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Tu che ne sai del campo di Renicci?
di
Rinaldo Battaglia *
Il 10 ottobre 1942, a Renicci, vicino alla stazione di Anghiari, verso Arezzo, divenne a tutti gli effetti operativo il più grande ed esteso dei campi di concentramento fascisti sul territorio oggi italiano (come noto Rab/Arbe oggi è nello Stato di Croazia).
Si ribadisce: campo fascista non nazista. Diamo a Cesare quel che è di Cesare e al Duce quel che è del Duce. Non nascondiamo le giuste 'matrici', per favore!
Anche se in Italia pochi, pochissimi ne sanno qualcosa.
Creato da Mussolini ufficialmente il 7 aprile ‘42, Renicci non era però ancora completato ad ottobre e l’inverno – uno dei più freddi del secolo – i deportati lo passarono in semplici tende da campo.
Gran parte dei disgraziati venivano da altri campi, per cui non avevano vestiti o indumenti protettivi. Renicci del resto deriva dalla parola ‘rena’, la rena del Tevere, sempre bagnata e umida. E d’inverno non mancava mai la nebbia, a quel tempo.
I moltissimi, moltissimi morti furono dovuti soprattutto al freddo e ovviamente alla fame. E tra questi, in prima fila, i prigionieri con motivazioni repressive, che per disposizioni precise e volute dovevano essere “affamati”. Era una delle gloriose direttive del glorioso Duce.
Qualcuno per la fame si arrampicava sulle querce, mangiava le ghiande come i maiali, ma a differenza dei maiali poi moriva per i forti dolori allo stomaco. Non si riusciva a digerirle, dopo mesi di astinenza.
E i nostri soldati di guardia lasciavano fare.
Furono complessivamente 9.000 i deportati, di cui 3.900 civili jugoslavi, dai 12 ai 70 anni, catturati soprattutto a Podhum (totalmente distrutta dai fascisti di Fiume, agli ordini di Temistocle Testa, il 12 luglio ‘42) e nelle loro terre dalmate, ma anche a Zara e Lubiana, dove dal marzo’42 i gen. Roatta e Robotti avevano trasformato la capitale slovena nel più grande campo di concentramento mai esistito al mondo, coi suoi 41 km di filo spinato.
Tutti crimini che poi porteranno anche al crimine delle foibe.
Crudeltà su crudeltà.
Molto crudeli in generale le condizioni e la gestione da perfetto nazifascisti del comandanti col. Giuseppe Pistone («brutto dentro e fuori» qualche deportato ha lasciato scritto) e dei suoi bracci destri, col. Fiorenzuola e Maggiore Rossi.
Contadini del posto, molti anni dopo, ricorderanno che nel campo nel primo periodo non c’era nemmeno la cucina. Arrivavano solo patate e cavoli dalle campagne vicine di Selci e Pistrino con cui si faceva una brodaglia, neanche degna dei maiali. Eppure si lottava per essa, come per i torsoli e le bucce di patata. Almeno in qualche altro campo (come a Perdasdefogu) c’erano capre e fagioli. A Renicci neanche quello.
Ogni giorno ne morivano a decine e coi camion si portavano i cadaveri in una delle tante fosse comuni, site a Micciano e ad Anghiari.
Ogni giorno camion di morti. Camion di morti.
Sebbene creato in un querceto per meglio nasconderlo, le informazioni sulla crudeltà delle condizioni dei deportati giravano in zona. Se ne interessò la Croce Rossa italiana e la Chiesa toscana che nel febbraio ‘43 mandò in visita il nunzio apostolico, monsignor Francesco Borgoncini Duca, molto legato a Pio XII e suo collaboratore già ai tempi dei Patti Lateranensi.
In virtù anche di questo, con la primavera ‘43 si completarono le baracche in legno e in genere migliorarono le condizioni dei deportati. Cominciarono ad arrivare i primi pacchi dalla Croce Rossa e così qualche disperato poteva ora scambiare una sigaretta con qualche contadino del posto, in cambio di tutto. Si diceva che molte richieste riguardassero le foglie del tabacco, perché il tabacco – si sa – fa sentire meno il morso della fame.
Dopo il 25 luglio ‘43 vennero mandati a Renicci anche ex prigionieri politici antifascisti, prima a Ventotene, Gaeta e Ponza in attesa di essere nuovamente giudicati dal nuovo regime post-Mussolini. Da Ventotene soprattutto, a quel tempo diretta con la massima violenza dal giovane neanche trentenne Marcello Guida, pupillo del Duce e destinato poi a grande carriera. Sarà lui nel 1969 a dirigere le indagini sulla Strage di Piazza Fontana a Milano e forse qualcuno capirà perché furono incolpate le persone sbagliate (Valpreda, Pinelli) e non i veri colpevoli, i neofascisti Freda, Ventura & C.
