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Udine per la Palestina... nonostante la partita
di Dianella Pez
La partita “della vergogna” del 14 ottobre a Udine non si sarebbe dovuta giocare: più di 800 atleti palestinesi non possono più giocare e competere perché uccisi da armi israeliane negli ultimi due anni, i bambini e le bambine palestinesi non possono giocare perché uccise, mutilate, denutrite, impaurite.
A nulla sono valse le proteste di una comunità intera, e non solo udinese, che si sono susseguite in questo periodo nei presìdi anche davanti alla Prefettura. Evidentemente i diritti del calcio valgono più della giustizia che un popolo vessato da decenni non conosce e reclama, e noi con lui.
La manifestazione oceanica del 14 ottobre ha posto al centro proprio la giustizia, rappresentata da una enorme statua semovente costruita collettivamente, assieme all’immenso lenzuolo bianco di morte su cui uomini e donne della Carnia hanno impresso tutte le migliaia di nomi dell’infanzia trucidata.
La partita ha calpestato le istanze di giustizia, così come sta facendo il nostro governo complice perché incapace di riconoscere lo Stato di Palestina, e intenzionato a non agire attraverso l’interruzione dei rapporti diplomatici, di ricerca, economici, commerciali in particolare in dispositivi bellici con lo Stato genocida d’Israele.
La manifestazione ha rappresentato tutte queste istanze, esprimendosi con la lingua della gioia che pur parla al dolore, della danza che parla alla prigionia, della musica capace di atterrare dove si sentono solo spari, aerei, esplosioni, del sorriso capace di sovrapporsi al pianto, della forza di una collettività intera contro la solitudine in cui la guerra precipita.
Il corteo ha visto schierati in testa il comitato per la Palestina, le persone prive di sigla, le comunità palestinesi, i soggetti aderenti, i gruppi di donne con i loro striscioni, tutte abbracciate in una aspirazione comune verso quel “siate umani” che sembra dimenticato. Bellezza e intensità hanno marciato assieme, come grazia e rabbia, quella rabbia legittima che conosce bene, fermandosi, il limite che la distingue e separa dalla violenza.
I provocatori violenti, ancorché infinitesimi in numero e totalmente estranei al corteo ed al suo spirito, hanno provato a sporcare la manifestazione creandone una in proprio, mettendo la loro impronta al termine, nella Piazza Primo maggio: comodi lacchè di quella stampa che li ha posti al centro della propria comunicazione, funzionale a quella politica che senza vergogna difende l’indifendibile, l’orrore.
È facile muovere lo scandalo davanti alle immagini di idranti e fumogeni, è un cortocircuito immediato, esattamente come lo è la guerra, più facile rispetto alle strategie più lente e meno giocabili sul piano della propaganda, che sono quelle basate su dialogo, diplomazia, risposta non violenta, resistenza con strumenti non armati, quella che le Flotille ci stanno insegnando.
Così si nasconde il vero scandalo che è la non vita che da decenni vive il popolo palestinese, discriminato, richiuso in un “carcere a cielo aperto” e infine barbaramente colpito. Lo scandalo di una tregua e di un piano trumpiano coloniale scambiati per pace.
Non giovano alla Palestina questi episodi finali (né chi li difende e diffonde) che hanno l’obiettivo di distruggere, calpestandolo, il senso della manifestazione e l’impegno di chi vi ha partecipato, provocando alla fine la reazione delle forze dell’ordine.
È stata una reazione sproporzionata? Si stabilirà. Bravo è stato il servizio d’ordine del Comitato organizzatore, che ha saputo frapporsi isolando in parte questi soggetti estranei.
Un caldo ringraziamento va rivolto al Comitato stesso, non solo per la protezione delle persone e dell’intero spirito della manifestazione durante tutto il percorso del corteo - accolto da una folla che lo ha ancor più ingrandito mentre procedeva - ma soprattutto per aver approntato una organizzazione impeccabile nella scelta delle parole degli striscioni, nell’accoglienza di ogni partecipante, fornendo un servizio di punto viola medico per qualsiasi necessità di salute e controllando puntigliosamente che la marea umana arrivasse in porto con tutta la sua energia di pace.
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