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L'Italia del 23 settembre
di
Rinaldo Battaglia *
Devo ammetterlo: oramai con qualcuno che sottovaluta l’importanza storica della Resistenza faccio fatica a rispondere e troppo spesso mi rifugio, beato, nella legge di Aldous L. Huxley:
’I fatti non cessano di esistere solo perché noi li ignoriamo’.
Ma domandiamoci, comunque e ancora una volta, a chi giova oggi veramente ‘non ricordare’ la Resistenza? Domandiamocelo a voce alta perchè, se restiamo in superficie e senza andare a fondo nella questione, non si coglierà mai l’essenza del valore di quei ragazzi, sacrificatisi nella Resistenza e per la Resistenza, sia nelle colline italiane che nei lager nazisti.
A chi conviene oggi veramente ‘non onorare’ la Resistenza?
Oggi abbiamo importanti leader, magari eletti a primarie cariche della Repubblica, che rinunciano ufficialmente di partecipare alle celebrazioni del 25 Aprile. Libera scelta, ma talvolta quanto si ricoprono importanti funzioni si dovrebbe decidere se restare ‘rappresentante delle Istituzioni che sono antifasciste’ oppure se di idee contrarie – cosa più che mai legittima in tempo di democrazia – in quel caso forse bisognerebbe lasciare la poltrona istituzionale.
Per coerenza o dignità, almeno. Oppure forse meglio per decenza, solo per decenza.
Mi spiego meglio.
Il 23 settembre di 82 anni fa, il 23 settembre 1943 a Monaco ‘l’Uomo della Provvidenza’ Benito Mussolini firmò un documento di primaria importanza. Accettò, supino e vigliaccamente, l’ordine di Hitler per la creazione della Repubblica di Salò, cedendo al Terzo Reich la sovranità di interi territori come le province di Trento, Bolzano e Belluno raggruppate nell'Operationszone Alpenvorland (OZAV), amministrata dal Gauleiter Franz Hofer, e le regioni del Friuli e della Venezia Giulia raggruppate nell'Operationszone Adriatisches Küstenland (OZAK), amministrata dal Gauleiter Friedrich Rainer.
Senza battere ciglio, senza reagire, Mussolini e i suoi gerarchi hanno quel giorno venduto ai tedeschi (e agli austriaci) Trento e Trieste, le due città per le quali solo 28 anni prima l'Italia il 24 maggio 1915 era entrata in guerra, sacrificando 650.000 italiani che morirono proprio combattendo contro i tedeschi e gli austriaci.
Chi giudicava (filmati docet) Benito Mussolini come ’il più grande statista italiano del secolo scorso’, come l’attuale Premier Meloni, cosa dice in merito? Facile oggi lavarsi la bocca con parole come ‘patriottismo’ ma bisognerebbe con idonea onestà intellettuale conoscere la Storia e sapere sempre che ’i fatti non cessano di esistere solo perché noi li ignoriamo’.
Passeranno 17 mesi da quel 23 settembre 1943 e nella Conferenza di Yalta dal 4 all’11 febbraio 1945, i due grandi padroni del nuovo mondo, Roosevelt e Stalin - il ruolo di Churchill risultava giorno su giorno più defilato e marginale - presero carta e penna e si divisero il pianeta. La Germania era oramai sconfitta, Auschwitz non era più un nome insignificante, i nazisti più scafati stavano da mesi concordando col vescovo di Pio XII, Alois Hudal, la ‘via dei topi’ per scappare (col bottino) in Sud America. E così i due grandi decisero di spartirsi la Germania e le sue macerie in più fette.
E in Italia? L’Italia socia ed alleata del Fuhrer fino all’8 settembre e l’Italia di Salò dopo l’8 settembre, ancora socia ed alleata del più grande criminale mai esistito?
La situazione, in Italia, dall’8 settembre 1943 a quell’11 febbraio 1945 era totalmente cambiata. La Resistenza partigiana, da noi, stava dando una mano importante agli Alleati: a breve molte città saranno liberate e talvolta prima dei soldati di Eisenhower e Montgomery.
La popolazione civile non era stata a guardare e pagherà l’aiuto alla Resistenza con (ad oggi documentati) quasi 24.450 uccisi ‘senza armi in pugno’ in oltre 5.893 eccidi o massacri (da Atlante delle stragi nazifasciste in Italia).
Nei lager nazisti, tra le fabriken e i reticolati 700.000 IMI, tra soldati ed ufficiali, preferiranno le sofferenze e per 57/65 mila anche la morte piuttosto che ritornare a combattere per Mussolini e il fascismo di Salò. Erano il 90% di quegli arrestati dopo l’8 settembre 1943, numeri spaventosi, numeri da ‘maggioranza bulgara’ diremmo oggi.
E nessuno che si chieda oggi perché abbiano preferito questa scelta.