Misteri dell’Italia nuova, ancora molto vecchia. Misteri dell’Italia democristiana, ancora molta fascista.
Renicci con Badoglio – dopo il 25 luglio ‘43 - riprese il vecchio nome e lo si ribattezzò “il campo n. 97”.
Tutto peggiorò dopo l’8 settembre, quando il Comandante Pistone non riuscì più a controllare la situazione e d’accordo col Prefetto di Arezzo cercò di trasferire i prigionieri italiani più politicizzati e più antifascisti. Ma tutto precipitò la settimana dopo, sabato 14 settembre, quando forse temendo l’arrivo dei tedeschi, comunque già in zona, i soldati di guardia scapparono come ladri, lasciando incustoditi i prigionieri.
Fu così una fuga generale di disperati verso le campagne, verso il fiume, verso le case dei contadini del posto, che non riuscirono subito a capire come degli scheletri, tenuti in piedi dai pidocchi, restassero ancora vivi.
Il prof. Daniele Finzi, che di recente ha molto studiato il caso Renicci, parla di famiglie affamate che sfamavano dei morti di fame, parla di gesti di totale disperazione, parla anche di contadini affamati e di sfollati che assaltavano le baracche del magazzino del campo, per prendersi loro quel poco che rimaneva di scorte. Il lardo, del formaggio, ma anche i vestiti delle guardie scappate, persino i mattoni delle baracche. Tutto veniva preso e nascosto.
«Era come se un ladro rubasse ad un altro ladro».
Sono parole di Elvio Papini, Stucco per gli amici, poco più che ragazzo di Anghiari a quel tempo e che visse da contadino del posto la storia dei disperati di Renicci. La fame in quel periodo e in Italia non era solo dentro i campi di concentramento.
Il Comandante Pistone, da buon fascista, si era già impossessato della cassa ed era fuggito in auto verso la vicina Campulla e subito dopo raggiunse il convento di Montauto, dove si nascose. La scuola del Fascio aveva veramente bene insegnato, nelle prime lezioni, come e dove scappare. Non sarà il primo, né l’ultimo e neanche il più famoso. Altrove, qualcuno coi conventi farà delle fortune, nel silenzio assordante del Vaticano.
A sistemare le cose arrivarono i soldati della Wehrmacht, che in pochi giorni rimisero in funzione il campo, con i vecchi e nuovi deportati. Fino all’arrivo degli Alleati sul finire dell’estate ‘44, quando saranno proprio gli Alleati a usare Renicci coi loro rispettivi prigionieri. Dio volle che a guerra finita, a fine aprile ‘45, il campo morisse per sempre, dopo aver cambiato padroni e prigionieri.
Solo dal 2009, all’interno dell’area dove era situato il campo di concentramento, sorge un piccolo, piccolissimo parco alla giusta memoria.
E che memoria sia.
A noi restano di Renicci solo poche parole e tanto dolore e tanta amarezza per la scarsa generale conoscenza.
Chi di noi ne ha mai sentito parlare?
Tu che ne sai del campo di Renicci?
Parafrasando una vecchia canzone di Battisti e Mogol.
Avete visto film, documentari sui 9.000 deportati di Renicci, foto sui camion carichi di morti, vie dedicate ai martiri di quel campo?
Io mi ricordo invece - in un clima generale di beatificazione del fascismo - vie dedicate ad Almirante o Bottai, mausolei a Graziani, ex idroscali a Italo Balbo, discorsi sulla falsa riga che ‘Mussolini è stato il più grande statista del secolo scorso’ anche da parte anche di importati leader politici, di viaggi di corriere verso Predappio, di vergognosi necrologi per anni nella mia Vicenza il 28 aprile.
Il fascismo fu un crimine e ben 1.283 fascisti furono giudicati criminali di guerra il 4 marzo 1948 dal War Crimes Commission.
Questa è 'matrice' vera.
Tutto il resto è menzogna storica o - se preferite - propaganda politica.
E oggi, 10 ottobre, nell’83° anniversario dell’apertura del campo fascista di Renicci questa qui non conta.
Scriveva a suo tempo Truman Capote: "Non c’è niente di nuovo nel mondo, eccetto la Storia che non conosci".
10 ottobre 2025 – 83 anni dopo -
liberamente tratto da ‘La colpa di esser minoranza’ – Editore AliRibelli – 2020
DEDICATO A QUALCUNO CHE HA SCRITTO, SU UN MIO ARTICOLO SU ARBE/RAB, CHE NOI IN ITALIA AI TEMPI DEL DUCE NON AVEVAMO CAMPI DI CONCENTRAMENTO. ED IO CREDO ANCHE COME VOTI COSTUI.
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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