro i confini settari dell'appartenenza religiosa e ha scelto di accettare il peso della lotta palestinese come parte di sé e della sua identità" ha dichiarato ad Al Jazeera Muthaffar Dhuqan, coordinatore del Comitato nazionale di sostegno ai prigionieri di Nablus.

Quando scoppiò l'Intifada di Al-Aqsa nel 2000, Nader decise di unirsi a pieno titolo al FPLP e in seguito divenne comandante della Brigata Martire Abu Ali Mustafa a Nablus.

La sua caccia da parte dell'esercito israeliano durò quasi due anni, finché non venne arrestato nell'agosto del 2004 durante un'operazione militare nel campo profughi di Ain.

Durante l'interrogatorio nel centro di detenzione di "Petah Tikva", uno dei più brutali in Israele, è stato sottoposto a torture fisiche e psicologiche, ma si è rifiutato di confessare e fare i nomi dei suoi compagni.

Un tribunale militare israeliano l'ha poi condannato a sei ergastoli consecutivi: più 45 anni di carcere, per 35 capi d'accusa tra cui la pianificazione di attacchi contro obiettivi militari israeliani.

In carcere è diventato il simbolo della lotta contro l'occupazione, al di là del settarismo religioso.

"Nader ha vissuto e sperimentato le stesse sofferenze del suo popolo. È diventato parte integrante del tessuto nazionale palestinese, proprio come gli stessi Samaritani si considerano parte fondamentale di questa nazione", ha affermato Dhuqan.

Anche la famiglia di Nader è sotto pressione. Le autorità israeliane hanno proibito loro di fare celebrazioni o rilasciare dichiarazioni ai media.

La madre si è rifiutata di essere intervistata perché avrebbe ricevuto minacce dirette se avesse parlato del figlio. Che purtroppo non potrà più abbracciare, perché Israele l'ha esiliato in Egitto.

Dopo due decenni di prigione, Nader Sadaqa torna come simbolo di fermezza, non solo per la Palestina, ma per il mondo intero che crede che la vera identità risieda nell'umanità e nel coraggio di resistere all'oppressione, al di là di ogni confine religioso, etnico o settario.

"Ha dimostrato che l'amore per il proprio Paese non conosce limiti. Durante i suoi vent'anni dietro le sbarre, è rimasto un combattente intellettuale esemplare che ha unito il popolo palestinese negli ideali di libertà e dignità", ha affermato Dhuqan.

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