Cos’era per quel 90% il fascismo del Duce, quindi, per preferirgli il lager?
E nessuno che – altrettanto - si chieda oggi cosa sarebbe successo se, anziché restare 700.000 IMI schiavi in Germania, fossero diventati 700.000 soldati di Salò? Non a caso viene chiamata ‘Altra Resistenza’. Con le maiuscole.
A Yalta le carte furono così cambiate. Restò l’idea da tutti condivisa di dividere la Germania, ma per quanto ci riguarda la divisione in fette dell’Italia (come pensato da Churchill a Teheran a fine novembre ’43) non era più all’ordine del giorno. Seguirà il destino dell’altra Europa: le terre liberate dagli Alleati (con i vari gruppi di partigiani) saranno gestite dagli Alleati, le terre liberate dall’Armata Rossa (o dai suoi soci) dall’URSS. Di fatto a Yalta nacque la ‘Guerra Fredda’, sebbene per finire la 'guerra calda' sul campo in Europa mancavano ancora tre lunghi mesi. Non è un caso che il grande problema da noi nascerà ad est, sui territori di confine con la Jugoslavia di Tito, sulle terre ‘liberate’ dai comunisti titini, e si chiuderà – almeno sui libri della Storia – solo 30 anni dopo, con la Pace di Osimo del 10 movembre 1975. Nel frattempo: morti, foibe, esodi biblici, odi - odi terribili ed ingiustificabili - da entrambi le parti in causa.
Se le carte a Yalta sono state cambiate grande merito va dato, di conseguenza, alla 'Resistenza partigiana' e 'all’Altra Resistenza'. O meglio, alla ‘Resistenza’. Mi verrebbe a riguardo da parafrasare Enzo Biagi: “La Resistenza è uno dei beni che gli Italiani dovrebbero apprezzare di più, la Resistenza è come la libertà o la poesia: non deve avere aggettivi, non può averne”.
Potrà piacere anche poco a giornalisti, nipoti di uomini del regime, cognati, sindaci e politici con un piede nel passato. Nostalgici di un regime criminale e liberticida. Ma è così. Basterebbe studiare la Resistenza e la grande difficoltà di chi nell’immediato dopo-guerra volle tenere in alto il prestigio, la libertà e ‘l’unità’ del nostro paese a discapito di quello che era successo nel precedente passato. 23 settembre 1943 compreso.
«Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: è soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa ritenere un imputato, l'essere arrivato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione. [...] Ho il dovere innanzi alla coscienza del mio paese e per difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano, ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le sue aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universalistiche del cristianesimo e le speranze internazionalistiche dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire”.
In quel 10 agosto 1946, a Parigi, nella Conferenza di Pace, il nostro Alcide De Gasperi potè parlare da capo del governo di un unico Paese, di una ‘unica’ Italia, di un ‘unico’ Stato ben diverso dall’Italia mutilata a Monaco il 23 settembre ’43 e dalla Germania post-nazista.
Certo: perderemo territori ad est e le isole del Dodecaneso, ma si recupereranno - sebbene a rate - Trento e Trieste, vendute ignobilmente da Mussolini al Fuhrer per una poltrona a Salò.
Certo: perderemo definitivamente l'Istria e la Dalmazia, fino alle porte di Trieste, ma di solito chi perde una guerra purtroppo perde in territori, come avvenne a nostro favore dopo il 1918. Forse per non perdere quelle terre bisognava non invadere quelle vicine a tradimento nell'aprile 1940. Ma si voleva invece rubare 'lo spazio vitale' agli altri. Spazio vitale, ossia terre e case altrui.
Gli esodi giuliano-dalmati nascevano lì. Uno dei tanti esodi causati da quella maledetta guerra (si parla di almeno 30 milioni di persone costrette alla fuga dalle loro case e di cui 12/13 milioni solo di tedeschi).
Ma quelle terre, quelle popolazioni, l'Italia con Mussolini le aveva già perse e svendute il 23 settembre 1943. Mai dimenticarlo, facile poi gridare il 10 febbraio parole contro gli altri, per drogare i propri fans, molti dei quali non sanno nulla della firma del Duce a Monaco davanti al Fuhrer. E probabilmente non solo quello.
Questo è stato il valore della Resistenza: ’I fatti non cessano di esistere solo perché qualcuno da noi li ignora’. Poi, i nostalgici possono restare coi piedi nel passato fin che vogliano (si chiama democrazia), anche ricordando solo le pagine che preferiscono e nascondendo quelle a loro sfavorevoli (si chiama politica o meglio disonestà intellettuale). L’Italia del 23 settembre 1943 ne è solo un esempio.
È la Storia a dirlo, il resto è propaganda, forse immondizia. E talvolta emana cattivi odori.
24 settembre 2025 – 82 anni dopo - Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Terza Parte” - Amazon – 2025
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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