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Non avranno una strada dedicata e nemmeno giustizia
di Roberto Neri
L’androne della canonica, quel pomeriggio del 21 settembre 1944, era quieto. Nello studiolo, attiguo all’ingresso, don Gianni ripassava le letture per la messa serale; la prima parlava del dono ricevuto dai sacerdoti, chiamati -secondo l’apostolo Paolo- ad essere “maestri e pastori”. Non sapeva ancora, il parroco, che il Signore lo aveva appena scelto per un compito inaspettato.
D’improvviso una serie di vigorosi colpi al portone spezzano il silenzio. Interrotte le sue riflessioni, don Gianni sbircia dalle imposte. Chi ha bussato sono due sconosciuti col basco nero; il reverendo socchiude la finestra per sapere cosa succede. “Alle 17 sarà eseguita una sentenza. Si prepari per dare i conforti religiosi e ci segua al cimitero”.
Senza pronunciare altro che una biascicata conferma, dopo una breve attesa don Gianni, al secolo Giovanni Fracca, curato di San Vito di Leguzzano (Vicenza), si accoda alla coppia di militi della RSI, la repubblica sociale italiana, e fascista. I due sono della legione Tagliamento, formata perlopiù da veneti. E qui dobbiamo aprire una parentesi.
“M”, ovvero Mussolini, è il nome ufficiale della Tagliamento, che da una settimana nel paese di don Gianni ha stabilito un suo comando. La legione “M” infatti sta partecipando ad una offensiva, insieme ai nazisti, contro i partigiani del monte Grappa; cinquecento fra civili ed effettivi della Resistenza saranno le vittime alla fine dell’operazione congiunta.
Vittime civili come i Zanrosso, padre e figlio. La loro abitazione, a monte di San Vito di Leguzzano, lo scorso 14 settembre era stata depredata da militi della Tagliamento perché ritenuta di supporto ai partigiani. I saccheggiatori si erano insospettiti pure per la presenza a casa del figlio ventenne Miraldo che, data l’età, si sarebbe già dovuto arruolare nelle forze armate della RSI.
Per chiarire la posizione di Miraldo rispetto alla leva obbligatoria (i renitenti sono passibili della pena capitale) il giovane Zanrosso veniva costretto a scendere in paese coi militi là dove era accasermata in quei giorni la loro compagnia, la quinta. Suo padre Pietro però si offriva come ostaggio al posto del figlio. La legione accettava.
Giorni dopo Miraldo, convinto di poter dimostrare con alcuni documenti di lavoro che era esente dalla leva, e di poter così liberare il papà, lo raggiungeva in caserma a San Vito, ma la quinta compagnia della Tagliamento in assenza di ordini, avendo molti fra ufficiali e soldati impegnati sul Grappa, tratteneva pure il figlio.
Quando il pomeriggio del 21 settembre 1944 i comandanti tornavano, i Zanrosso intuivano subito la mala parata. Inferociti per le perdite subite dalla legione nell’alto Vicentino, i comandanti facevano prelevare dall’ospedale più vicino Luigi Castini, anch’egli ventenne, partigiano malato di tifo, e trascinare al muro del cimitero di San Vito insieme a Pietro e Miraldo, pronti per essere fucilati.
Qui rientra in scena don Gianni che per guadagnare tempo si mette a confessare i tre, la cui sorte è stata dettata soltanto da cieca e vendicava rabbia, senza uno straccio di procedura. L’uomo di fede poi prende a trattare con gli ufficiali finché almeno a Pietro salva la vita; sarà deportato in Germania ma prima dovrà assistere all’esecuzione, affidata alla legione. Miraldo, ferito ma vivo dopo la scarica di fucileria, verrà finito dal colpo di grazia.
L’operazione “Piave” terminerà il 26 settembre 1944, e quel giorno a Bassano in trentuno, fra civili e partigiani finiti nelle retate sui monti del Grappa, verranno appesi per il collo ai pali della luce ed agli alberi del viale che dopo la Liberazione si chiamerà “dei Martiri” in loro memoria. Luigi e Miraldo non avranno una strada dedicata, e nemmeno giustizia.
Papà Zanrossi e don Gianni, gli unici testimoni dell’esecuzione, anni dopo all’avvio di una indagine subito archiviata, ricorderanno soltanto che i nomi degli ufficiali preposti forse erano Aldo Giovanozzi e il capitano Martinola; troppo incerta e vaga come accusa.
La quinta compagnia della Tagliamento, o “M”, autrice anche di roghi di alcune case e di un mulino tra Schio e San Vito di Leguzzano, poco dopo lascerà la zona. Per sempre.
 
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