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21 settembre 2025
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Lituania non ricorda il precedente turco
di Francesco Dall'Aglio

Se la Lituania fosse un paese serio e non la Ruritania de "Il prigioniero di Zenda", e soprattutto se avesse un'aviazione militare in grado di dare seguito ai deliri della propria Ministra della difesa Dovilė Šakalienė (la Lituania, come gli altri due etnostati amici suoi, non ha un'aviazione militare e la sua difesa aerea è affidata al nostro buon cuore), un paese serio come la Russia (vi piaccia o no, è un paese serio), soprattutto dotato di un'aviazione militare, avrebbe già cacciato l'ambasciatore ruritano, pardon lituano, a calci nel didietro e sarebbe passata alle vie di fatto,

Ma appunto, essendo la Lituania il set di un cappa e spada di fine '800, a Mosca se ne fregano, direi per fortuna, e ridono molto.

La parte interessante del delirio di onnipotenza della poveretta alla guida del dicastero della difesa ruritano non è però la fantasia di vendetta sull'orco russo, ma l'idea che "la Turchia ha dato un esempio dieci anni fa" del fatto che se abbatti un aereo russo non ci sono conseguenze, anzi i NAFO ne faranno un cardine della loro mitologia.

La poveretta si riferisce all'incidente del 24 novembre 2015, quando un Sukhoi Su-24 (che è un'aereo da attacco al suolo) è stato abbattuto da un F-16 turco per una presunta violazione dello spazio aero mentre era impegnato in una operazione di bombardamento in Siria.

Fin qui poco male, l'equipaggio si era lanciato con successo, ma una volta a terra (in Siria, tra l'altro, vicino al villaggio di Yamadi nel Latakia, il che getta un po' di dubbi sulla versione turca degli eventi, ovvero che l'aereo russo fosse in Turchia) il pilota è stato ucciso dai ribelli siriani, un gruppo misto di turkmeni e Al-Nusra (parenti dei galantuomini al potere adesso, se non proprio gli stessi), che hanno ucciso anche un marine russo della squadra di recupero.

La leggenda vuole che non vi sia stata nessuna conseguenza. In realtà ce ne sono state, e molte. Il giorno dopo l'incidente Medvedev, all'epoca primo ministro, cancellò tutti i programmi di cooperazione economica con la Turchia, incluso il gasdotto Turkish Stream; le importazioni di prodotti alimentari turchi vennero bloccate, così come i permessi di lavoro dei turchi in Russia, i pacchetti-vacanza in Turchia e i voli charter dei tour operator russi, mentre i controlli di sicurezza sulle compagnie aeree turche negli scali russi furono aumentati talmente tanto da rendere loro sostanzialmente impossibile lavorarci.

La campagna di bombardamento contro i turkmeni nel Latakia riprese con entusiasmo, ogni avvertimento turco a non operare vicino al confine venne ignorato completamente e i turchi si guardarono bene dall'intervenire di nuovo; un convoglio di "aiuti" proveniente dalla Turchia e diretto ai loro proxy in Siria venne bombardato e distrutto, il Ministero della Difesa russo interruppe ogni contatto con il suo omologo turco e la Turchia ed Erdogan personalmente vennero accusati ufficialmente di essere paesi sponsor del terrorismo e di ricavare profitto dal petrolio siriano contrabbandato dai ribelli che sostenevano.

La situazione si fece sempre più tesa e anche in Turchia in parecchi cominciarono a chiedere al governo una ricomposizione, finché nel giugno 2016 Erdogan mandò una lettera a Putin nella quale espresse "il suo più profondo rammarico" per l'accaduto. Ciliegina sulla torta, i due piloti responsabili dell'abbattimento furono arrestati perché, a detta sua, erano sospettati di appartenere al movimento gülenista e di avere dunque agito per danneggiare la Turchia e il suo governo. Non un grandissimo esempio, insomma.


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